Historica: La Brigata Ebraica, recensione
La Storia, intesa come resoconto degli avvenimenti che hanno segnato l’umanità, è fatta anche di percorsi laterali, di fatti ignoti ai più che tuttavia hanno avuto la loro importanza fondamentale nel costruire il mondo come oggi lo conosciamo. Limitando il campo all’ultimo conflitto mondiale, è stato a lungo sottovalutato l’apporto decisivo fornito dalla cosiddetta “Brigata Ebraica” alla vittoria finale degli Alleati sui Nazifascisti. Questa milizia, fortemente voluta da Winston Churchill, rispose a due necessità: da una parte, l’urgenza di coinvolgere quanti più attori possibili sullo scenario della guerra mondiale in grado di dare filo da torcere ai nazisti; dall’altra, una volta che le notizie circa l’esistenza dei campi di concentramento avevano iniziato a fare il giro del mondo, il bisogno da parte del popolo ebraico di uscire dall’immagine generalmente attribuitogli di “vittime” e di recitare un ruolo proattivo nel conflitto. E il ruolo giocato dalla brigata sarà addirittura decisivo, soprattutto sul fronte italiano.
Costituita tanto da ebrei provenienti dalla Palestina (i territori che oggi corrispondono allo Stato d’Israele) quanto da altri provenienti da terre soggette al controllo britannico, come Canada, Australia e Sudafrica, la Brigata assurse agli onori della cronaca dando un apporto determinante alla vittoria alleata nella Battaglia dei Tre Fiumi, con il quale venne sfondata la Linea Gotica eretta dal feldmaresciallo Albert Kesselring. A conflitto ancora in corso, all’attività bellica della Brigata già si affiancava un’importante attività di sostegno ai sopravvissuti della persecuzione nazifascista, molti dei quali decisi a lasciare l’Europa per dirigersi nella Palestina britannica. Molti degli stessi soldati della Brigata decisero, a guerra finita, di trasferirsi in quei territori contribuendo alla formazione dell’esercito del nascente stato israeliano, che ben presto avrebbe affrontato un nuovo genere di guerra.
L’epopea della milizia con la stella di Davide è al centro de La Brigata Ebraica, nuovo lavoro di Marvano, nome d’arte della star del fumetto belga Mark Van Oppen. Diventato famoso con adattamenti di romanzi di fantascienza (fruttuosa in tal senso la collaborazione con lo scrittore Joe Hadelman, vincitore del premio Hugo), da qualche anno Marvano sembra preferire la rievocazione storica, con una particolare predilezione per soggetti poco frequentati dalle cronache ufficiali.
Giocando abilmente tra verità storica e fiction, l’autore pone al centro della sua opera due personaggi immaginari, i soldati Leslie e Ari della Brigata Ebraica, che si muovono lungo gli scenari di un conflitto bellico ormai agli sgoccioli. Attraversando con la loro Jeep frontiere che presto verranno modificate dagli interessi dei vincitori, i due amici incontrano una umanità allo sbando, segnata per sempre dall’orrore della guerra, e sono testimoni delle brutalità e delle efferatezze che ne conseguono. La sofferenza per il popolo ebraico non è finita con la conclusione della guerra, e i sopravvissuti continuano ad essere vittime di atti di violenza e discriminazione.
Quando li incontriamo per la prima volta, Leslie e Ari sono sulle tracce di un ufficiale nazista che durante la guerra si era reso colpevole di atrocità all’interno di un campo di concentramento. Nascostosi in una missione nella campagna polacca, dove indossa i panni di un prete, l’ufficiale viene smascherato e ucciso da Leslie. Prima di ripartire, al duo si unisce Safaya, una giovane sopravvissuta ai campi che avrà un ruolo importante nel prosieguo della storia. Finita la guerra, con la Brigata di stanza a Tarvisio, nel Friuli, in attesa di essere sciolta, Leslie e Ari prendono strade diverse: il primo continua sul suo percorso di vendetta dando la caccia ai gerarchi nazisti in fuga, il secondo sceglierà di recarsi in Palestina, anche se il fato avrà in programma per lui un altro destino. Sarà Leslie, alla fine, e raggiungere la terra promessa, dove si ricongiungerà ad una Safaya ormai adulta e fornirà il proprio contributo al nascente stato di Israele.
Uscita in patria in tre tomi e raccolta da Mondadori in un unico volume della collana Historica, La Brigata Ebraica restituisce al lettore, senza alcuna retorica, il senso di annichilimento di un’umanità devastata dalla guerra. Nonostante la conclusione ufficiale del conflitto, Marvano pone l’accento sulle difficoltà del tornare alla vita di tutti i giorni, dopo le atrocità subite o a cui si è assistito. In questo senso, la vendetta può diventare una nuova ragione di vita, come per Leslie, un nuovo e brutale senso all’angoscia che non può più abbandonarlo. Da qui partono tutta una serie di considerazioni interessanti, su quanto le ferite della guerra possano condizionare l’identità di chi sopravvive e su quando una guerra può dirsi veramente conclusa. Nel caso del popolo ebraico, il conflitto non fa in tempo a finire che, grazie alla controversa risoluzione 181 delle Nazioni Unite che sancisce la nascita di Israele nei territori palestinesi, è già tempo di una nuova guerra con le popolazioni arabe che lì risiedevano.
Proprio nel capitolo finale si palesano le più grandi perplessità nei confronti di quest’opera, peraltro ben riuscita fino a questo punto, con l’autore che si perde nello stereotipo dell’”arabo cattivo” e fornisce un’ interpretazione piuttosto manichea di una vicenda storica in realtà molto più complessa. Un vero peccato, visto il buon lavoro fatto da Marvano nel restituire con precisione il clima storico e nel tratteggiare caratterizzazioni interessanti. A livello grafico, La Brigata Ebraica sarà sicuramente apprezzata dagli amanti del fumetto di area francofona: Marvano si inserisce pienamente nella tradizione della bd belga, optando per una distribuzione delle vignette in 3 0 4 strisce regolari in cui i campi lunghi predominano sui primi piani. Non manca comunque l’utilizzo di splash-pages d’effetto quando la situazione lo richiede. L’autore predilige l’utilizzo della linea chiara, con un tratto improntato a pulizia e leggibilità, evitando l’utilizzo di tratteggi e chiaroscuri. In conclusione, un esito finale tra luci ed ombre per un’opera che, in ogni caso, ha il pregio di fare luce su una vicenda storica appassionante e poco conosciuta.
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