L’intervento del Rabbino capo di Torino sul Lodo Yannay…
Alberto Moshe Somekh
Ringrazio senz’altro il Rabbino Capo di Roma per l’opportuno ed efficace riassunto del “processo a Yannay” nel Trattato Sanhedrin del Talmud (19ab). Come egli stesso annota il tema dell’immunità parlamentare nelle fonti ebraiche e non è troppo vasto per essere esaurito in poche righe. Tanto più che oggi al centro dell’attenzione politica pare essere più ancora la ricerca dell’impunità che non quella dell’immunità. Mi limiterò a mia volta pertanto a chiosare il suo testo aggiungendo altre quattro osservazioni.
1. Come lo stesso Rav Di Segni ricorda, la disposizione della Mishnah: “il re non giudica e non viene giudicato” (Sanhedrin 2,2), non si applicava proprio ai discendenti di David i quali, almeno sotto il profilo dinastico, hanno dato garanzia di maggior stabilità (Maimonide, Hil. Sanhedrin 2,5; Hil. Melakhim 3,7). Segno che non è indispensabile l’immunità alla continuità di governo. Ma l’elemento di rilievo è un altro. Se davvero vogliamo leggere nella Mishnah un regime di immunità ante litteram, non dimentichiamoci che il re che non viene giudicato non ha neppure il diritto di giudicare gli altri. La Ghemarà, commentando la Mishnah, fa qui riferimento ad un versetto del Profeta Tzefanyah (Sofonia 2,1) che dice: hitqosheshù wa-qòshu, “Esaminate attentamente la vostra condotta prima di esercitare un controllo su quella altrui”!
2. Il “processo a Yannay” è oggetto di un’analisi rigorosa da parte di Z. Kefìr –ebr.- in Tura 3, Studies in Jewish Thought, Ha-Kibbutz ha-Meuchad Publ., Tel Aviv, 1994, p. 85-97. Kfir osserva che verosimilmente lo scopo della narrazione non è quello di sostenere il principio dell’immunità: del resto, Yannay è ricordato come un re malvagio, che non si era peritato di massacrare i Maestri d’Israel (Qidd. 66a). Scopo probabile del racconto sarà stato quello di descrivere conflitti di potere in età ellenistica. Secondo Kfir la morale della storia è, sul piano religioso, che i leaders verranno in definitiva giudicati dal Creatore del Mondo; sul piano sociale, che “non è possibile approfittarsi del tribunale e nello stesso tempo contare sulla collaborazione del popolo” (p. 95).
3. In un Responso (‘Asseh lekhà Rav, II, n. 61) il compianto Rabbino Capo di Tel Aviv Rav Chayim David ha-Levy viene interrogato se è permesso ad un giudice sentenziare in base ad istruzioni ricevute dall’alto. Egli risponde che “il giudice che non giudica secondo verità provoca l’allontanamento della Shekhinah dal mondo… il giudice non dispone di altro che ciò che vedono i suoi occhi” (Maimonide, Hil. Sanhedrin 3,9).
4. Nell’etica della Torah non è ammesso “purificare” i proventi dell’illecito investendoli in buone azioni. E’ da poco trascorso Sukkot. La Mishnah stabilisce che “il Lulav rubato… non è valido… dal momento che si tratta di una Mitzwah compiuta attraverso una trasgressione (Mitzwah ha-baah ba-‘averah)… Si può paragonare ad un re umano che, passando davanti al dazio, disse ai suoi servi: “Pagate il dazio ai finanzieri”. I servi gli dissero: “Ma tutto il dazio in realtà è tuo!” Rispose loro: “Da me impareranno tutti i viandanti e non cercheranno di evadere il dazio”. Così anche il S.B. dice: “‘Poiché H. ama la giustizia mentre detesta il furto nell’olocausto’ (Is. 61,8): da me i miei figli impareranno a rifuggire dal furto!” (Sukkah 30a).
Noi Ebrei siamo particolarmente sensibili ai temi della giustizia, dell’equità e della libertà. Una lunga e triste esperienza storica ci ha reso coscienti del fatto che le dittature hanno costantemente bisogno di capri espiatori sui quali scaricare i propri inevitabili insuccessi. Sappiamo anche bene che questa è una delle cause dell’antisemitismo. Quante volte abbiamo visto leaders affabili e benvoluti diventare dittatori? Quante volte abbiamo visto dittatori inizialmente compiacenti nei nostri confronti, trasformarsi in spietati persecutori?
Rav Alberto Moshe Somekh
N.B. La sigla S.B. va letta “Santo Benedetto”. A scanso di altre, fuorvianti interpretazioni!