Nella parashàh di Acharè Mot, che abbiamo letto questa mattina, viene descritto il servizio nel Santuario nel giorno di Kippur. Un ruolo centrale è riservato ai due capri, dei quali uno viene destinato al sacrificio ad H. e l’altro viene destinato ad ‘Azazel. I due animali, simili fra loro, vengono assegnati tramite un’estrazione a sorte (Vaiqrà 16,8): “ed Aron tirerà le sorti sui due capri; su una sorte sarà scritto ‘per il Signore’, e sull’altra ‘per ‘Azazel’. La ghemarà in Yomà (39b) afferma che questo aspetto, quello dell’estrazione a sorte, è imprescindibile, e dobbiamo comprendere il perché. In un suo discorso Rav Nevenzal lega questa prescrizione a quanto è scritto nel midrash sui tori che il profeta Elia ed i profeti del Ba’al sacrificarono sul monte Carmelo, episodio narrato nel cap. 18 del primo libro dei Re. In questo confronto, che avrebbe premiato il sacrificio che sarebbe stato consumato da un fuoco celeste, troviamo una stranezza. Infatti viene offerto ai profeti del Ba’al di scegliere il toro da sacrificare, ma subito dopo è scritto che i profeti presero il toro che il profeta Elia aveva dato loro.
Il midrash dice che il toro letteralmente non si schiodò, nonostante i 450 profeti del Ba’al tentassero di spostarlo, poiché il toro non acconsentì ad essere offerto al Ba’al. Il toro infatti diceva: “io ed il mio compagno siamo nati da uno stesso ventre, abbiamo pascolato negli stessi campi, e lui è capitato nella parte di H., mentre io in quella del Ba’al, provocando l’ira divina? Non sono d’accordo!” Elia rispose al toro di non temere: anche lui aveva un ruolo importante, perché avrebbe dimostrato che i profeti del Ba’al non sono in grado di fare scendere un fuoco dal cielo per mangiare la sua carne. Ma il toro non si lasciò convincere, avrebbe acconsentito solamente se fosse stato Elia in persona a consegnarlo ai profeti. L’estrazione a sorte di Kippur ha lo scopo di mostrare ai tori che la scelta non è frutto di una decisione umana, ma arriva dal cielo. Il toro di Elia ci insegna che, se abbiamo la possibilità di avere una condizione migliore non dobbiamo accontentarci.
Il tema principe di Kippur è chiaramente quello del pentimentoper le nostre colpe. Ma nuovamente il servizio di Kippur può istruirci. I sacrifici principali che venivano offerti dal Kohen Gadol erano un capro e un toro. Maimonide nella Guida dei perplessi (3,46) scrive che questi due animali hanno la funzione di espiare due categorie di peccati in particolare. Il toro rappresenta il peccato del vitello d’oro, il capro la vendita di Giuseppe, in quanto, per ingannare il padre, i fratelli scannarono un capro e intrisero la tunica di Giuseppe con il suo sangue. Questi due peccati sono rispettivamente il prototipo delle colpe nei confronti di H. e quello delle colpe verso gli altri individui.
Sul peccato del vitello d’oro i commentatori hanno scritto che non è possibile intendere che il popolo ebraico fosse talmente tanto stupido da credere che il vitello li abbia fatti uscire dall’Egitto, come invece affermano. Se così fosse stato, H. non si sarebbe arrabbiato, ma avrebbe avuto pietà di loro! Il popolo ebraico non intendeva sostituire H., ma voleva un riferimento concreto sul quale si posasse la Presenza Divina, che sostituisse Moshèh, che credevano morto. L’idea non era di certo peregrina: il popolo ebraico sapeva che ci sarebbe stato un Santuario, nel quale H. avrebbe posato la Sua presenza. Ma allora perché H. si arrabbia tanto? Rav Nevenzal sostiene che la colpa sia quella di credere che H. sia costretto dalle nostre azioni a fare qualcosa, nel nostro caso posare la Sua presenza sul vitello. Ma c’è dell’altro: prima di salire Moshèh aveva dato delle indicazioni precise. Ogni problema sarebbe dovuto essere esaminato da Aharon e Chur. Ma quando si convinsero della morte di Moshèh, piuttosto che interrogare Aharon sul da farsi, gli imposero di fare il vitello, e uccisero Chur che si era opposto.
Anche nella vendita di Giuseppe dobbiamo riconsiderare il ruolo dei fratelli, dai quali discendono le dodici tribù, e sono considerati un modello di virtù. Non è possibile che la vendita sia una manifestazione di odio gratuito. Sforno, nel suo commento alla Toràh, ritiene che i fratelli abbiano considerato Giuseppe un persecutore, il cui unico obiettivo era farli peccare e metterli in cattiva luce di fronte al padre. Cosa li portò a sospettare del fratello? Il fatto che nelle generazioni precedenti solo uno dei figli dei patriarchi, prima Isacco, poi Giacobbe, divenne il portatore del messaggio paterno, escludendo gli altri figli. Temevano che Giuseppe facesse lo stesso con loro. E questo pensiero influenzava la considerazione che avevano di lui, e quanto Giuseppe riportava a Giacobbe sulle loro azioni non era visto se non come un tentativo di screditarli agli occhi del padre, e non un sistema per riportarli sulla retta via. Ma sia i fratelli, sia Giuseppe, se avessero considerato l’altra parte in maniera più benevola, avrebbero ragionato in modo totalmente differente. Nelle Massime dei Padri è detto di non giudicare il proprio compagno sino a quando non si è giunti al suo posto. Questo aspetto è molto importante: è scritto nel Talmud (Shabbat 127b) che chi giudica benevolmente, sarà giudicato benevolmente da H. Il profeta Zaccaria dice per due volte di non pensare in cuor proprio il male del prossimo. Viene ripetuto due volte perché si riferisce a due aspetti differenti, il non desiderare che accada qualcosa di brutto agli altri, ma anche il considerare le loro azioni in modo benevolo, senza pensare sempre male. In questo modo si eviterebbero tante discussioni, odio gratuito e maldicenza.
Auguro a tutti voi e alle vostre famiglie Ghemar Chatimàh Tovàh, che H. possa ascoltare le nostre preghiere e giudicarci con benevolenza.