Qui Roma – Tra emancipazione e tradizione, la traccia viva di un Maestro
Un personaggio scomodo e allo stesso tempo visionario. Israel Moshe Hazan fu il rabbino capo di Roma nella prima metà dell’Ottocento, uno dei primi ad arrivare dall’Oriente, e causò un vero e proprio scossone nella comunità millenaria. A tracciarne il profilo è stato uno dei suoi massimi studiosi, il professor Yaron Harel, direttore del dipartimento di storia ebraica alla Bar Ilan University, nel corso del seminario “The Role of Rabbis in Changing Times in the Thought of Rabbi Yisrael Moshe Hazan” organizzato dal Master Internazionale di II livello in didattica della Shoah dell’Università Roma Tre in collaborazione con l’International Colloquium “Between the East and the West- International Center for Modern Jewish Civilization and Israel Studies”, Europa Ricerca Onlus e il Collegio Rabbinico Italiano.
“Sono particolarmente interessato a questa lezione – è intervenuto il rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni – anche perché rav Hazan fu ‘pescato’ dal Mediterraneo e proveniva da una importate famiglia rabbinica. Durante la sua permanenza a Roma ebbe un impatto difficile con la comunità con la quale discusse spesso ma allo stesso tempo fece molto dal punto di vista halakhico, cambiando delle regole che da sempre si erano tramandate tra gli ebrei romani. Verificò le formule usate dal Bet Din e pretese sempre l’estrema puntualità”.
“Rav Hazan – aggiunge il direttore del Master David Meghnagi – si trovò a gestire la comunità in un periodo estremamente complesso: quello dell’emancipazione e dell’apertura, nel quale il rischio di allontanarsi dalle proprie origini era assai elevato. Proprio per questo credo che i suoi lavori siano di estrema attualità e vadano tradotti in italiano”.
A prendere la parola è infine Harel: “Quale deve essere il ruolo dei rabbini quando i tempi stanno cambiando? C’è un momento nella vita in cui tutto cambia – il suo messaggio – e lo stesso accade nella storia di un popolo. Il popolo ebraico ha subito cambiamenti esemplari come la distruzione del Tempio di Gerusalemme e di fronte ad essi ha dovuto ricalibrarsi modificando qualcosa nella sua tradizione. Dopo la Rivoluzione francese poi gli ebrei non furono più relegati ad essere cittadini di serie B e questo comportò anche dei problemi: era necessario lavorare il sabato? E come fare se un nuovo amico ti invitava ad una festa con cibo non casher? Integrarsi o no?”.
“Di fronte a queste domande – ha proseguito Harel – l’ebraismo propone due poli opposti, l’ortodossia che vuole ripristinare una barriera e l’assimilazione”. Ma come si colloca in tutto questo il rabbinato di rav Hazan? “Nato a Smirne – spiega lo studioso – il rav studiò a Gerusalemme ed essendo molto intelligente divenne uno dei membri più giovani del Bet Din. Fu poi inviato come emissario in Europa e si fermò a Roma. È stato lì che rav Hazan decise di occuparsi della comunità che in quel momento si stava aprendo al mondo: le necessità erano cambiate e lui cercò di evitare le conversioni e l’assimilazione il più possibile. La sua idea di fondo era che le modifiche religiose in alcuni casi potevano essere effettuate ma solo da un rabbino, i cambiamenti potevano avvenire ma solo dall’interno. Una peculiarità tipica della rabbanut sefardita che rav Hazan rispecchiava totalmente”.