“Quando avrete passato il Giordano, ecco quelli che staranno sul monte Gherizim per benedire il popolo” (Deuteronomio 27:12). “Maledetto chi non si attiene alle parole di questa Torà, per metterle in pratica! E tutto il popolo dirà: Amen” (Deuteronomio 27:26). Il Talmud (Sotà 36) ci spiega questa cerimonia di cui parla la Torà. Sei tribù d’Israele salgono sul monte Gherizim e sei sul monte Eval; i Sacerdoti e i Leviti con l’Arca dell’alleanza in mezzo alla valle in basso. I Leviti si voltano verso il monte Gherizim e iniziano a benedire… e tutti rispondono Amen; poi si voltano verso il monte Eval e iniziano a maledire…
In italiano, benedire deriva dal latino benedicere che letteralmente significa “dire bene”, parlare bene e in bene di una persona. Maledire è il suo contrario che, sempre letteralmente, significa “dire male”, parlare male e in male di una persona.
In un certo senso, sembrerebbe essere equo pensare e dire bene di chi si comporta bene e di chi si comporta male, sarebbe altrettanto giusto pensarne e dirne male.
Dunque benedire, o maledire, non dipenderebbe dal soggetto che benedice e maledice, bensì dall’oggetto che merita, con le sue azioni, che di lui si parli bene o male.
Si racconta che a Vienna, proprio nella settimana in cui si sarebbe letto il brano della Torà citato, si tenne una grande riunione in una casa dove sostava il Chefetz Chayym (Yisrael Meir Poupko Kagan 1839-1931) e molti ebrei accorsero per chiedere dal grande maestro una benedizione. Per la sua grande umiltà il Chafetz Chayym disse di non meritare questa responsabilità, tuttavia l’insistenza fu molta e così iniziò a benedire le persone. Tra questi, si presentò una persona con il figlio che il maestro non conosceva. Il Chafetz Chayym si rivolse al padre e disse:
Non so perché tu richiedi da me una benedizione. Se mandi tuo figlio a studiare in una Yeshivà non hai bisogno affatto della mia benedizione perché già ti hanno benedetto i seicentomila che sono lì, e tra loro i Sacerdoti e i Leviti e la Presenza Divina (Shekhinà) con l’Arca dell’Alleanza, con le parole “Benedetto chi si attiene alle parole di questa Torà”. Ma se invece lo mandi alla “Schola” dove si studiano materie profane, non posso benedirti lo stesso. “Ich bin nicht kein kratzer” non posso grattar via questo ammonimento.
Nel sentire queste parole, Il padre del ragazzo sentì un forte tremore interiore che lo pervase completamente e, al tempo stesso, rimase estremamente impressionato di come il Chafetz Chayym avesse centrato la questione.
Anche se i tempi sono diversi e le società sono mutate, quello che non cambia mai è la centralità della Torà nella nostra vita. Tutto dipende dalle scelte che facciamo e dalle azioni che ne conseguono, per le quali, sotto la lente focale della Torà, meriteremo che di noi si parli bene o male, Shabbat Shalom!