Basate sul Ben Ish Chay di Bagdad e sul Bet Mo’ed le-khol Chay di Smirne
- Yom Kippur non espia le trasgressioni compiute verso il prossimo finché non lo si sia risarcito e non gli sia stato chiesto perdono (Mishnah Yomà 85b): entrambe le condizioni sono necessarie. L’uso di Baghdad era che appena terminato il Kol Nidrè (Kol Nedarim) il Chazan si rivolgeva al Qahal e ad alta voce diceva: “Signori miei, perdonatevi a vicenda” e tutti rispondevano “Perdoniamo”. In caso di offesa individuale questa procedura non è sufficiente, ma ha la forza di creare un’atmosfera di disponibilità collettiva in vista del giorno più sacro.
- Occorre chiedere perdono in particolare ai propri genitori prima di recarsi al Bet ha-Kenesset la sera di Yom Kippur. Se il figlio non lo fa è dovere dei genitori perdonarlo comunque. Lo stesso obbligo speciale incombe nei confronti del proprio maestro.
- E’ necessario immergersi nel Miqweh alla vigilia di Yom Kippur come mezzo di purificazione. L’obbligo incombe anche per le donne, aldilà della tevilah mensile, persino se non sposate. In tal caso occorre fare attenzione che una donna non può immergersi nella stessa acqua già adoperata da un uomo. E’ quindi necessario che le donne vadano prima o che si sostituisca l’acqua dopo l’uso da parte degli uomini.
- E’ uso che le signore accendano i lumi per Yom Kippur come il venerdì sera, recitando la Berakhah: “…lehadliq ner shel Yom ha-Kippurim”. Dal momento che durante Yom Kippur non si mangia, c’è chi usa accenderli in camera da letto anziché in sala da pranzo, come memorandum per evitare di incorrere nel rapporto coniugale che di Yom Kippur è vietato. Vi sono altre due spiegazioni: a) il lume rappresenta la Torah, che fu consegnata in via definitiva durante Yom Kippur, allorché Moshe scese dal Monte Sinai con le seconde tavole della Legge; b) la parola ner (lume) ha il valore numerico di 250, pari alle 248 membra del corpo umano più le due componenti dell’anima ruach e nefesh. Chi recita She-hecheyyanu in quel momento prende su di sé l’osservanza di Yom Kippur pur avendo acceso in anticipo rispetto al tramonto.
- Nel mondo ashkenazita è uso approntare i lumi di Yom Kippur fin dall’antevigilia, 8 Tishrì, data in cui cominciò l’inaugurazione del primo Bet ha-Miqdash del re Shelomoh. Ciò vale non solo per i lumi domestici di cui si è già parlato, ma anche per i lumi da accendere nel Bet ha-Kenesset. Yom Kippur è come Shabbat sotto questo aspetto e non consente nessun trasporto del fuoco. Quando non c’era l’elettricità si dovevano accendere candele o lumi a olio in congrua quantità che dovevano rimanere accesi per tutta la giornata onde consentire le Tefillot. Di notte dovevano essere sorvegliati a scanso di danni: da qui l’uso di rimanere nel Bet ha-Kenesset la notte di Yom Kippur.
- Gli uomini che non accendono i lumi si assumono l’osservanza di Yom Kippur recitando She-hecheyyanu subito dopo Kol Nedarim, una volta che questo venga detto prima del tramonto. Si può uscire d’obbligo scegliendo di ascoltare la recitazione del Chazan, ovvero ripetendola subito dopo a voce bassa per proprio conto.
- Un minore a partire dai 9 anni deve essere educato a digiunare a ore e deve completare il digiuno per disposizione rabbinica una volta che ha compiuto 11 anni, maschio o femmina. Secondo altri non ha l’obbligo di portare a termine il digiuno finché non sia Bar/Bat Mitzwah (R. Menachem ‘Azaryah da Fano, Resp. n. 111 che stabilisce la Halakhah secondo l’opinione facilitante di R. Yochanan). Una volta che il ragazzo abbia raggiunto i 13 anni e la ragazza i 12 sono senz’altro obbligati a digiunare per tutto il giorno per disposizione della Torah.
- Occorre fare attenzione la sera di Yom Kippur a non lasciare sul proprio comodino accanto al letto un bicchier d’acqua neppure se si intende tenerlo per i bambini piccoli qualora si sveglino assetati durante la notte, perché l’adulto potrebbe svegliarsi di notte con la sete a sua volta e berselo soprappensiero. A questo caso vengono riferite le parole del Salmo 7: we-lo hekhin kelè mawet (“e per se stesso ha predisposto recipienti di morte”).
- E’ proibito qualsiasi contatto fisico con la propria moglie per tutto il giorno. In caso di seria necessità ci si può basare su un’opinione facilitante che limita il divieto in questione solo durante le ore notturne. Marito e moglie dovrebbero coricarsi in letti separati.
- Anche se c’è chi non proibisce il contatto con i cibi, è opportuno essere rigorosi. Lo si permette solo a coloro che hanno l’incombenza di dar da mangiare ai bambini. Tutti gli altri è opportuno che se ne astengano.
- Dal momento che Yom Kippur è giorno di digiuno, i Maestri hanno stabilito di onorarne la festività indossando abiti puliti (kessùt neqiyah) e apparecchiando la tavola con la tovaglia festiva, come di Shabbat.
- Si indossano solo scarpe di panno o tela. Pertanto si ometterà la Berakhah “… she’assah li kol tzorkì” dalle Berakhot del primo mattino, in quanto si riferisce secondo un’interpretazione alle calzature. Anche chi teme di essere oggetto di scherno da parte dei passanti ha il divieto di camminare per la strada con le calzature consuete (Kaf ha-Chayim a O.Ch. 614, n. 34). Le scarpe di panno o tela richiedono Netilat Yadayim dopo averle toccate: essendo Yom Kippur in cui è proibita ogni forma di lavaggio, la Netilah va compiuta fino alle articolazioni delle dita e non per tutta la mano.
- Occorre recitare le confessioni, le Selichot e in generale tutte le Tefillot della giornata con kawwanah particolare. Ciò vale specialmente per i Tredici Attributi Divini che formano il punto centrale della Tefillah.
- Le cinque afflizioni (il divieto di mangiare e bere, di avere rapporti coniugali, di lavarsi, di ungersi e di indossare scarpe di cuoio) si motivano secondo una spiegazione come un ricordo dei 5 libri della Torah. Secondo un’altra spiegazione il valore numerico di 5 è rappresentato dalla lettera he, che come è noto si scrive con una larga apertura verso il basso. Essa rappresenta rachamim, la misericordia con cui H. accoglie coloro che dal basso risalgono verso di Lui e attraverso la he vengono riammessi alla Sua presenza. Che H. trasformi il din (giustizia) in rachamim (misericordia).