Nell’ora di Ne’ilà 5785 – il discorso del rabbino capo di roma in occasione di Kippùr
Meno di una settimana fa, domenica sera. il Tempio Maggiore era affollato all’inverosimile, ancor più di quanto lo sia questa sera all’ora di Ne‘ilà, per ricordare il massacro del 7 ottobre e l’attentato del 9. Dopo un anno pieno di preoccupazioni per la situazione in Eretz Israel quest’ultima settimana è stata ancora meno tranquilla, per la situazione militare e l’anniversario che ha acutizzato tutte le tensioni. La risposta identitaria della nostra comunità è stata forte fin dai primi momenti, unendosi nella sua grande maggioranza e superando divisioni interne anche molto profonde.
Questo perché abbiamo compreso, emotivamente prima ancora che razionalmente, che era ed è in gioco la vita stessa del nostro popolo. Yom haKippurim, dicono i Maestri, può essere letto Ke-Purìm, “come Purim”, ci sono molte cose del Purim che lo rendono simile al Kippùr. Commentando un dettaglio della storia di Purìm, il gesto del re Ahashveròsh che si toglie l’anello per darlo ad Haman, in modo che sigilli il decreto di sterminio, i Maestri osservano che l’efficacia di quel semplice gesto fu superiore a tutte le lezioni di 48 profeti e 7 profetesse di Israele. Purtroppo servono dei segnali molto forti perché ci si svegli e ci si renda conto della nostra condizione. È un bene o un male? Di bene ci può essere solo l’effetto del recupero di identità, per il resto è tutto male, la sofferenza, la perdita di vite, la constatazione di quanta perversione ci possa essere nell’animo umano, e quanto sia difficile la condizione ebraica.
Non dovremmo mai arrivare a questo punto: ricordarci che siamo ebrei perché c’è l’antisemitismo. Da anni e in tempi migliori, tanti giornalisti, anche ebrei e anche non italiani, mi hanno fatto la stessa domanda: c’è antisemitismo in Italia? È utile saperlo ma non basta. Come se l’unico o principale problema fosse questo per noi. Sono state molto più rare altre domande come: Quanti bambini nascono ogni anno? Quanti vanno a scuola ebraica? Quanti matrimoni? Quanti frequentano le Sinagoghe? Quanti mangiano kashèr? Quanti studiano Torà? E così via. Queste domande sono molto più importanti, perché riguardano l’intensità della vita presente e le prospettive per il futuro. Ma l’identità al negativo -sono ebreo perché mi perseguitano- prevale su quella positiva, esercita un fascino maligno e per molti purtroppo è l’unica possibile. Ma è tristezza contro gioia, angoscia contro serenità, morte contro vita, buio contro luce.
Abbiamo un uso antico, quello di accendere un lume, una candela, in memoria di chi ci ha lasciato. E proprio a Kippùr se ne accendono tante, bisogna far luce. Una candela che arde simboleggia l’anima, la vita. Ma qual è il rapporto tra le due cose? Ci sono varie spiegazioni. Una è che la fiamma è diretta sempre verso l’alto. Un’altra dice che un fuoco può accenderne tanti altri, senza mai consumarsi. E il fuoco chiede sempre un combustibile, una materia di cui alimentarsi. Per questo simboleggia l’unione di spirito e materia, che caratterizza la nostra realtà di esseri viventi. E per tanti motivi questo fuoco può non ardere bene e basta poco, un soffio, per spengerlo. Ognuno di noi ha una luce dentro che può brillare più o meno, che può accenderne tante altre. ma che rischia di essere spenta. Ogni momento della nostra vita dobbiamo curarla, farla brillare bene, impedire che si spenga. Gli eventi negativi dovrebbero ricordarci che abbiamo dentro questo fuoco. Ogni ebreo dovrebbe sapere quale forza potenziale ha dentro di sé. Lo deve fare con umiltà perché non c’è grandezza senza umiltà; nessuno per l’ebraismo è perfetto, ma tutti hanno la possibilità e il dovere di crescere.
A questo serve Yom Kippùr, a farci capire le nostre debolezze ma anche la nostra capacità di superarle e sviluppare la nostra forza. In quest’ultima ora di Ne‘ilà, dice rav Sacks, “Hashèm ci chiama alla grandezza”, che è tutto quello che ognuno di noi può fare per aggiustare il mondo sotto il regno dell’Onnipotente, quello che il nostro popolo ha sempre cercato di fare con le sue guide, i suoi profeti, i suoi maestri, i suoi scienziati; con la guida della Torà che non è un accessorio ma è l’essenza della nostra natura.
Malgrado tutto quello che succede intorno a noi, preghiamo per una sentenza a noi favorevole, che sia questo un anno buono, di tranquillità, di pace e di crescita.
חתימה טובה, תזכו לשנים רבות
Riccardo Shemuel Di Segni