Zeved habat di Lea Elena El Baz
Il midrash (Bereshit Rabbà 71,5) riconosce alla matriarca Leàh, in occasione della nascita suo quarto figlio, Yehudàh, una caratteristica unica, che nessuno prima di lei, neanche Adam, Noach, Avraham, Ytzchaq e Ya’aqov avevano avuto, l’arte di ringraziare. Da Leàh discendono Yehudàh e David che hanno la stessa predisposizione. Il primo, Yehudàh, trova infatti il coraggio di riconoscere la propria colpa nell’episodio di Tamar, mentre il secondo, David, dice “Hodù laH. Ki tov – ringraziate il Signore perché è buono”.
Non è chiaro però perché il midrash accomuni questi due atteggiamenti: David loda H. per via dei benefici che ha ricevuto, mentre Yehudàh non fa altro che considerare oggettivamente quanto avvenuto e riconosce il proprio coinvolgimento. Questi due differenti approcci sono in realtà la manifestazione di un medesimo orientamento. Chi loda H. lo fa perché ha considerato oggettivamente la realtà che lo circonda, e chi riconosce una propria colpa, lo fa perché ha la consapevolezza che tutto deriva da H., nel bene e nel male. La quotidianità ci porta a pensare di essere gli unici artefici della nostra esistenza, e di conseguenza a non ringraziare H. Quando ci rendiamo conto però che la realtà delle cose è profondamente differente, e che quanto ci succede non dipende, al contrario di quanto possiamo pensare, solo da noi, realizziamo che è necessario lodare H.
Oggi dobbiamo ringraziare H. per il dono più bello, quello di una figlia, Leàh. Mazal Tov ai genitori, ai nonni, e a tutta la famiglia. Auguro a Leàh Elena di avere la caratteristica della sua illustre omonima, di sapere ringraziare H. per tutto il bene che le darà. Il Ramban, alla fine del suo commento alla parashàh di Bò, scrive che questo è lo scopo di tutta la nostra vita ebraica. Al mattino la prima parola che diciamo è modèh – Ti rendo grazia, e questo sentimento deve accompagnare e ispirare la nostra esistenza.