La rassegna stampa ebraica dal mondo di Kolòt a cura di Ruth Migliara
Come gli ebrei israeliani percepiscono il legame con la Diaspora?
Quando si tratta di riconoscere l’appartenenza spirituale e religiosa al popolo ebraico di chi vive fuori da Israele, tutti sembrano d’accordo. Più del 60% degli intervistati secondo un’indagine del Ministero per gli Affari della Diaspora sostiene il riconoscimento dell’importanza degli ebrei in Galut.
Allo stesso modo, tutti, religiosi e non, ritengono che fondi e progetti vadano destinati alla Diaspora dal governo israeliano, a cominciare da quelli finalizzati al sostegno della comunità internazionale contro l’antisemitismo, a quelli volti a incoraggiare l’aliyà, in particolare dove gli atteggiamenti persecutori sembrerebbero più diffusi e pericolosi.
Maggiore è il legame percepito in Israele con le comunità ebraiche nel mondo, se a parlare sono i gruppi più religiosi. Tuttavia le percentuali crollano se si parla di diritto di voto per Israeliani residenti all’estero. Il 67% degli intervistati nega infatti la partecipazione attiva alla vita politica dello stato per chi, da Israele, è emigrato all’estero.
Ne emerge un quadro per cui gli ebrei israeliani sembrerebbero vedere di buon occhio ogni iniziativa finalizzata alla coesione internazionale della comunità ebraica in quanto entità religiosa, mentre maggiori diffidenze riguarderebbero invece il legame del singolo ebreo in diaspora, come soggetto politico nei confronti di Israele.
www.jpost.com/JewishWorld/JewishNews/Article.aspx?ID=189455&R=R1
Vivere per 111 anni
Non è solo il privilegio di qualche patriarca biblico, ma anche di Fannie Buten, deceduta il 29 settembre di quest’anno. Questa donna di Philadelphia, prima di cinque figli, era la persona ebrea più anziana del mondo. Nata due secoli fa, aveva assistito a due guerre mondiali e a aveva visto lo sbarco sulla luna.
La memoria storica di chi ha vissuto un secolo in prima persona è un patrimonio da valorizzare ogni giorno prima che scompaia e rimanga solo racconto impersonale in qualche libro di storia.
http://www.jta.org/news/article/2010/09/29/2741086/fannie-buten-oldest-jewish-person-dies-at-111
Internet: ebraica come Hollywood
Secondo il sito www.tabletmag.com non sarebbe un caso se Jimmy Galles e Mark Zuckerberg, creatori rispettivamente di Wikipedia e di Facebook, siano entrambi ebrei. Una logica prettamente ebraica sarebbe infatti alla base di questi e di altri celebri social network e piattaforme virtuali.
Google, Oracle, Wikipedia, and eBay sono solo alcune tra le compagnie operanti sul Web tra i cui fondatori spiccano i nomi di numerosi ebrei. Nel corso dei secoli la comunità ebraica, dispersa e disseminata come minoranza nel mondo, ha creato una modalità di pensiero e discussione che ne ha permesso l’unità e la continuità. Questa logica di confronto, volta a creare coesione e partecipazione su dei principi comuni tra una multitudine di persone disseminata in luoghi diversi, si è concretizzata nella Ghemarà.
Compilata tra il 350 e il 500 e.v. circa, la Ghemarà contiene commentari rabbinici alla Mishnà, il corpus della legge orale ebraica fissato da Rabbi Yehuda Ha’Nasi nel secondo secolo. Si tratta dunque di una modalità dialettica di confonto su tematiche comuni che ha permesso l’organizzazione e la sopravvivenza della vita religiosa ebraica.
Una logica in cui il singolo dà il suo apporto individuale a una discussione globale e si sente in questo partecipe in prima persona di una comunità universale unita da volari comuni. Sul medesimo sistema pertanto, sembrano reggersi gli attuali social network e le enciclopedie virtuali. I creatori di questi spazi web vi avrebbero dunque riversato un modus prettamente ebraico parte del loro retroterra culturale.
http://www.tabletmag.com/news-and-politics/46241/web-jew-0/.
Kashrut per laici che ci tengono
La Kashrut non è solo una normativa alimentare per chi vuole rispettare il dettato di una religione ortopratica, qual’è l’Ebraismo, ma è, sulla base di quanto riportato su http://www.jta.org/news/article/2010/08/31/2740386/the-allure-of-kosher-food-for-the-holiday-table, un elemento di coesione per chi, pur non essendo religioso, è ebreo e desidera non perdere il legame con le proprie radici.
Così, per esempio, c’è chi racconta di presentarsi con vino Kasher se invitato a una cena di Shabbat, anche se nel quotidiano beve dell’altro, per senso di rispetto e appartenenza a una tradizione familiare. O che afferma di comprare cibo adatto alla Pasqua ebraica, anche se normalmente non si preoccupa di mangiare Kasher. Incoerenza e ipocrisia?
Il filosofo marxista Walter Benjamin spiega la sua personale esperienza alla luce di un (illusorio) potere del manufatto di far crollare le distanze tra produttore e consumatore. Per cui afferma che -“nel tenere una bottiglia di Cabernet dello Yarden, sento un collegamento fisico al suolo, ad ogni singolo acino d’uva e ai lavoratori che l’hanno prodotto.”- -“E quando lo verso nella mia coppa e faccio il Kiddush, mi sento collegato alle generazioni di ebrei che per secoli hanno fatto altrettanto a tutt’ora lo continuano a fare ovunque essi vivano.”-
Le sue dichiarazioni ci pongono la questione se sia davvero necessario giudicare le motivazioni di chi, normalmente incostante e distaccato ripetto alle proprie origini ebraiche, vi dedichi anche solo un minimo gesto una tantum, o se invece valga di più valorizzare quella piccola attenzione nel suo grande valore, tanto più se a farlo sia chi vive lontano da una pratica religiosa assidua.