David Gianfranco Di Segni
Che ruolo hanno le donne nelle feste ebraiche d’autunno, Rosh Hashanà, Kippur e Sukkot? La domanda è giustificata se si confrontano queste feste con altre del calendario ebraico, in cui la componente femminile è ben evidente. Così è per Purim, una festa di istituzione rabbinica incentrata sulla figura della regina Ester. Anche nell’episodio commemorato dalla festa di Chanukkà le donne hanno un’importanza rilevante, grazie a donne esemplari come Yudith e Channà, dai cui atti coraggiosi partì la rivolta contro i Greci. E così Tu BeAv (il 15 di Av), il giorno dei fidanzamenti, in cui le ragazze svolgono un ruolo dominante.
Riguardo alle feste comandate dalla Torà, la schiavitù in Egitto e l’esodo (che ricordiamo a Pesach) sono caratterizzati da una presenza femminile dall’inizio alla fine: infatti, sono le donne che incitano i mariti a non abbattersi a causa delle dure condizioni a cui erano sottoposti in quanto schiavi e li aiutano a risollevarsi sia moralmente che fisicamente (vedi Shemot 38:8 con Rashì). Dopo aver passato il Mar Rosso, le donne innalzano insieme a Miriam canti di lode al Signore, rispondendo al canto degli uomini guidati da Mosè. Per la festa di Shavuot, che ricorda il dono della Torà e la promulgazione del Decalogo, il testo biblico afferma che D-o ordinò a Mosè di rivolgersi prima alle donne e soltanto dopo agli uomini (Shemot 19:3 con Rashì).
Il ruolo delle donne in questi eventi storici si manifesta anche nell’osservanza dei precetti delle rispettive feste. Generalmente le donne sono esentate dall’osservanza delle mitzvot “positive” (ossia, azioni da compiere) legate a un tempo determinato della giornata o dell’anno (come l’indossare il talled o i tefillin): a prima vista, quindi, i precetti di mangiare la matzà e recitare la Haggadà le sere del Seder di Pesach, di ascoltare la Meghillàt Ester la sera e la mattina di Purim e di accendere i lumi di Chanukkà dovrebbero rientrare nella categoria delle mitzvot da cui le donne sono esonerate, in quanto precetti legati a un tempo fisso. E invece anche le donne sono tenute alla osservanza di queste mitzvot al pari degli uomini, perché – così spiega il Talmud – anch’esse beneficiarono della salvezza e, inoltre, perché proprio grazie alle donne ebbero luogo i miracoli.
Esaminiamo ora la regola riguardo all’osservanza delle mitzvot “positive” da parte delle donne nelle feste d’autunno. La mitzvà caratteristica di Rosh Hashanà è l’ascolto del suono dello shofar. Ebbene, le donne sono esenti da questa mitzvà, come per le altre mitzvot legate a un tempo particolare. È vero che è uso universale che le donne, come gli uomini, affluiscano in massa nelle sinagoghe di tutto il mondo e prestino la massima attenzione quando lo shofar viene suonato: ma l’obbligo, per le donne, non c’è. Addirittura i Maestri discutono se le donne possano dire la relativa berakhà (“asher kiddeshànu… vetzivvànu…”), dato che esse non sono obbligate: per molti Maestri sefarditi non la devono dire. Questa decisione va contestualizzata nella norma generale che prevede che non si recitino berakhot senza motivo (levattalà), per non contravvenire al divieto di nominare il Nome di D. invano.
Analogo è il caso delle mitzvot tipiche della festa di Sukkot, ossia il mangiare dentro la sukkà e il prendere in mano le quattro specie vegetali del lulav: anche queste mitzvot non sono obbligatorie per le donne, perché sono legate a un momento particolare. La stranezza apparente è che, per altri versi, Sukkot e Pesach sono collegate (entrambe durano 7 giorni e iniziano il 15 del mese) e alcune norme di Sukkot si imparano proprio da questa corrispondenza: però, mentre mangiare la matzà la sera del Seder è obbligatorio per le donne, mangiare in sukkà è per loro solo facoltativo. In paesi del mondo particolarmente piovosi le sukkot vengono costruite in modo tale che un lato della capanna è coperto da un tetto impermeabile, sotto al quale si siedono le donne, mentre gli uomini si siedono sotto il tetto di frasche. Anche la mitzvà del lulav, non obbligatoria per le donne, è da queste ancor meno osservata della mitzvà dello shofar o della sukkà: ci sono donne, peraltro osservanti o cresciute in famiglie tradizionaliste, che non hanno mai preso in mano il lulav! Un caso interessante è il giorno festivo a conclusione delle feste autunnali, ossia Sheminì Atzeret/Simchat Torà: in questo giorno si festeggia, fra l’altro, la fine e il re-inizio della lettura annuale della Torà, e una parte centrale della cerimonia consiste nelle hakkafot, i giri con il Sefer Torà accompagnati da canti e balli. È una cerimonia tipicamente maschile, tanto è vero che ci sono donne che, pur andando al tempio tutto l’anno, non ci vanno in questo giorno per non sentirsi escluse dai festeggiamenti.
Riguardo a Kippur, non ci sono mitzvot “positive” da compiere specificamente in questo giorno, ma soprattutto divieti (come quello di mangiare e bere e di compiere “lavori”, che valgono indistintamente per uomini e per donne). L’obbligo di fare teshuvà e di chiedere perdono al prossimo, infatti, vale tutto l’anno, ed è solo una convenzione che lo si faccia proprio a Kippur (anzi, alla vigilia). La maggior parte della giornata si trascorre in sinagoga, immersi in numerose e lunghe preghiere, in corrispondenza simbolica con le cerimonie che si svolgevano nel Santuario di Gerusalemme. Come tutto ciò che si svolge in sinagoga, il ruolo delle donne è alquanto marginale ed esse si limitano ad assistere, dal matroneo, più che svolgere una funzione attiva.
Possiamo quindi concludere, per il momento, che nelle feste autunnali la componente femminile è alquanto ridotta o addirittura inesistente, e ciò è in netto contrasto con le altre feste. A che è dovuta questa differenza? La risposta possiamo forse trovarla se riflettiamo sul significato storico/religioso delle feste d’autunno.
Kippur è il giorno in cui viene perdonato il peccato del vitello d’oro. Questa grave colpa di cui il popolo d’Israele si macchiò poco dopo essere uscito dall’Egitto e aver ricevuto i Dieci Comandamenti fu commessa dagli uomini, non dalle donne d’Israele. Inoltre, una conseguenza del peccato del vitello d’oro, almeno secondo un autorevole filone interpretativo, fu l’ordine di costruire il Mishkan, il Tabernacolo mobile nel deserto, che poi diventerà il Miqdash, il Santuario di Gerusalemme. La festa di Sukkot è strettamente legata con il Mishkan: la costruzione di questo iniziò il 15 di Tishrì (che è anche l’inizio di Sukkot), le dimensioni minime della sukkà sono assimilabili a quelle dell’Arca Santa, la mitzvà del lulav è primariamente collegata con il Bet HaMiqdash, come anche le cerimonie di Hoshanà Rabbà e della libagione dell’acqua. In altre parole, sia Kippur sia Sukkot sono legate, direttamente o indirettamente, a una colpa commessa dagli uomini: non c’è da stupirsi, quindi, se queste feste sono prettamente “maschili”.
Cosa possiamo dire riguardo a Rosh Hashana? Da una parte questo giorno ricorda la creazione del mondo (o meglio, della prima coppia umana) e il primo giudizio a cui l’uomo e la donna furono sottoposti. Da questo punto di vista, non dovrebbe esserci differenza fra i due sessi e infatti non c’è. È il Giorno del Giudizio per entrambi. Ma Rosh Hashanà ha anche un’altra valenza, che è quella legata al suono dello shofar, il corno di montone. Questa mitzvà, di cui la Torà non dà una spiegazione, è sempre stata intesa come strettamente collegata alla Aqedàt Yitzchàq, il tentato “sacrificio” di Isacco. Lo shofar ricorda appunto il montone che fu sacrificato al posto di Isacco. La storia di questo episodio è narrata in Bereshit, cap. 22. Subito dopo, al cap. 23, si parla della morte di Sara, madre di Isacco. I Maestri si chiedono perché i due brani siano stati accostati, e rispondono che Sara, non sapendo niente della faccenda, quando udì che il suo amato figlio, avuto in vecchiaia, fu quasi sacrificato da Abramo, morì di crepacuore (Bereshit 23:2 con Rashì). Il suono stesso dello shofar, che in alcune note assomiglia a un gemito, e il numero delle suonate sono fatti risalire al lamento di Sara (Pirqè deRabbi Eliezer 32; Wayiqrà rabbà 20:2) (e a quello di un’altra donna che piangeva per suo figlio morto in battaglia, la madre di Siserà: Talmud bavlì, Rosh Hashanà 32b).
Il dramma di Sara è ben descritto da Yehudà Shemuel Abbash (nato a Fez verso il 1080) nello ‘Et sha‘arè ratzon, una delle più intense e commoventi selichòt di tutti i riti. A Roma questa selichà si recita a Rosh Hashanà, prima del suono dello shofar, e poi a Ne‘ilà di Kippur. È anche antico uso recitarla nella Mishmarà, prima della milà e in altre occasioni. Proprio dall’edizione del formulario della Mishmarà curata dal Morè Nello Pavoncello z.l. (pp. 46-52) riporto alcune strofe:
(Abramo) disse a Sara: “Poiché il tuo amato Isacco è cresciuto e non ha ancora imparato il culto dell’Eterno, io andrò con lui e gli insegnerò quanto Iddio ha ordinato”. “Va, o mio signore” ella disse, “ma non ti allontanare troppo”. Ed egli rispose: “Che il tuo cuore abbia fiducia in Dio”. [Ricorda in mio favore nel giorno del giudizio] colui che legò, colui che fu legato e l’altare.
Dite a mia madre che la sua gioia è scomparsa, perché il figlio che le è nato all’età di novant’anni è stato preda del fuoco e del coltello; dove si troverà per lei un consolatore, dove? Mi dispiace molto per la mamma, che piange e sospira.
A causa del coltello mi trema la parola; padre mio, affila bene, stringi con forza i miei legami e quando la mia carne sarà stata consumata dal fuoco, prendi con te l’avanzo delle mie ceneri e, presentandole a (mia madre) Sara, le dirai: “Questo è il profumo del tuo figlio Isacco”.
Tutti gli Angeli del Carro celeste si commossero allora, l’Ofàn e il Saràf supplicavano caldamente Iddio, intercedendo per quel nostro prode: Deh, concedi un riscatto e fa in modo che il mondo non rimanga privo di luce!
Disse il Re del cielo ad Abramo: Non porre la mano sopra uno dei tre illustri patriarchi. E voi, Angeli celesti, ritornate pure in pace, questo giorno è giorno di merito per i figli di Gerusalemme. In esso Io dischiudo le porte della misericordia.
A questo punto possiamo capire perché la mitzvà dello shofar non è obbligatoria per le donne. Al di là della spiegazione “tecnica”, ossia il fatto che questa è una norma legata a un tempo fisso, ciò che lo shofar ricorda non è qualcosa che una donna potrebbe accogliere benevolmente. La Aqedàt Yitzchàq fu una questione di uomini e tale rimane tuttora. Non si può chiedere a una donna di essere obbligata a ricordare il sacrificio, se pur solo tentato, del figlio di Sara nostra madre.
Tuttavia, la questione non finisce qui. Il Midrash racconta che Rabbi Aqivà una volta, tenendo una lezione ai suoi allievi, vide che essi si stavano annoiando. Per risvegliarne l’attenzione, chiese loro perché la regina Ester regnasse proprio su 127 province (Ester 1:1). La sorprendente risposta che il Maestro diede ai suoi allievi fu che questo numero era collegato con i 127 anni di vita di Sara (Bereshit 23:1; Bereshit Rabbà 58:3). Vediamo quindi che la festa meno connotata al femminile, come Rosh Hashanà, si ricollega proprio con quella che lo è di più, Purim. Quale fosse il significato del collegamento numerico, Rabbi Aqivà non ce lo ha rivelato: sta a noi scoprirlo.
Per gentile concessione de “Il Portavoce dell’Adei-Wizo”