Bel pezzo. Altri vogliono far credere che la politica estera e la sicurezza dominino la campagna elettorale. Ma non c’è dubbio che la vera novità sia il fatto che i sionisti religiosi, radicati oramai a destra (la sinistra sionista esiste ancora?) stanno riconquistandosi il ruolo di mediazione con cui avevano iniziato la loro carriera politica fino all’eccitazione messianista causata dalle ri-conquiste territoriali del 67 (David Piazza)
Rossella Tercatin
Spesso affrontando la realtà della politica e della società israeliana, si tende a dipingere lo Stato ebraico come un paese semplicemente spaccato in due fra religiosi e laici. Alcune tendenze sono oggettive, come la crescita demografica della popolazione haredì, o il peso politico che tradizionalmente hanno assunto i partiti di dichiarata ispirazione religiosa nel Parlamento israeliano, complice anche il sistema elettorale proporzionale puro (sbarramento solo al 2 per cento).
Ma a caratterizzare quella che, se verranno confermate le previsioni del quotidiano israeliano Haaretz, sarà “la Knesset più religiosa di tutti i tempi”, sarà un altro fattore: la trasversalità. Come riportato da Haaretz infatti, la prospettiva di “circa un quarto dei deputati che si richiamano all’ortodossia nelle sue varie anime” non è soltanto una conseguenza della crescita consenso verso i partiti religiosi (e qui non si può non citare Habayit Hayehudì, la Casa ebraica di Neftali Bennet, che gli ultimi sondaggi proiettano come terzo partito dopo il blocco Likud-Beytenu e il Labor, seguito a ruota dallo Shas), ma a una scelta di proporre candidati che abbracciano i valori della tradizione ebraica nella propria vita quotidiana che attraversa le compagini più diverse nell’arco politico (per esempio Hatnua di Tzipi Livni propone al quarto posto il generale modern orthodox Elazar Stern, mentre Yair Lapid colloca al secondo posto in lista il rabbino Shai Piron).
Il risultato però non è stato quello di proiettare nell’agenda elettorale la questioni legate al ruolo della religione nella società in un ruolo di primo piano. Anzi, lo sforzo dei partiti è quello dimettere in campo un approccio inclusivo e non settario, di proporre un’offerta politica per parlare al maggior numero possibile di cittadini (ha fatto per esempio notizia la scelta di Habayit Hayehudì di proporre nelle proprie liste la prima candidata laica, Ayelet Shaked). Allo stesso modo sono pochi i politici che propongono l’osservanza religiosa come punto qualificante del proprio impegno. Tanto più che sulle questioni legate al rapporto tra Stato e religione esistono visioni profondamente diverse nello stesso mondo ortodosso, come si è dimostrato a proposito della questione dell’arruolamento dei haredim, dove nell’ambito del mondo rabbinico si va dalla completa opposizione a chi ritiene che invece prestare servizio nell’esercito di difesa israeliano rappresenti un dovere imprescindibile.
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Un articolo di oggi in inglese che approfondisce il fenomeno:
http://www.tabletmag.com/jewish-news-and-politics/121341/zionisms-new-boss