Tre botanici italiani hanno analizzato le 110 piante del Vecchio e del Nuovo Testamento tra curiosità, usi alimentari e metafore spirituali
Francesca Nunberg
LO STUDIO Le piante che uno si aspetta di trovarci non ci sono: la mela che Eva avrebbe offerto a Adamo non è espressamente citata, si parla solo di un generico “frutto dell’albero che sta in mezzo al giardino”, mentre l’Albero di Giuda, che dovrebbe essere un Cercis siliquastrum dai fiori rosa, a cui il traditore si sarebbe impiccato, non è nominato con precisione. In compenso la Bibbia è un lussureggiante giardino botanico dove crescono centinaia di specie, che per la prima volta anche in Italia qualcuno ha deciso di studiare analiticamente. Sono stati tre botanici, Maria Grilli Caiola, Paolo Maria Guarrera e Alessandro Travaglini che nel volume “Le piante della Bibbia” (Gangemi Editore, 208 pagg, 30 euro), hanno ragionato sulle specie vegetali presenti nel Vecchio e nel Nuovo Testamento arrivando a definire quella che monsignor Romano Penna nell’introduzione definisce una «contestualizzazione ecocosmologica della Parola di Dio».
LE QUATTRO LINGUE Operazione complessa, perché oltre alla denominazione scientifica attuale delle piante vengono indicate anche quelle in lingua ebraica, greca, latina e araba (e non sempre l’identificazione è certa). In tutto nel libro vengono analizzate 110 piante, 83 indicate col nome comune e 27 col nome collettivo (abeti, querce, cipressi, ma anche erbe amare e fiori di campo, ecc) con schede, fotografie e citazioni.
Si va dalla Genesi (terzo giorno della creazione) dove è scritto “La terra produsse germogli, erbe che producono seme, ciascuna secondo la propria specie e alberi che fanno ciascuno frutto con il seme. Dio vide che era cosa buona”, alla cacciata dall’Eden, quando il Signore dice all’uomo: “Maledetto il suolo per causa tua, con dolore ne trarrai il cibo, per tutti i giorni della tua vita. Spine e cardi produrrà per te e mangerai l’erba dei campi, con il sudore del tuo volto mangerai il pane”.
LE ERBE AMARE Strettissimo il rapporto tra l’uomo e la terra, con le piante come sorgente di vita, sia reale che metaforica. C’è l’albero della conoscenza del bene e del male e il legno del cipresso con cui Noè costrul l’arca per salvarsi dal diluvio e la foglia d’ulivo portata dalla colomba per annunciarne la fine, il roveto che “ardeva per il fuoco ma non si consumava” durante l’esodo degli ebrei dall’Egitto, le “erbe amare” che ancora oggi vengono mangiate durante il seder di Pesach in ricordo delle sofferenze patite, i giunchi del Nilo tra i quali la madre depose Mosè, il grano e la zizzania (graminacea forse identificabile con il loglio, infestante delle messi), le carrube cibo del figliol prodigo, l’Orto degli ulivi o Getsemani dove Gesù viene arrestato, il sicomoro su cui salì Zaccheo per vederlo. Il bello del libro è l’accostamento terreno/spirituale. Frequenti le citazioni delle piante alimentari, a partire da grano, vite e olivo. Ma spesso le specie del mondo vegetale vengono utilizzate come simboli per concetti etici e spirituali: aglio (benessere), zafferano (fecondità), il giglio (purezza), mirto (sapienza divina), orzo (povertà), quercia (immortalità).
Gli autori hanno classificato le specie in dieci gruppi a seconda del significato prevalente: storico, simbolico, ecologico. Si hanno così le piante della Terra Promessa, tra cui fico, grano, melograno, olivo, vite; quelle della Festa delle Capanne dal cedro al salice; i cereali e le orticole tra cui cetriolo, cipolla, farro, fava; le piante da frutto dal gelso nero alla noce; le officinali, aromatiche e tossiche (assenzio, cicuta, ricino, ruta, senape, cannella); gli alberi dal cedro del Libano al sicomoro; le piante dei luoghi umidi come papiro, salice, loto e giunco; i cardi e le spinose.
MENORAH E SINDONE L’ultimo capitolo è dedicato alle piante del Candelabro ebraico e della Sindone: la prima è la salvia della Palestina, che ha i rami disposti simmetricamente rispetto al fusto e presenta un’incredibile somiglianza con la Menorah a sette braccia, le altre sono le piante e i pollini che hanno lasciato tracce sul lino. Giuseppe di Arimatea e Nicodemo “presero il corpo di Gesù e lo avvolsero con teli, insieme ad aromi, come usano fare i Giudei per preparare la sepoltura”.
Incerta l’identificazione della pianta che componeva la corona di spine, forse si tratta del Lycium europaeum, arbusto molto comune in Israele, con aculei che possono raggiungere i 15 centimetri di lunghezza, o dello Ziziphus spina-christi che produce frutti commestibili, o magari del Sarcopoterium spino-sum, con rami che si piegano molto facilmente. I dubbi della botanica biblica.
Il Messaggero – 5.5.2014