Era il 1848, un anno che passò alla storia. Mentre l’Europa Occidentale viveva i suoi celebri moti libertari, la Lituania fu sconvolta da una tremenda epidemia di colera. Il morbo non risparmiò la numerosa Comunità Ebraica, profondamente attaccata allo studio della Torà e all’osservanza delle Mitzwòt. Giunse Yom Kippur. La Grande Sinagoga di Vilna era affollata di fedeli, allorché si consumò una scena “manzoniana”. Terminata la preghiera del mattino montò sulla tribuna dell’ufficiante un giovane Rabbino. «Nel nome di D-o -proclamò- e con il permesso della sua Santa Torà che si basa su una sola Mitzwah centrale: ‘Si vivrà per essi (i comandamenti, Wayqrà 18,5) e non si morirà per essi’, vi autorizzo ufficialmente a non digiunare oggi”. Nello sconcerto generale il Rabbino sollevò un calice di vino e recitò… il Qiddush. Proprio come se si fosse trattato di qualsiasi altra giornata festiva: ma era Yom Kippur!
Chi si assumeva una simile responsabilità era R. Israel Lipkin Salanter (1810-1883). La vigilia egli aveva già insistito perché la lunga preghiera venisse accorciata, persuaso che affollare per tanto tempo la Sinagoga avrebbe facilitato la diffusione della malattia anziché alleviarla. R. Israel era stato un brillante discepolo di R. Zundel, profondo conoscitore del Talmud nella città di Salant. Il suo Maestro, in polemica con i metodi eccessivamente legalistici delle Yeshivot del tempo, aveva messo piuttosto l’accento sugli insegnamenti etici. Allo scopo di imprimere meglio questi concetti nella sua mente, R. Zundel si sforzava di ripetere versetti e detti dei Saggi a sfondo morale fino all’ossessione. “Studia il Mussar (etica) – soleva ribadire a colui che sarebbe diventato il suo discepolo prediletto – e diventerai un vero Temente del Cielo”.
R. Israel Salanter è considerato oggi il padre del movimento Mussar. Per lui il Timore del Cielo deve anzitutto indurci a rifuggire da quella forma di insensibilità verso il prossimo che talvolta si impadronisce degli individui religiosi, fino a far perdere loro la nozione del vero Bene. Ricusando, come già aveva sempre fatto il suo Maestro, la proposta di prestigiosi incarichi rabbinici di Comunità, si trasferì come Rosh Yeshivah a Vilna, la “Yerushalaim della Lituania”. Ma prestò fondò una sua propria Yeshivah e nello stesso tempo scelse di dedicarsi al più vasto pubblico dei capi-famiglia (ba’alè battim), uomini semplici che faticavano a vivere del proprio lavoro: un obbiettivo che era considerato molto inferiore alla dignità di un talmudista del suo calibro. Egli istituì delle scuole in cui insegnava il Mussar (Bet Mussar o Mussar Schtiebel, accanto alle tradizionali Yeshivot): il libro di testo fondamentale era il Messillat Yesharim di R. Moshe Chaim Luzzatto (detto il Ramchal), di cui curò la pubblicazione nel 1844. «A Rosh ha-Shanah chi non trema udendo il suono dello Shofar che ci risveglia? Allo stesso modo dobbiamo recarci al Bet Mussar onde risvegliare i nostri cuori intorpiditi», affermava.
Salanter aveva capito che se non avesse attuato una simile “rivoluzione”, i Maskilim e i liberali avrebbero avuto la meglio sulle masse ebraiche illetterate della Lituania attirandole dalla loro parte. Religione non può voler dire isolamento. «L’unico modo per suscitare la misericordia Divina è aiutare i correligionari», diceva. Le circostanze non si fecero attendere. Nel 1845 lo zar Nicola I, che finora aveva goduto delle simpatie degli ebrei “illuminati” per la sua apparente apertura, aveva firmato un decreto che obbligava gli Ebrei al servizio militare forzato fin dall’età di nove anni. Con la scusa di sfruttare questa parte di popolazione, accusata di “pigrizia” e improduttività, lo Zar aveva per obiettivo quello di provocare la rapida assimilazione degli ebrei, e di fatto oltre la metà dei coscritti in quegli anni si convertì al cristianesimo. Salanter si diede da fare per evitare che i giovani ebrei fossero consegnati alle autorità russe.
Già si è parlato dell’epidemia di colera del 1848. Salanter si dedicò ad organizzare veri “comitati di salute pubblica” all’interno della Comunità, che si prendessero cura dei contagiati. «Voi avete la responsabilità di occuparvi delle vittime – diceva ai suoi studenti -. Anche di Shabbat dovete continuare la vostra attività, perché la Mitzwah di salvare vite umane ha la precedenza sull’osservanza del Sabato». Una volta allertate, le pattuglie dovevano scaldare acqua sul fuoco per reidratare i sofferenti. Per sincerarsi che i trattamenti non subissero interruzioni durante lo Shabbat, egli stesso compiva sortite improvvise nelle diverse abitazioni. Un venerdì sera si ammalò il nipote di un importante Rabbino della città. Salanter reagì violentemente alle proteste di quest’ultimo, che giudicava inopportuna la profanazione dello Shabbat. Ma quando il bambino guarì, il nonno si tolse le scarpe – come se si sentisse scomunicato – e supplicò Salanter affinché lo perdonasse. Salanter riuscì con pochi mezzi persino ad allestire un ospedale per il ricovero dei malati.
Quando gli venne proposta la direzione del nuovo Collegio Rabbinico di Vilna, istituito in ossequio allo spirito dei tempi sotto il controllo governativo, R. Israel declinò. «Se la preparazione dei Rabbini si basa semplicemente sullo studio dello Shulchan ‘Arukh ma non è fondata su una comprensione approfondita del testo talmudico – disse -, la conoscenza della Torà finirà prima o poi dimenticata». Il rifiutò provocò in breve tempo il suo trasferimento a Kovno, dove si guadagnò da vivere come predicatore (magghid mesharim), ma anche lì il suo metodo incontrò soverchie opposizioni. Nel 1857 si stabilì in Germania a Koenigsberg, la città del filosofo Kant. Qui tenne lezioni agli studenti ebrei dell’università e si dedicò alla diffusione dei suoi insegnamenti. Si racconta che si spostasse da un Paese all’altro servendosi del passaporto di un amico mercante: non apparteneva infatti ad alcuna delle categorie professionali considerate atte a ottenere un passaporto per il governo russo. A 63 anni si dedicò ad apprendere la produzione dell’inchiostro: cosa non facile, dal momento che almeno inizialmente non parlava neppure il tedesco e comunicava con il suo istruttore solo grazie ad un interprete. Nel 1876 incontrò Shimshon Refael Hirsch. Aveva un gran rispetto per l’artefice del moderno ebraismo tedesco e voleva avere i suoi consigli su come affrontare l’assimilazione in Russia. È singolare, a questo punto, quanto fu convenuto dai due grandi Maestri. Occorreva scrivere opere di Torà nel linguaggio del luogo, perché «il rimedio avrebbe potuto aver effetto solo nella lingua che aveva trasmesso la malattia».
Salanter non lasciò una produzione letteraria sistematica. I suoi insegnamenti si evincono soprattutto dalla corrispondenza che mantenne con i suoi discepoli lituani. Le sue idee, talvolta rivoluzionarie, erano originariamente rivolte ai capi-famiglia, ma finirono per influenzare soprattutto il mondo delle Yeshivot. Egli stesso inaugurò a Vilna la posizione di mashghiach ruchanì (letteralmente “assistente spirituale” degli studenti, diversa dal ruolo più “intellettualistico” e didattico del Rosh Yeshivah) che da allora si affermò. I suoi principi sono riassunti nelle cosiddette “Tredici middòt (virtù) di R. Israel Salanter”. Oltre a ribadire l’importanza della pulizia personale e dell’ordine, insiste molto sui valori della pazienza («quando la perdete, i problemi sono ancora più grandi e finite per soffrire di più»), della parsimonia («non spendete denaro se non per il bene vostro e degli altri; provate piacere non nel prendere dagli altri, ma nel dare»), del silenzio («prima di aprire bocca chiedetevi se le vostre parole porteranno beneficio a qualcuno. Se la risposta è negativa, tacete») e della tranquillità di spirito: «non permettete che piccole cose disturbino la vostra pace mentale. Educatevi a guardare avanti e a pensare alle cose veramente importanti della vita».