Il cardinale che piaceva ad Ante Pavelic
Pierluigi Milanese
«Carne umana». Non era infrequente, tra il 1941 e il 1945, trovare questi cartelli appesi alle vetrine delle macellerie di Zagabria e delle altre città croate. La carne in questione erano i poveri resti di ebrei, serbi comunisti e ortodossi massacrati dagli ustacha di Ante Pavelic, il Poglavnik (duce) della Croazia, salito al potere con l’aiuto di Mussolini e Hitler nell’aprile del 1941.
Il genocidio perpetrato dal regime fascista di Pavelic, riconosciuto unanimemente dagli storici come uno dei più sanguinari tra quelli che si imposero in Europa tra le due guerre, produsse almeno 800 mila vittime tra serbi-ortodossi, ebrei e zingari (l’Enciclopedia Britannica stima 1 milione di morti per quello che è passato alla storia come l’«olocausto dimenticato»), comprese le migliaia di vittime dei vari atti terroristici e dei combattimenti, nonché della deportazione nei campi tedeschi e italiani.
I CROCIATI CATTOLICI. Tra i più attivi militanti accanto agli ustacha almeno 30mila krizari (crociati) dell’Azione Cattolica, ma anche molti frati francescani e alti prelati.
Come l’arcivescovo di Sarajevo, Ivan Saric; Ivo Guberina, numero uno dell’Azione Cattolica e capo delle guardie del corpo di Pavelic; Bozidar Bralo, sacerdote patrono della famigerata Legione Nera; Dragutin Kamber, gesuita e capo della polizia di Doboj; Radoslav Glavas, capo dei frati francescani; Miroslav Filipovic-Majstorovic, soprannominato “frate diavolo”, che, con altri francescani era responsabile della reggenza del campo di concentramento – e poi di sterminio – tedesco di Jasenovac (che con quelli di Lepoglava, Koprovinika, Visegrad e Zemun registrò il più alto numero di violenze e uccisioni).
A vigilare, si fa per dire, su questa imbarazzante cooperazione tra sacerdoti cattolici e criminali fascisti vi era monsignor Alojijze Stepinac, arcivescovo di Zagabria, a cui Pio XII, al termine della guerra, conferì il rango di cardinale, nonostante il prelato fosse stato condannato a 16 anni di lavori forzati dalla Corte suprema di Zagabria per i crimini perpetrati alle minoranze serbo-ortodosse.
FEDELI AL REGIME. «Quando Ante Pavelic», scrive Sergio Romano nel suo recente Le altre facce della storia, «nella primavera del 1941, fondò con l’appoggio degli italiani e dei tedeschi il regno croato, Alojijze Stepinac, arcivescovo di Zagabria e primate di Croazia, ritenne doveroso associarsi al sentimento di gioia dei suoi concittadini per un evento che li liberava dal ‘giogo’ di Belgrado. Fece visita al Poglavnik, accettò la carica di cappellano generale delle forze armate, indossò sulla tonaca vescovile il simbolo della maggiore decorazione croata».
Le visite di Stepinac al Poglavnik si ripeterono nei mesi e negli anni, così come si ripeterono i giuramenti di fedeltà e devozione a un regime che aveva già fatto fuori almeno cinque vescovi e 300 sacerdoti ortodossi. Stepinac scrisse anche pastorali in onore del duce croato, e impose festeggiamenti solenni per il suo onomastico.
UN PAPA IMPRUDENTE. Ma tutto questo non è bastato evidentemente a consigliare a Giovanni Paolo II almeno un po’ di prudenza, e così il 3 ottobre 1998, nel centenario della nascita del controverso prelato in odore di collaborazionismo (per usare un eufemismo), papa Wojtyla proclamò, nel santuario nazionale croato di Marija Bistrica, la beatificazione di Stepinac.
Il quale «dopo aver subito nel proprio corpo e nel proprio spirito le atrocità del sistema comunista», veniva così «consegnato alla memoria dei suoi connazionali con le fulgide insegne del martirio».
Martedì, 26 Aprile 2011
http://www.lettera43.it/attualita/14152/il-cardinale-che-piaceva-a-pavelic.htm