In sala il film Il canto delle spose. Il delicato ma a tratti pungente affresco di una difficile amicizia tra un’ebrea e una musulmana nella Tunisi del 1942, sconvolta dai bombardamenti e dalla temporanea occupazione nazista.
Stefano Coccia
Potrà apparire scontato, banale, ma è grazie a una sensibilità spiccatamente femminile che Karin Albou, regista francese di origine maghrebina, ha saputo dar voce a emozioni spezzate e a turbamenti così intimi, manovrando abilmente sullo sfondo di una Tunisi travolta nel 1942 dagli eventi bellici, capaci di arrecare pesanti condizionamenti al contesto politico e sociale della città. Il canto delle spose è pertanto il racconto di un’amicizia profonda, resa difficile da circostanze storiche, culturali, più inclini a dividere che ad unire.
Tunisi alla vigilia del coinvolgimento nella Seconda Guerra Mondiale viene raffigurata come una città tollerante, con evidenti tracce di multietnicità, laddove può capitare che ebrei e musulmani convivano senza particolari attriti. In questa cornice, sapientemente metaforizzata attraverso le scene girate nell’hammam (luogo di aggregazione che diverrà strada facendo l’epicentro di aspri conflitti), si sviluppa l’amicizia tra Nour e Myriam, che vivono in case quasi attaccate tra loro sin dall’infanzia. Delle due ragazze la prima viene da una famiglia araba, mentre Myriam appartiene alla minoranza ebraica, piuttosto consistente nella città nordafricana. Il rispetto reciproco reggerà fintantoché l’esercito tedesco, coadiuvato dai francesi di Vichy, non deciderà di occupare la Tunisia, fomentando lì come altrove l’odio razziale. La propaganda nazista cercherà sin dall’inizio di scaricare la responsabilità del conflitto sugli Alleati, accusati di favorire un presunto complotto internazionale di matrice sionista; e i riflessi di questa becera campagna ideologica avranno purtroppo un peso sugli ambienti nazionalisti del paese maghrebino, scossi molto presto da ondate di antisemitismo.
Fragili equilibri sono destinati così a incrinarsi per sempre. Qualche crepa comincia a comparire nello stesso rapporto di amicizia che lega le due ragazze, entrambe alle prese con situazioni sentimentali rese ancor più delicate dal complicarsi della vita attorno a loro. Nour non vuole ammettere che il carattere del fidanzato, Khaled, stia cambiando pericolosamente, in seguito alla scelta di schierarsi con gli occupanti e appoggiarne le azioni persecutorie rivolte contro gli ebrei. Myriam, a sua volta, sembra guardare con un misto di preoccupazione ed invidia alla loro relazione, anche perché nel frattempo la madre Tita (interpretata dalla stessa regista) sta organizzando un matrimonio combinato tra lei e quel medico ricco, altezzoso, che la ragazza non ama, ma che potrebbe aiutare concretamente la loro famiglia in frangenti così difficili. I casi della vita finiscono quindi per allontanare brutalmente le due giovani donne, ma proprio nel momento di maggior pericolo verrà offerta loro la possibilità di riaccostarsi l’una all’altra.
Con sguardo finissimo, Karin Albou riesce a coniugare la grande Storia con le tensioni individuali, posando la propria attenzione su un mondo femminile pressato da vecchie costrizioni famigliari e da nuove ansie, dovute alla durezza del tempo di guerra. Pur indulgendo forse troppo sull’estetica dei primi piani, e dei dettagli, la regista sa restituire un clima di intimità che all’occorrenza diviene quasi sfacciato, ad esempio nella scena della depilazione del pube, che precede il matrimonio di Myriam. Persino nel descrivere la brutalità dell’occupazione nazista non si ricorre a violenze eclatanti, ma a un modo di violare gli spazi privati (e così l’immagine delle donne soggette a un rastrellamento nell’hammam acquista ulteriore significato) che lascia un segno altrettanto doloroso, un marchio nell’identità collettiva. In questo oscillare tra dimensione corale e psicologie individuali ferite, la disponibilità a mettersi in gioco dimostrata dalle attrici che interpretano le due adolescenti, Lizzie Brocheré (Myriam) e Olympe Borval (Nour), ha rivestito senz’altro un ruolo importante, così come la cura riservata alle riprese, perfettamente in grado di costruire un’atmosfera densa e carica a partire dallo stesso tessuto sonoro. La Tunisi dei primi anni ’40 sembra vivere di suoni ovattati, silenzi notturni, ai quali si sostituiscono con improvvisa e funesta drammaticità le sirene dei bombardamenti, oppure i passi ordinati di stivali teutonici in marcia.
17.12.2009
http://www.movieplayer.it/articoli/06456/l-amica-ritrovata/