Medio Oriente. I russi sono una forte presenza. Conservano le loro abitudini, anche alimentari, e la loro lingua. E’ un mondo a parte.
Dan Rabà
I russi in Israele non sono più “russi”: come si sa, la disgregazione dell’Unione sovietica ha fatto riemergere i nazionalismi interni, che si sono via via consolidati: sono ucraini, moldavi, caucasici… parlano lingue diverse e hanno recuperato le loro originarie identità nazionali. E il nuovo caleidoscopio etnico si rispecchia fedelmente nella cospicua presenza di immigrati provenienti dall’ex-Urss in Israele. Si tratta di un milione e mezzo, poco più degli arabi israeliani (palestinesi), diversi dei quali, peraltro, solo sulla carta sono davvero ebrei.
Nelle città, così come gli arabi hanno formato quartieri omogenei con scritte quasi esclusivamente in arabo, i “russi” hanno quartieri abitati principalmente da loro. Come gli arabi, amano molto i mercatini e sono sempre lì a mercanteggiare: tirano sul prezzo, contrattano, discutono! I “russi” d’Israele non sono particolarmente credenti: anzi, con la fine del comunismo sono sì riemerse le religioni osteggiate dal regime, ma la maggioranza della popolazione è rimasta atea, senza un buon Dio, e questo è vero anche nella comunità russa mediorientale.
Per dire, a differenza degli israeliani ebrei praticanti e degli arabi, i russi consumano carne di maiale. Nei loro negozi trovi normalmente prosciutto, salame, nodini e costolette, etc. E, non osservando le regole kosher (che notoriamente mette al bando la carne suina) non pagano le “tasse” ai rabbini per avere il permesso di vendere, e così tutto costa meno che nei negozi degli ebrei, compresi i formaggi, le acciughe, il pollo o il tacchino, alimenti invece contemplati nella dieta kosher. Il problema però è trovarle, queste cose. Già, perché nei loro negozi, tutto è scritto in russo. E un povero israeliano che non conosce la lingua, non ci capisce niente: dov’è il prosciutto? E il salame? Quanto costa? E poi i salumi capita che siano messi insieme ai formaggi, cose che a dir poco disorientano i clienti israeliani ebrei, i quali non mescolano mai carne e latte (e derivati). Anche le scatole, le conserve, la birra e la vodka: tutto ha etichette scritte in russo.
I pochi italiani che entrano nei negozi russi si arrangiano a gesti: per favore mi dia quel salame, quel prosciutto, quella mortadella (sì, hanno anche la mortadella!).
In queste botteghe è sempre possibile assaggiare i salumi e c’è sempre chi, con la scusa, mangia a quattro palmenti.
Ma le commesse sorridono lo stesso.
Sorridono spesso, le donne russe. Sono belle , educate, gentili, non ti urlano dietro e sono ben curate e truccate; persone normali, insomma, ma più avvenenti. Guardandole, ho spesso l’impressione che non vivano la sensualità e il desiderio come un peccato mortale: al banco sanno anche giocare con la loro femminilità. Per molti “locali” le russe sono tutte “sgualdrine”, il che, ovviamente, non è vero: sono semplicemente consapevoli di essere donne. Il femminismo, se c’era, ha lasciato in eredità a queste donne il fatto di essere sensuali e seducenti.
Il senso comune locale (in particolar modo degli ebrei) sostiene che i russi fanno di più all’amore dei religiosi ebrei o degli arabi ma poi rimangono comunque con un figlio solo: questo porta chiaramente a più ampie divergenze sul significato del rapporto uomo/donna e, più in generale, sul concetto di famiglia.
La frequenza di molti figli unici nelle famiglie russe distingue marcatamente questa comunità dagli arabi e dagli ebrei israeliani, che hanno di solito proli numerose.
Nessuno di loro, in bottega, ti guarda male se chiedi solo cento grammi di salame o due bistecche di maiale; nei supermercati israeliani, invece, una persona che compra “poco” (che so, un paio d’etti di prosciutto o di petto di tacchino) viene guardato in tralice.
In Israele i russi e gli arabi sono rispettivamente un milione mezzo (tre milioni in totale), gli ebrei “veri” solo quattro milioni e mezzo. Il problema demografico è sempreal centro del dibattito politico. Ci sono poi russi che si sposano con gli arabi, il che rende il mondo israeliano ancora più variegato e complesso, ma forse questo è anche il suo punto di forza: etnie diverse che si “scontrano” giornalmente ma che contribuiscono altresì a una crescita culturale interna al paese basata proprio sulla diversità dei suoi abitanti. Per vivere integrati al cento per cento in Israele bisogna sapere l’ebraico, l’inglese ma anche il russo e l’arabo; ci vuole una bella cultura emancipata e anti razzista… che però, per ora, non c’è. O forse non viene sufficientemente valorizzata e promossa per interni giochi di potere cui i cittadini non vengono chiamati a partecipare attivamente, e così tutti litigano come in una Torre di Babele.
E pensare che è proprio da Babele – un posto in Mesopotamia, nell’attuale Iraq – che arrivano gli ebrei “originali”. Il povero Abramo, per esempio, che dovette lasciare la casa del padre perché ruppe gli idoli che il padre scolpiva. Abramo credeva in un Dio solo e venne dalla Mesopotamia nella terra che gli indicò il Buon Dio!
http://www.europaquotidiano.it/dettaglio/123406/la_disinvolta_comunita_che_ama_il_maiale_e_sconvolge_il_crogiolo_israeliano