I partigiani ebrei bielorussi passati per Milano prima di immigrare in Palestina
Liliana Picciotto
Nell’autunno del 1980, mentre preparava il libro Se non ora, quando?, Primo Levi mi telefonò. Cercava un vocabolario yiddish-francese o yiddish-inglese. Gli serviva per il nuovo libro nel quale raccontava di un distaccamento partigiano di ebrei russi assediato dai nazisti, nelle foreste paludose all’incrocio tra Bielorussia e Ucraina, e giunto fortunosamente in Italia dopo aver attraversato a piedi l’Europa.
Il distaccamento, formato da civili, era guidato da ex soldati ebrei dell’Armata Rossa dispersi e da giovani decisi a vendicare il massacro dei propri famigliari. Dopo la liberazione, il distaccamento, senza deporre le armi, aveva deciso di portarsi in Italia, da dove sperava di trovare il modo di raggiungere la Palestina. Come scritto nella nota di chiusura al libro, Primo Levi ebbe la prima notizia di questo gruppo di eroici sopravvissuti giunti a Milano presso il comitato postbellico di soccorso ebraico di via Unione, dal suo amico Emilio Vita Finzi.
Qualche mese fa, a Tel Aviv, mentre ero in visita di cortesia alla signora Ada Levi e alla sua famiglia, mi è stato donato per gli archivi del Centro di documentazione ebraica contemporanea (Cdec), un piccolo ma prezioso carteggio che ci informa ancora meglio sulla fase di studio per il libro Se non ora, quando?
La prima lettera è datata 2 dicembre 1980, ed è diretta al fratello di Ada, capitano di lungo corso Enrico Levi, valoroso organizzatore e guida delle imbarcazioni che, dopo la fine del conflitto, partivano clandestinamente dall’Italia per le coste palestinesi. Primo Levi chiede al suo omonimo notizie di un gruppo di ebrei provenienti dall’Ucraina o dalla Russia Bianca che, verso il settembre del 1945, frequentavano una fattoria-scuola per nuovi immigranti presso Magenta: circa 30 uomini e 20 donne con alcuni bambini.
Nel 1942 in Bielorussia, precisa nella lettera, un centinaio di ebrei accerchiati dai tedeschi invece di arrendersi si erano rifugiati, insieme alle donne, nei boschi, sotto la guida del comandante Israel Katz. Nell’agosto del 1945, dopo un lunghissimo viaggio, avevano attraversato il Brennero. Le donne erano osservanti (cioè religiose), gli uomini conoscevano l’ebraico letterario che avevano appreso dai testi di Bialik, già allora considerato poeta nazionale del rinascente Israele.
Si erano presentati tutti insieme in via Unione, dove erano stati presi in consegna in attesa del momento opportuno per formare un gruppo da imbarcare su uno dei navigli adattati appunto da Enrico Levi. Il gruppo di ex partigiani, dopo un viaggio rocambolesco attraverso l’Italia, si imbarcò a Bari alla volta della Palestina. Il 15 dicembre, Enrico risponde a Primo: «Ho ricevuto la sua del 2 dicembre ma non posso esserle di aiuto Ho una vaga reminiscenza di aver imbarcato a Monopoli (Bari) verso il settembre 1945 un capitano dell’Armata Rossa che aveva come solo bagaglio un libro delle poesie di Puskin e uno spazzolino da denti, sbarcò con gli altri Olim (immigranti) a Ghivat Olga…».
Il 22 dicembre 1980, nuova lettera di Primo: «Le sono infinitamente grato per la sua pronta risposta. La fotocopia mi sarà molto utile, ma anche il cenno al Capitano russo mi verrà di taglio: anche così, è già un personaggio! Suo, Primo Levi». Le poche pennellate tracciate da Enrico furono dunque d’ausilio a Primo per ricostruire uno spaccato della vita disperata dei partigiani delle foreste. Senza Se non ora, quando? la loro tragica ed eroica epopea sarebbe oggi meno nota e avremmo perso un importante tassello della vicenda delle rivolte ebraiche contro la Shoah.
È il caso di completare la frase del Talmud presa in prestito da Primo per il titolo del suo libro: «Se io non sono per me, chi sarà per me? Ma se io sono solo, che cosa sono io? E se non ora, quando?». Noi possiamo solo aggiungere a proposito di Levi narratore delle gesta del distaccamento: «E, se non lui, chi avrebbe potuto narrarle?».
Corriere della Sera – Martedì 1 giugno 2010