Parashat Ki Tezè. La derashà del bar mitzvà Gadi Maggiocalda ieri al tempio di via Eupili a Milano
Introduzione
Shabbat shalom a tutti. Cosa significa diventare bar mizvà? A partire dal 13° anno di età e per il resto della propria vita si diviene responsabili del rispetto delle mizvot, dei precetti dettati dalla Torà e dalla successiva tradizione ebraica. Si accetta su di sé la Qabalat ol Malkhut Shamayim, il giogo del Regno dei Cieli. Si tratta di 613 precetti. Già: il famoso: na’asè venishma’ [Es. 24:7]: eseguiremo ed obbediremo / faremo ed ascolteremo. Questo è ciò che rispose in coro il popolo a Mosè. Nella parashà Ki Tezè di mizvot se ne contano ben 74, più di un decimo del totale! Vediamo dunque.
Introduzione specifica
Ho pensato di approfondire una mitzvà di queste 74 e per sceglierne una mi sono fatto guidare soprattutto dalla curiosità. Ho scelto la mizvà dello shiluach haken – del nido d’uccello.
Se per la via s’affaccia innanzi a te, in qualche albero, o per terra, un nido d’uccelli, (ove siano) pulcini o uova, colla madre coricata sui pulcini o sulle uova; non devi pigliar la madre insieme coi figli.
Manderai via la madre, e potrai pigliare per te i figli: così avrai del bene, e vivrai lungamente. [Deuteronomio 22:6-7] Apparentemente si tratta di una mizvà molto semplice ed innocente, quasi ovvia: sii gentile con gli uccellini ed HaShem sarà gentile con te. Stanno effettivamente così le cose?
Difficoltà generali
Approfondendo l’argomento ho scoperto di no. Esistono moltissime interpretazioni di questo precetto, di vario stampo: da quelle razionaliste fino a quelle mistiche. Le prime riconducono il senso al sentimento di compassione, mentre le ultime, che si basano sullo Zohar, addirittura all’opposto: alla crudeltà! Anche la halachà, cioè l’insieme di prescrizioni su quando ed in che modo osservare questa mizvà, molto stranamente, si è biforcata nel tempo. Fino ad arrivare, al giorno d’oggi a due approcci esistenti, quasi l’uno l’opposto dell’altro. La grossa differenza qui consiste nel considerare questa mizvà come facoltativa, cioè solo se si desiderino prendere uova o pulcini, oppure obbligatoria o comunque meritevole, a prescindere dal desiderio di prendere i piccoli.
Difficoltà specifiche
Le prime difficoltà nascono nella Mishnà. In due trattati, Berachot 5:3 e Megillah 4:9, la Mishnà afferma: “Colui che dice: “la Tua misericordia arriva fino ad un nido di uccelli [..] lo si faccia tacere” [Mishà Berachot, 5:3]
Il Talmud fornisce due possibili spiegazioni. Una di queste è: “Perché presenta le misure del Santo, benedetto Egli sia, come se derivassero dalla compassione, misericordia, mentre non sono altro che decreti” [Talmud Bavlì – Berachot, 33b]
Qui la posizione è che se si considerasse questo decreto come una espressione di compassione da parte di D-o si perderebbe il fatto essenziale che invece si tratta di un puro decreto.
Ho scelto di commentare la posizione di Mosè Maimonide, il Rambam (1135 – 1204), a questo argomento, perché è particolarmente stimolante e perché mi è sembrato molto interessante un commento che ho trovato di Rav. Jonathan Sacks (1947).
Cosa dice Maimonide? Tre cose, apparentemente in contrasto ed in contraddizione tra di loro.
1. Sia nel suo commento alla Mishnà che nel Mishnè Torà, il Rambam, adotta pienamente il punto di vista della Mishnà, aggiungendo che se si fosse trattato di mostrare la propria misericordia, allora D-o avrebbe proibito di poter uccidere gli animali per cibarsene. La legge quindi non è razionale e va intesa come un puro ordine, privo di ragione.
2. Nella sua Guida dei Perplessi – scritta circa dieci anni dopo – invece Maimonide afferma esattamente l’opposto. E cioè che la mizvà dello shiluach haken serve ad allontanare la chioccia dal nido proprio per evitarle di addolorarsi nel verder prendere i suoi piccoli. Anzi, l’intento ulteriore della mizvà, per Maimonide, è di far sì che chi la compie, vedendo i pulcini o le uova, non buoni da mangiare, lasci stare del tutto. Questo si inquadra in una più ampia posizione presa da Maimonide nella Guida, relativamente al fatto che tutte le mizvot abbiano un significato e che sia dovere dell’uomo il fatto di ricercarlo, tramite lo studio.
3. Infine, sempre nella Guida dei Perplessi, Maimonide afferma anche una terza cosa differente. E cioè che, poiché la provvidenza Divina si estende agli individui solo relativamente agli umani, mentre per gli animali essa arriva solo fino alle specie, la ragione di tutti i comandamenti relativi agli animali non è tanto di evitar loro del dolore o di trattarli individualmente in modo compassionevole, bensì di insegnare all’uomo ad evitare di essere crudele. Insomma l’obiettivo della mizvà non è la chioccia, bensì l’uomo.
Spiegazione
Su questa contraddizione si sono arrovellati secoli di studiosi. Le spiegazioni proposte ovviamente sono molto numerose e varie.
Cosa dice Rav. Sachs in proposito? Dice che tutte e tre le posizioni sono vere! Questo perché rispondono a tre domande diverse. Rav. Sachs Lo spiega per analogia con situazioni differenti:
1) Un genitore dice al figlio piccolo: “ora di andare a nanna”. Il figlio obbedisce, non perché capisca il significato dell’ordine, ma perché è un ordine del genitore. D’altra parte il genitore dà questo ordine perché sa che un bimbo ha bisogno di dormire. Anche nel caso delle leggi di un paese moderno il meccanismo è simile: i cittadini obbediscono innanzitutto perché altrimenti l’ordine collasserebbe. La prima posizione quindi risponde alla domanda sul perché innanzitutto occorre obbedire alla mizvà. Perché questa è innanzitutto un decreto Divino, a prescindere da ulteriori ragionamenti.
2) Supponiamo che via sia una legge contro certe emissioni di gas inquinanti. La sua ragione immediata potrebbe essere di contribuire ad evitare il riscaldamento globale che danneggia l’ecologia della terra. Analogamente la seconda posizione spiega lo scopo immediato della mizvà: di evitare di infliggere alla madre uccello una sofferenza psicologica.
3) “E allora?” potrebbe obiettare qualcuno. “A me non riguarda. Non mi riguarda il riscaldamento globale, i cui effetti sono lontani nello spazio e nel futuro. Quindi non mi riguardano”. Oppure: “Non mi riguarda la sofferenza di un uccello, cioè di un animale, perché gli animali non hanno diritti. Nessuna legge mi può punire per prendere chioccia e pulcini insieme”. A questa persona, dice Rav. Sachs, occorre spiegare le ragioni ultime della legge e della mizvà.
Il concetto di responsabilità collettiva, nel caso delle emissioni inquinanti, ed il fatto di dover costruire una società basata sul rispetto per la dignità degli uomini e del creato, inclusi ovviamente gli animali. Questo gli uomini devono impararlo, faticosamente, contrastando i propri istinti che spesso invece li spingono verso forme di adorazione del potere, anziché di comprensione e compassione reciproca. E’ vero, gli animali spesso non hanno “diritti”, non sono “agenti morali”. Sono però gli uomini ad avere “doveri” da rispettare, anche se a questi non corrispondono equivalenti diritti. E’ un percorso millenario, tuttora incompiuto. Ciascuno ha il dovere di migliorare il mondo come se il traguardo fosse imminente e di passare poi il testimone alla generazione successiva.
Conclusione
Ecco, mi pare che anche solo da una breve analisi di una così piccola mizvà, definita come “la più facile tra le mizvot”, si possano quindi trarre molti insegnamenti. Insegnamenti sulla, abbiamo visto, amplissima, libertà di interpretazione, ma anche sul significato stesso di cosa sia una mizvà, quale, innanzitutto, comandamento Divino. Sulla possibilità, anzi il dovere, di indagare il senso delle mizvot, ma anche sui pareri contrari a questo tipo di indagine, che secondo alcuni fa ombra alla pura obbedienza, così importante. Insegnamenti sul rapporto ideale che dovrebbe esserci tra uomini ed animali, se anche su quello, ancor più ideale, che dovrebbe esistere tra gli uomini stessi. Certo pensare di dedurre tutto lo scibile, incluso il senso del na’asè venishma’ solo dallo shiluach haken sarebbe eccessivo. Però anche solo questo piccolo studio, con i suoi momenti passati a ragionarci insieme a mio papà, spero che sia un buon inizio.
Ringraziamenti
Il Rav, mio maestro I miei nonni, i miei genitori, i miei fratelli e tutti i miei amici che mi aiutano e sostengono.