La par condicio non è un’invenzione dei nostri tempi. Rashì, commentando la parashà di Kedoshim (ops, ancora i santi), sul verso “Ognuno temerà sua madre e suo padre” (Levitico 19, 3), scrive che madre e padre sono equivalenti. Qui la madre precede, mentre nei Dieci Comandamenti, quando si dice “Onora tuo padre e tua madre” (Esodo 20, 12; Deuteronomio 5, 16) è il padre a precedere. Rashì aggiunge un’interessante annotazione basandosi sul Talmud, trattato Kiddushin 30b-31a (di nuovo!
A proposito, kiddushin significa, in senso stretto, santificazioni, e in senso lato matrimonio, un termine derivato da madre): perché riguardo al timore la madre ha la precedenza e per il rispetto e l’onore la ha il padre? La risposta è che la madre blandisce i figli con carezze e dolci parole, quindi un figlio sarebbe portato a temerla di meno; viceversa, per il padre, che normalmente è più severo, si tenderebbe a dargli meno onore. La Torah, quindi, ristabilisce il giusto equilibrio: sia il padre sia la madre hanno diritto allo stesso livello di timore e di rispetto da parte dei figli.
Con il plurale Immot o Immaot si indicano le Madri d’Israele (Sara, Rebecca, Rachele e Lea). Em si collega a Ummà o Om (nazione, collegato a leom, da cui leumì, nazionale). Om è anche il dado (della vite). Em ha-derekh (lett. la madre della via) indica il bivio. Le stesse lettere alef e mem, punteggiate diversamente, danno la parola Im (se, seppure), che introduce una frase condizionale. Forse questo vuol dire che la natura femminile è caratterizzata dal dubbio, dall’insicurezza e dall’assenza di certezze? Non lo so. Non ne sono tanto sicuro.
rav Gianfranco Di Segni, Collegio Rabbinico Italiano, Pagine Ebraiche, Agosto 2011