Pierpaolo Pinhas Punturello
Il giorno che sono salito per la prima volta a Sefer, entrando a pieno diritto nel popolo ebraico ed in quella che ancora oggi è la “mia” comunità, con la mia famiglia di origine decidemmo di festeggiare l’evento offrendo un kiddush. In quella occasione la nostra amica e colonna storica della Comunità napoletana, Alberta Levi Temin, decise, con la sensibilità che la contraddistingue, non solo di fare a me tanti auguri ma anche di complimentarsi con mio padre.
“Le faccio i complimenti, sig. Punturello” disse Alberta “ per non aver mai ostacolato suo figlio.” Mio padre rispose: “Signora grazie, ma mio figlio non si è mica drogato, ha solo scelto la sua strada culturale, spirituale e religiosa.” Mio padre era così: pragmatico, diretto, siciliano. Questo episodio Alberta me lo ha raccontato proprio all’inizio del doloroso percorso di malattia di papà, un padre che non ci ha mai ostacolato, ma ci è sempre stato vicino, sostenuto, apprezzato. Un padre non ebreo, goy, che ha saputo essere anche un nonno perfetto per i suoi nipotini ebrei.
Papà, infatti, insieme a sua moglie Ines, sapeva gestire perfettamente le diverse festività, i momenti diversi in cui dare regali ai vari nipoti senza fare la minima differenza qualitativa tra Channukkà e Natale: a “ciascuno il suo” come avrebbe detto un grande scrittore amato da mio padre. Nei pranzi comuni con i miei fratelli ed i miei nipoti la kasherut era il legame valido per tutti perché nessuno fosse escluso da nessuna portata e perché la condivisione del momento fosse reale, profonda, senza piatti diversi, cibo diverso o altre distanze. Mio padre per la Pasqua cattolica comprava per tutti i suoi nipoti le uova di cioccolato (a dire il vero anche per noi adulti!) e puntualmente durante i giorni di Pesach arrivava la sua telefonata: “ Quando posso portarvi le uova di cioccolato? Quando entra il lievito di nuovo in casa?” Perché il rapporto tra mio padre e l’ebraismo era un rapporto di praticità di nonno e di padre, un rapporto poco intellettuale o speculativo, bensì vivo, reale, quotidiano e pieno di amore e rispetto per me, sua nuora Giulia ed i suoi nipoti. Ancora quando vivevo con lui da ragazzo ed organizzavo sempre cene il venerdì sera per i “ragazzi” della Comunità di Napoli, molti di loro ricorderanno che prima di uscire con sua moglie papà chiedeva: “ Quale luce ti serve? In cucina ed in bagno?”
Durante le vacanze insieme nella nostra casa in Toscana dovevamo presentarci con la carne per la brace, brace che ovviamente lui puliva e kasherizzava per noi e se la carne kasher terminava si andava tutti a Livorno da Ivo per un nuovo rifornimento. Ovunque lui andasse per lavoro cercava una macelleria ebraica, un negozio, un punto di riferimento dove comprare un regalo, un pensiero anche solo una scatola di wurstel per Joshua. Per questo motivo abbiamo in casa un piatto meraviglioso in ceramica spagnola che riproduce una Menorah d’oro: il frutto di una vacanza iberica con l’attenzione per il proprio figlio ebreo. A Milano, quando andava ogni mese per i controlli medici, era diventato anche amico del sig. Deutsch il proprietario di un minimarket kasher in via Marcona. Credo che il sig. Deutsch non abbia mai capito che papà non fosse ebreo, perché lui sapeva rispondere ad ogni domanda ebraica senza alcun problema “ C’è minian a Napoli? Quanti ebrei ci sono? Sono osservanti?” Papà sapeva tutto e forse, anche più di quello che io potessi immaginare.
Quando in seguito è venuto a trovarci a Gerusalemme il cerchio si è chiuso: Israele per mio padre ed Ines è stata una piacevole sorpresa, un viaggio meraviglioso, la visione reale del paese che alla generazione di mio padre fece tanta “simpatia” per aver salvato se stesso nella Guerra dei 6 giorni. Papà ha visto solo Gerusalemme, cominciava ad essere stanco e malato, eppure la sola visita alla capitale lo ha reso molto, molto felice. Ancora ho negli occhi il nostro pomeriggio alla Città Vecchia, al mercato di Mahane Yehuda, i caffè ad Emek Refaim, a Ben Yehuda, lo shopping a Mamila, la toccante mattina allo Yad Vashem…la storia, purtroppo, si conclude qui, una storia che vi ho voluto raccontare con la semplicità con la quale è stata vissuta: una storia di amore tra un padre e nonno goy e la sua discendenza ebraica che porta scritta in ogni gesto l’origine da questo uomo meraviglioso.
Sullam – Bollettino della Comunità Ebraica di Napoli – 74 – 16 giugno 2011