(Riflessione per Shabbat Bereshit tratta da R. Chayim Cohen [il “lattaio”], Talelè Chayim ‘al Chagghè Tishrì, p. 315-328):
È appena trascorsa la festa di Sukkot in cui abbiamo agitato il Lulav. Delle Quattro Specie ci interessano qui particolarmente la palma (Lulav) e il mirto (Hadas), le quali rappresentano rispettivamente la vista e il gusto: la foglia del mirto richiama l’occhio (e l’olfatto: “Vedi il profumo di mio figlio” – Bereshit 27,27), mentre la palma, attraverso il dattero, rappresenta ciò che ha sapore. A sua volta la vista è strumento della Chokhmah e dell’intelletto ed è tramite la vista che si giudica fra il vero e il falso, mentre il gusto presiede ad un’altra antitesi, quella fra buono e cattivo che ha il proprio riferimento nel cuore. Si tratta di una tematica molto profonda, che risale all’epoca che precedette il “peccato originale”.
Per Maimonide (Moreh Nevukhim I,2) non si può sostenere che l’uomo sia stato creato originariamente privo di intelletto al pari di qualsiasi altra creatura e che il discernimento gli sia giunto solo come punizione del “peccato”. L’intelletto è una qualità nobile e non può essere l’effetto di un castigo. Dobbiamo invece dire che l’uomo è già stato creato dotato dell’intelletto, come dice il versetto: “ad immagine Divina lo creò” (1,26). Inoltre sarebbe inconcepibile che D. possa aver comandato qualcosa (2,16) ad una creatura priva di discernimento. La differenza fra prima e dopo il “peccato” è invece consistita nel fatto che prima l’intelletto discerneva fra vero e falso, mentre dopo, una volta perduta questa sua condizione di perfezione, quando l’uomo si è ormai piegato ai desideri e al piacere dei sensi (3,6) è “sceso” a distinguere semplicemente ciò che è buono da ciò che è cattivo.
Prima del “peccato” la scala di valori dell’umanità era molto elevata: vero e falso. L’uomo tendeva alla verità e si allontanava dalla falsità per sua natura. Non era pensabile che l’uomo vedesse qualcosa che il suo intelletto giudicasse giusto e vero e non lo desiderasse, o desiderasse il suo opposto: volontà e intelletto procedevano assieme. Dopo il “peccato” si è creata una situazione nuova in cui la natura dell’uomo si disgiunse dal perseguimento della verità. Il cuore dell’uomo tese da allora verso ciò che egli giudicava buono dal suo punto di vista e ad allontanarsi da ciò che riteneva male nella propria prospettiva. La voce dell’intelletto diventò troppo flebile per aver ancora la forza di attirare le scelte dell’uomo nella propria direzione in forma naturale. Ciò produsse un grave crollo di valori.
Di fatto, mentre le categorie di vero e falso sono oggettive e non si prestano a essere mescolate, le categorie di buono e cattivo sono relative e tendono a confondersi, perché non necessariamente ciò che l’uomo giudica buono nella sua ottica lo è veramente, e viceversa. La Chokhmah, invece, è paragonata all’olio che non si mescola con gli altri liquidi. Pertanto prima del “peccato” non sarebbe stato necessario richiamare continuamente l’attenzione su quanto è buona la Torah e la ‘Avodat H.: sarebbe bastato affermare che essa è verità per attirare l’uomo ad essa con tutta la forza: egli l’avrebbe messa in pratica in quanto verità e per null’altra ragione. Diverso è stato dopo il “peccato”: ta’amù u-r’ù ki tov H. “gustate e vedete che H. è buono” (Tehillim 34,9) richiama prima al gusto e poi alla vista, come dire: occorre anzitutto richiamare il cuore alla Sua bontà e solo dopo che il cuore sarà stato attratto si potrà mostrare all’intelletto quanto questa via è vera.
Ciò pone almeno due ostacoli alla stessa ‘Avodat H. 1) Ci sono molte persone che se ne staccano perché non la giudicano buona secondo il loro metro, perché nei propri limiti sentono che a loro conviene perseguire una serie di obiettivi materiali che perciò giudicano buoni in sua vece e non prendono affatto in considerazione ciò che è il vero bene. 2) Ci sono altre persone che, all’inverso, si dedicano sì alla ‘Avodat H., ma solo perché la giudicano buona per i loro vantaggi, magari spirituali: questi in cuor loro ricercano ancora il proprio bene personale e sono in realtà concentrati solo su se stessi invece che eseguire la volontà di H. in se stessa.
La rivoluzione di valori conseguente al “peccato originale” è dunque alla base del crollo di valori anche nella società moderna, in cui si parla di verità relative. Si tratta in realtà della ricerca della propria soddisfazione personale. Invece di costruire una società giusta, che non si fondi soltanto su quella, la cultura tende tutta a sprofondare in una crisi di valori squilibrati e lontani dalla verità. Se solo la luce della verità riuscisse a sprigionarsi i valori della nostra società si raddrizzerebbero e si correggerebbero in linea con la Torah e le Mitzwòt, molte forme distorte di espressione verrebbero giustamente bollate come forme di maldicenza e la società ebraica tornerebbe alla sua fonte di ispirazione originaria.
La verità parla al cervello, mentre la bontà parla al cuore. Questo segna la differenza fra Chakham (“saggio) e Tzaddiq (“giusto”). Nella storia d’Israele la verità è simboleggiata da Ya’aqov (tittèn emèt le-Ya’aqov – Mikhah 7,20) il quale alla sua morte, narrata al termine del Libro di Bereshit, non ha accettato la sepoltura in Egitto e ha chiesto che le sue spoglie fossero portate in Eretz Israel immediatamente. Allo stesso modo la verità non accetta compromessi: dobbiamo cioè non abbassare la verità al livello della bontà, ma alzare la bontà al livello della verità. D’altronde la bontà è simboleggiata da Yossef ha-Tzaddiq, il quale ha scelto di rimanere in Egitto dopo la morte, di misurarsi con la realtà circostante accettando il compromesso con essa alfine di poterla un giorno elevare. Nel linguaggio della Qabbalah si parla di Tif’eret, simbolo di Ya’aqov che costituisce la sintesi fra Chessed (le-Avraham) e Ghevurah (Itzchaq), corrispondente alla Waw del Tetragramma (congiunzione!) che attende di ricongiungere a sé l’ultima He del Nome, ovvero la Sefirah del Yessod (Tzaddiq Yessod ‘Olam), detta anche Shekhinah o Malkhut. Per questo motivo, durante Sukkot il Lulav, simbolo del Bene e il Hadas, simbolo del Vero, si prendono insieme. Perché il mondo ha bisogno di entrambi: il cuore e il cervello, il sentimento e la ragione.