Come per ogni parashà gli argomenti di cui trattare sono molti, ma non si può fare a meno di trattare dell’argomento centrale della Parashà di Itrò: la promulgazione del Decalogo, traduzione più corretta di quella più usata “ Dieci Comandamenti”, in quanto la Torà li definisce Dibberot o Devarim, cioè parole: da cui – Decalogo. Difficile dire qualcosa di nuovo su un argomento del genere, anche se in generale quanto più un tema è centrale nella storia e nella cultura, tanto più si tende a sorvolare e dare per scontato che sia tutto chiaro.
Nell’analizzare la prima delle parole, abbiamo fatto ricorso innanzi tutto a quanto già espresso in passato da due Maestri italiani: Rav Angelo Sacerdoti e Rav Isacco Samuele Reggio (soprannominato IaShaR dalle iniziali del nome).
Rav Sacerdoti nel commentare la parola “Io sono il Signore tuo Dio che ti ha tratto dalla terra d’Egitto, casa degli schiavi” , divide il testo in due parti:
La prima comprende “le parole Io sono il Signore tuo Dio” e in essa non si impone di credere all’esistenza di Dio, ma tale esistenza viene affermata come un fatto che non può essere soggetto al riconoscimento o meno da parte degli uomini. Pertanto il 1° comandamento è nella sua forma assiomatica un postulato dal quale deriva tutta la concezione religiosa e morale contenuta nel Decalogo intero. ….
Ora le parole “che ti ha tratto dall’Egitto” sembrano limitare il ruolo avuto da Dio nella storia del Mondo e ci saremmo aspettati l’espressione Io sono il Signore che ha creato il cielo e la terra. L’espressione usata dalla Torà “che ti ha tratto dall’Egitto” sembra avere un valore nazionale e non universale, cosa che contrasta con la portata e il significato della rivelazione.
Già Rabbi Yehudà Halevi nel libro Hakuzari (“Il Re dei Kazari” in italiano) pone questa domanda nella bocca del Kazaro: il saggio Cristiano e quello Musulmano dichiarano di credere nel Dio che ha creato il cielo e la terra, mentre il saggio ebreo risponde: Io credo nel Dio di Abramo Isacco e Giacobbe che trasse i figli d’Israele dall’Egitto con prodigi e miracoli … una risposta che stupisce il Kazaro. Yehudà Halevì spiega i motivi di questa “dissonanza” ebraica e rimandiamo alla lettura del suo testo.
Rav Sacerdoti rigetta la tentazione di interpretare questa affermazione come dovuta a motivi tecnici o tattici, e cioè la necessità di presentarsi come colui che conoscevano perchè aveva appena liberato gli ebrei dall’Egitto, terra dalla quale erano appena usciti, e propone un’altra spiegazione:
… il riferimento alla redenzione della schiavitù egiziana ha lo scopo di affermare che il decalogo è una legge talmente elevata e sublime che solo un popolo libero e affrancato può accettarla e farla sua. …. La libertà di fronte agli uomini è condizione necessaria per sottostare alla legge divina, come l’accettazione dell’’Ol Torah, del giogo della legge, è condizione indispensabile per conquistare la propria libertà interiore ed esteriore. L’interpretazione talmudica, la quale commenta il versetto haruth ‘al haluhot (inciso sulle tavole della legge), dicendo di leggere herut ‘al alluhot (la libertà è nelle tavole della legge) è certamente e profondamente vera e trae origine dalla spiegazione del 1° comandamento.
Le mizvoth per Adam e per Israel
Nel suo Commento alla Torà IaShaR (Izchak Shmuel Reggio) Esodo cap. 20, 2, scrive (traduzione dall’ebraico).
Sappi che esistono due modi attraverso cui il Signore, benedetto sia, si relaziona alle creature, e in rapporto ad esso ci sono due tipi di servizio e di azioni che le creature devono fare per servire il Creatore.
Il primo tipo di relazione è quello che ha stabilito con tutti i popoli che ci sono sotto il cielo, per i quali il premio e la punizione si manifestano nelle cose che accadono: carestia o abbondanza, animali feroci e sicurezza, guerra o pace, peste e vita, che sono i quattro ordini che comprendono ogni bene o ogni male e che possono accadere a tutti i popoli, e in rapporto a questi i popoli hanno l’obbligo di servire il Signore solo mediante le mizvoth razionali che sono le Sette leggi di Noè e i loro particolari, denominati Torath haadam, la Torà di Adam;
Il secondo tipo di relazione è quello che riguarda il popolo d’Israele, ….. e in rapporto ad esso, Israel deve servire il Signore facendo i 613 precetti e i loro particolari…. (Il Signore) dice: dato che ti ho fatto uscire dalla terra d’Egitto, dalla casa degli schiavi, con segni e prodigi, cosa che non ho fatto con nessuna nazione, e vi ho scelto come miei servi; e dato che (come si rileva da Esodo 2, 23) voi avete già assunto l’obbligo di accettare il giogo del Regno del Signore, ora dovete accettare questa mizvà (che i Maestri chiamano) “Kabbalat ‘ol malkhut shamaim” (Accettazione del Giogo del Regno celeste) e l’hanno appoggiata a questo verso…… ma non l’hanno chiamata Giogo delle Fede divina … ora nessuno ebreo può dire “sarò come i gentili” e questo, per quanto è scritto in Ezechiele (20: 32 – 33): “Ciò che vi salta in mente non accadrà, cioè ciò che voi dite: saremo come i gentili … quanto è vivo il Signore … giuro che con mano forte e con braccio disteso e con ira furente io regnerò su di voi”.
Rousseau: la legge di Mosè l’unica a sopravvivere…
Quest’ultima affermazione del profeta Ezechiele risponde alla domanda implicita che si fa da J. J. Rousseau, autore del Contrat social:
E’ perciò che questa singolare nazione, così spesso soggiogata, così spesso – all’apparenza – dispersa e distrutta …. si è tuttavia conservata fino ai giorni nostri sparsa tra le altre senza confondervisi; e che i suoi costumi, le sue leggi, i suoi riti, sussistono e dureranno quanto il mondo, nonostante l’odio e le persecuzioni del resto del genere umano.
Non si vedono più come una volta popoli che si vantano di essere autoctoni, aborigeni, figli della terra o della contrada che abitano. Le frequenti rivoluzioni del genere umano hanno talmente trapiantato o fuso le nazioni che, eccettuata forse l’Africa, non resta una sulla terra che possa vantarsi di essere originaria del paese di cui è in possesso. …..
Ma è uno spettacolo stupefacente e veramente unico vedere un popolo senza patria, privo di tetto e di terra da circa 2000 anni, un popolo misto di stranieri, forse senza più un solo discendente delle primitive razze, un popolo sparso disperso sulla terra, asservito e perseguitarlo, disprezzato da tutte le nazioni che, nondimeno, conserva le sue caratteristiche, le sue leggi, i suoi costumi, il suo amore patriottico per l’originaria unione sociale, quando tutti i legami sembrano spezzati.
Gli ebrei ci danno un sorprendente spettacolo: le leggi di Numa, di Licurgo, di Solone sono morte; quelle di Mosè, ben più antiche sono sempre vive. Atene, Sparta e Roma sono perite e non hanno più lasciato figli sulla terra; Sion distrutta non ha perso i suoi. Essi si mescolano tra tutti i popoli e non si confondono mai; non hanno più capi e sono sempre un popolo; non hanno più patria, e sono sempre cittadini.
Quale deve essere la forza di una legislazione capace di operare simili prodigi, capace di sfidare le conquiste, le dispersioni, le rivoluzioni, gli esili, capace di sopravvivere ai costumi, alle leggi, all’autorità di tutte le nazioni, che, infine, per queste prove promette loro di continuare a sostenerli tutti, di vincere le umane vicissitudini, e di durare quanto il mondo? Di tutti i sistemi di legislazione che ci sono noti, gli uni che sono enti razionali, la cui stessa possibilità è discussa; altri hanno prodotto solo pochi fedeli, altri non hanno mai fatto uno Stato bene costruito, eccettuato questo qui, che ha subito ogni prova ed ha sempre resistito. L’Ebreo e il Cristiano sono concordi nel riconoscervi la mano di Dio che, secondo l’uno, sostiene il suo popolo e, secondo l’altro, lo punisce; ma chiunque deve riconoscervi una meraviglia unica, le cui cause, divine o umane, certamente meritano lo studio e l’ammirazione dei saggi più di tutto quello che la Grecia e Roma offrono di ammirabile in materia di istituzioni politiche e di insediamenti umani*.
Nel leggere queste pagine di J. J. Rousseau si rimane davvero meravigliati, perché provengono da un pensatore illuminista che aveva spirito critico e che comunque era stato educato in un ambito che certamente non amava il popolo ebraico.
A distanza di oltre due secoli, dopo gli eventi che hanno caratterizzato la storia del popolo ebraico dalla rivoluzione francese in poi, cosa direbbe oggi J.J. Rousseau e, soprattutto, cosa abbiamo da dire noi?
Scialom Bahbout
* Queste pagine inedite di Jean Jacques Rousseau, conservate alla biblioteca pubblica di Neuchatel sono state segnalate da Pierre – Maurice Masson nella sua edizione critica della Profession de foi du Vicaire savoyard, Parigi 1914, p. 375, nota 1. Masson ne ha fornito la trascrizione parziale in La religion di Jean – Jacques Rousseau, vol. II pag. 240.
Izhak Shemuel Reggio (Gorizia 1784 – 1855)
Studiò con il padre ebraico e Bibbia. Conosceva oltre all’italiano francese, tedesco latino e lingue semitiche e matematica (risolse un importante problema matematico).. Tra gli ideatori del Collegio Rabbinico di Padova. Autore di un commento alla Torà (Beur la Torà) e di numerosi studi.
Il padre guardava con simpatia e apertura al grande fermento culturale del mondo ebraico tedesco (Haskalàh) suscitato dall’opera filosofica ed esegetica di personalità quali Moses Mendelssohn e Naftaly Herz Wessely.
Con il ritorno di Gorizia all’Austria, però, Reggio venne allontanato dall’incarico pubblico che ricoprivae si dedicò a studi esegetici e filosofici. Il primo frutto di questo notevole impegno è da ravvisare in una nuova traduzione italiana completa di commento ebraico del Pentateuco: La Legge di Dio ossia il Pentateuco (Vienna 1821) che uscì in cinque volumi preceduti da un trattato in ebraico sulla rivelazione divina: Ma’amar Torah min ha-Shamayim (Vienna 1818).
Su questa problematica della modernizzazione degli studi ebraici, e in particolare rabbinici, egli offrì poi un notevole contributo provvedendo a pubblicare anonimamente un appello affinché le comunità ebraiche italiane del Regno Lombardo-Veneto creassero, secondo gli auspici delle autorità viennesi, un nuovo istituto di formazione per i rabbini sul modello delle facoltà universitarie o dei seminari teologici: Riflessioni d’un israelita sulla nomina dei futuri rabbini in tutti gli stati ereditarj della Monarchia austriaca (Venezia 1822). Alla morte del padre, nel 1842, Reggio accettò di svolgere gratuitamente l’ufficio di rabbino maggiore della comunità ebraica di Gorizia, incarico che egli ricoprì per quasi dieci anni come volontario.
Tra gli scritti: Torah e filosofia (Vienna 1827), Iggherot Iashar I (Vienna 1834), II (Vienna 1836); Mazkeret Iosher (Vienna 1849); Yalkut Iashar (Gorizia 1854). Bikkuré ha-‘Ittim he-chadashim (Le nuove primizie), Strenna Israelitica, quattro annate (1852-1855), Mafteah el-meghillat Ester (Vienna 1841), Guida per l’istruzione della gioventù israelitica (Gorizia 1853); Bechinat ha-dat (La disamina della religione) del filosofo cretese Elia Del Medigo, maestro di Pico della Mirandola (Vienna 1833); due trattati, apparentemente contraddittori, Qol sakhal (La voce dello stolto) e Sha’agat Ariè (Il ruggito del leone), attribuiti però da Reggio al rabbino veneziano Leon Modena, e pubblicati sotto il titolo unitario di Bechinat ha-qabbalah (La disamina della tradizione; Gorizia 1852).
Angelo SACERDOTI (Mordekhai Refael Chaim ha-Kohen) 1886 – 1935.
Il padre di famiglia veneziana di modeste condizioni, aveva ottenuto il titolo di maskil (primo livello del titolo rabbinico) ed era stato chazan dapprima a Venezia e poi nella Sinagoga maggiore di Firenze. Compì gli studi nel Collegio rabbinico italiano, che aveva sede a Firenze ed era diretto da Shemuel Tzevì Margulies rabbino capo della Comunità ebraica di Firenze. Fra gli insegnanti ebbe anche, oltre a Margulies, il rabbino Hirsch P. Chajes, che sarebbe poi diventato rabbino capo a Trieste e successivamente a Vienna. Laureato in lettere e filosofia a Firenze. Rabbino di Reggio nell’Emilia, dove rimase fino alla sua nomina a rabbino capo di Roma il 29 giugno 1912.
Sacerdoti è ricordato per l’attività di rabbino militare durante la prima guerra mondiale. L’istituzione del rabbinato militare si realizzò principalmente grazie a Sacerdoti e a Sereni, Sacerdoti fu infatti un acceso sostenitore della causa sionista. Da abile politico riuscì a tessere fattivi contatti con Benito Mussolini, che invece vedeva nel sionismo uno strumento nelle mani dell’imperialismo inglese. Sacerdoti in un discorso pronunciato nella Sinagoga maggiore di Roma gremita disse che il governo tedesco intendeva sopprimere la collettività ebraica che da secoli, per non dire da millenni, viveva in Germania.
Sacerdoti promosse l’istituzione, nel 1917, della Federazione rabbinica italiana, la prima organizzazione rabbinica nazionale e propose il trasferimento del Collegio rabbinico italiano da Firenze a Roma e divenuto direttore rilanciò il Collegio rabbinico. Sacerdoti era diventato la figura rappresentativa dell’ebraismo italiano in seno all’ebraismo mondiale.Fra le sue tante missioni all’estero, rappresentò insieme a rav Dante Lattes il governo italiano all’inaugurazione dell’Università ebraica di Gerusalemme il 1° aprile 1925.
Sacerdoti morì improvvisamente, all’età di 49 anni, il 18 febbraio 1935 (16 Adar I 5695), colpito da un’angina. Dante Lattes scrisse che il rabbino di Roma aveva assunto «una posizione d’imperio e di guida negli organi e nelle funzioni più alte della vita ebraica in Italia» e che si «deve a lui se l’interesse dei maestri di Israele si è rivolto verso problemi più comprensivi che non fossero prima entro l’orizzonte della funzione rabbinica»