Eccoci giunti all’inizio del giorno di Kippur. Come in ogni situazione difficoltosa, quando si è pietrificati per via del timore del giudizio divino, è necessario che in qualche modo si rompa il ghiaccio. Questa funzione viene svolta dallo Shaliach Tzibbur, che prende il via con la propria tefillah, e gli altri lo seguono. Viene insegnato a nome dello Shelah ha-qadosh che dovremmo unire giorno e notte nello studio della Torah, collegando questi momenti, in modo particolare nel giorno di Kippur, e per questo la derashah di questa sera assume un significato speciale.
Nella mishnah in massekhet Shabbat (cap. II) è scritto che ciascun uomo deve dire all’interno della sua casa,alla vigilia dello Shabbat all’imbrunire, tre cose: “issartem? ‘eravtem? hadliqu et ha-ner – avete prelevato le decime? Avete preparato l’eruv? Accendete i lumi!” ‘Ateret Yeshuah riferisce questo brano al giorno di Kippur: chi tiene la derashah deve risvegliare il cuore dei figli di Israele alla teshuvah, all’interno della “Sua casa”, la casa di QBH, il bet ha-keneset, all’imbrunire, vale a dire in questo momento in cui inizia il digiuno di Kippur, che nella Torah è chiamato Shabbat, chiedendo: a) ‘isartem: avete fatto teshuvah negli ‘aseret yemè teshuvah, i dieci giorni penitenziali, che vanno da Rosh ha-shanah a Kippur? b) ‘eravtem: avete fatto teshuvah come stabilito, confessando le proprie colpe con animo puro alla vigilia di Kippur (‘erev Yom Kippur)?; c) hadliqu et ha-ner: accendete il lume; l’anima umana viene paragonata ad un lume, e il nostro compito durante questa sacra giornata è quello di far risplendere il nostro lume. In una famosa mishnah R. Aqivà paragona il processo della teshuvah all’immersione nel miqveh, che è costituito da acqua concentrata in un punto.
Affinché la purificazione abbia effetto è indispensabile che ci si immerga nel miqveh. Se sottraiamo al miqveh tutta l’acqua del mondo e la versiamo su chi intende purificarsi, è come se non avessimo fatto nulla. Dice H. “Shuvu elai weashuvah alechem – tornate a Me e io tornerò a voi”. Siamo noi che dobbiamo fare il primo passo, il resto verrà da solo. I chakhamim dicono che ‘itzumò shel yom mekhapper – il giorno stesso espia”, Kippur ha questo enorme potere, ma serve una scintilla da parte nostra (Ketav Sofer). Il testo del Kol nidrè è molto istruttivo in questo senso: indipendentemente dalla solennità con cui viene recitato, sembra essere un testo legale, senza sentimento, qualcosa staccato dalla nostra vita – perché in fondo dovremmo fare uno scioglimento collettivo di voti oggi piuttosto che in un’altra occasione? – ma in realtà possiamo riferirlo al nostro modo di porci nei confronti del mondo, alla nostra interiorità, e alle etichette che ci appiccichiamo, volenti o nolenti: “sono un intellettuale”, “non mi emoziono mai”, “sono irrimediabilmente pigro” – non c’è niente da fare, sono fatto così. Facciamo tanti voti, poniamo infinite condizioni con noi stessi. Kippur e la teshuvah ci invitano ad esplorare il nostro potenziale, a prendere consapevolezza del fatto che abbiamo la capacità di andare oltre questi abitini preconfezionati, e scoprire e far vedere chi siamo veramente (Rav Steinsaltz).
Nefesh David (p. 139) scrive che il Rav prima di Kol nidrè e prima di Ne’ilah andava in giro per il bet ha-midrash, guardando il pubblico presente, cercando di ricordare con chi dovesse riappacificarsi e ancora non lo aveva fatto, e quando fu nominato Rav nella derashah di Shabbat teshuvah chiedeva perdono a tutta la comunità, e vorrei fare lo stesso ora con voi, e vi invito a fare altrettanto fra voi. Il Ben Ish Chay (anno 1, parashat Wayelekh, halakhah 5) scrive che prima di recitare Kol nidrè il chazan diceva “signori, perdonatevi l’un l’altro!”, e il pubblico rispondeva “abbiamo perdonato”!, e questo era l’uso di Baghdad. E così scrive anche un glorioso e antico testo romano, il Sefer ha-taddir (p. 252): “chiedono perdono l’un l’altro e l’un l’altra; e se è risaputo che vi è del risentimento nella città ci si sforzi durante la giornata di far pace fra di loro”.
Come già ho avuto modo di ricordare Shabbat nella derashah, non c’è forma di difesa più grande per affrontare Kippur. Molto pragmaticamente: non possiamo permetterci di fare altrimenti. In caso contrario partiremmo in una condizione insostenibile. Risentimenti e inimicizie all’interno della nostra kehillah vanno avanti da tanto, troppo tempo, e non possiamo, né dobbiamo proseguire in questo atteggiamento. Questo è il momento.
Shanah Tovah e gmar chatimah tovah a tutti voi.