Bimbi di famiglie laiche e ultraortodosse: giocavano insieme, ora l’intolleranza dei genitori li separa
Francesco Battistini
GERUSALEMME – Una a me, una a te. Lo scivolo, se lo sono tenuti i laici; la sabbia, i religiosi; le altalene, ce le hanno i laici; i contatori della luce e gli estintori, i religiosi… Da venerdì, l’unica cosa che i bambini dei due asili di via Kelner possono condividere è la barriera. Una rete d’acciaio, nuova di zecca, che taglia in due il cortile e le loro piccole ore di gioco. I destini di questi asili pubblici di Kiryat Hayovel, quartiere ovest di Gerusalemme ad alta densità religiosa, sono sempre stati appiccicati: l’uno (il Pashosh) aperto agl’israeliani tutti, per lo più ebrei, l’altro riservato alle famiglie d’ebrei ultraortodossi.
I bimbi, fianco a fianco, sono cresciuti insieme da generazioni. Nelle giornate di sole, tutti fuori a rincorrersi sulle stesse aiuole, a spintonarsi sugli stessi scalini, a tirarsi riccioli e bretelle. Da anni. Fino a venerdì scorso. Quando sono arrivati tre tecnici del Comune e in una mattinata hanno tirato su la barriera. Dicendo stop, fine al cortile in comune. D’ora in poi, noi di qua e voi di là. I laici coi laici e i religiosi coi religiosi. «Metteremo anche un drappo scuro – annuncia il portavoce del sindaco Nir Barkat -, per evitare che i bambini si vedano. E per l’inverno prossimo costruiremo un muro. Ce l’hanno chiesto le famiglie dei bimbi ultraortodossi. Noi siamo tenuti a rispettare il loro diritto a non mischiarsi con altri…».
VITE PARALLELE. La rete metallica, che qualcuno già chiama della vergogna, è alta un paio di metri e sega esattamente in due lo spazio giochi. Una cosa che scandalizza perfino a Gerusalemme, città dove non bastava la storica divisione Est-Ovest fra arabi ed ebrei e dove il crescente radicalismo haredim erige di anno in anno altri muri: autobus separati, marciapiedi divisi per sesso, bar che non costringano gli ebrei più osservanti a sfiorare chi non stimano. Domenica, è cominciato il tamtàm delle famiglie. Molti laici, qualche religioso. Egualmente indignati: «Questa rete è una follia – protesta Esti Kreimer, una mamma -. Sembra d’avere messo i bambini a giocare in una gabbia. Che tristezza: a tre anni, devono rinunciare a stare insieme solo perché i loro genitori non ne sono capaci? Ma che modello educativo stiamo dando?». Tutto è cominciato dalla richiesta d’un gruppo di genitori con peyot e kippah: «Abbiamo notato che gl’insegnanti, i parenti, i piccoli dell’asilo Pashosh vestono in maniera per noi sconveniente – hanno scritto al sindaco -. Specie ora che arriva l’estate, e di là si scopriranno, non vogliamo che i nostri figli vadano a giocare in cortile e vedano queste sconcezze». Per un po’, in Comune hanno finto di non capire. Anche perché un rabbino, interpellato apposta dalle famiglie religiose, aveva sconsigliato di costruire la barriera. Gli appelli però si sono fatti via via pressanti, allarga le braccia il portavoce municipale, e alla fine s’è dovuto cedere: «C’è stata una mozione di consiglieri della destra religiosa. Nel quartiere non ci sono altri spazi disponibili: impossibile traslocare uno degli asili. Allora abbiamo diviso in due la struttura, per evitare che la tensione aumentasse. Ora ci dicono che la rete non basta: dovremo costruire qualcosa che li separi anche alla vista».
MURO CONTRO MURO. La «rete della vergogna» è già finita in rete, su internet. A Gerusalemme non ci sono state manifestazioni come quelle di qualche mese fa, sulle rotaie della nuova metropolitana leggera, quando è stata avanzata la proposta di vagoni divisi per maschi e femmine. Però i non-religiosi, maggioranza per anni piuttosto silenziosa, stavolta sono decisi a farsi sentire: «Scriveremo una lettera anche noi – annuncia Rita, origini russe, un figlio di 2 anni -. Vogliamo una soluzione sensata: non si rinchiudono così i bambini». «Siamo arrabbiati – spiega Riki, una mamma con gonna lunga e cappello, religiosa che ha comunque preferito iscrivere i suoi piccoli all’asilo laico -, ci siamo trovati la barriera da un giorno all’altro, nessuno ci ha informato di nulla». Il disappunto è anche degl’insegnanti: «Questa è sempre stata un’isola di convivenza – dice Mika, 30 anni, educatrice del Pashosh -. Si poteva trovare una via più sensata. Nessuno di noi s’è mai sognato di venire a scuola seminudo, come dicono dall’altra parte i religiosi…». La maestra è qui da un anno soltanto, ma medita di cambiare aria: «C’è un intero Medioriente che sta svoltando. Rivoluzioni che abbattono i muri. E a Gerusalemme stiamo a fare queste liti di cortile? Dobbiamo tornare indietro, dividere le menti? Di questo passo, ci troveremo tutti a vivere nel nostro piccolo Iran».
http://www.corriere.it/esteri/11_marzo_07/rete-asili-battistini_182d1ff0-4902-11e0-b2f1-0566c0fae1de.shtml
La notizia originale in ebraico: http://news.walla.co.il/?w=/90/1800704