Ugo G. Pacifici Noja, Agostino Pentola, Silvia Maiocchi, Arturo Dalla Volta. Un garibaldino mantovano alla battaglia di Mentana, Edizioni il Varco, Milano, 2014, pagg. 229, Euro 17/50
Vittorio Pavoncello
Come è stato acutamente osservato, di solito l’ebraismo italiano dall’Ottocento in poi, almeno nei suoi personaggi più noti e rilevanti, è stato in larga parte soggetto al fenomeno dell’assimilazione. Il libro recentemente comparso, Arturo Dalla Volta. Un garibaldino mantovano alla battaglia di Mentana, di cui sono autori Ugo G. Pacifici Noja, Agostino Pendola, Silvia Maiocchi, offre una visione diversa di un “piccolo artefice del Risorgimento”, un “uomo perbene”, in cui l’osservanza religiosa ebraica è coniugata con la militanza patriottica.
La ricerca svolta per far conoscere la vicenda di un garibaldino ebreo da un punto di vista storico ha sia la scientificità dell’analisi dei documenti sia la commistione delle fonti orali di memoria, queste ultime dovute alla fortunata coincidenza che a scrivere il libro siano stati i diretti discendenti del personaggio di cui si narra. E se i discendenti sono anche studiosi del calibro di Giorgio Pacifici il libro oltre ad aneddoti e battute salaci ha il pregio di una metodologia accurata, pur trattandosi di ricordi di famiglia.
Nel 1867 un ristretto gruppo di giovani mantovani raggiunge il Generale Garibaldi a Mentana per partecipare a quella che nei loro intenti avrebbe dovuto essere la campagna per la liberazione di Roma e il suo ricongiungimento all’Italia di recente formazione.
Di questo piccolo gruppo di persone fa parte un giovanotto ebreo di 19 anni, proveniente da una famiglia del ceto imprenditoriale: Arturo Dalla Volta. Come tutti i ragazzi ebrei, anche Arturo Dalla Volta ha studiato, per prepararsi al bar mitzvah, ma insieme ha compiuto con successo gli studi ginnasiali superiori, un dato significativo in una Italia in cui l’analfabetismo è ancora molto diffuso.
Annita Garibaldi Jallet, nella sua introduzione al volume lo pensa così:
“(…) possiamo immaginare che, ragazzo di una certa cultura, avido di conoscenza, di letture, fortemente immerso in un ambiente minoritario (…) a Mantova, che porterà tutta la sua Comunità ad essere particolarmente vicina all’eroe della libertà della tolleranza per antonomasia, abbia sentito l’impulso a passare dalla teoria alla pratica: espugnare Roma al Papato, darla all’Italia repubblicana (…)”.
In un momento storico in cui molti comprano con il passaggio alla religione dominante il biglietto di ingresso nella buona società, Arturo Dalla Volta al contrario conserva e per tutta la vita trasmetterà con orgoglio ai suoi figli, Ugo e Zoe, il senso di appartenenza all’ebraismo italiano.
Certo, nell’accampamento garibaldino, non deve essere stato facile per il soldato Arturo Dalla Volta rispettare i principi della kasherut. Il vitto nell’accampamento è scarso, eppure Arturo Dalla Volta evita i cibi che la religione ebraica non consente.
L’atteggiamento suscita la preoccupata disapprovazione di un ufficiale ebreo, il colonnello Guastalla, che vuole soprattutto disciplina e rispetto dei regolamenti. Gli dice il colonnello Guastalla “se rifiuti il cibo, altro non ne avrai”.
Ma a questa osservazione, Arturo Dalla Volta oppone soltanto un’alzata di spalle.
Dopo la battaglia, la prigionia a Civitavecchia nelle prigioni papali dove Arturo mangerà solo pane e berrà solo acqua per vivere osservando quei principi che ritiene superiori a qualsiasi norma politica e civile.
La cultura repubblicana che lo accompagnerà tutta la vita si basa su quei fondamenti di uguaglianza tra gli uomini e di soggezione soltanto all’Eterno che gli vengono dalla famiglia, dalla scuola, dalle letture personali e dalle amicizie, prima fra tutte quella con la famiglia Finzi di cui sposerà la diciannovenne Adele.
Nel volume, poi, risultano di particolare interesse alcune tabelle originali elaborate per la prima volta su una base di dati di circa 3000 nomi per offrire allo studioso un’idea più precisa dell’età dei garibaldini partecipanti, dei luoghi di provenienza e delle professioni esercitate prima di unirsi all’esercito garibaldino. E sono proprio queste tabelle a dare oltre che preziose informazioni anche spunti per riflessioni: la giovane età dei soldati che, oggi, farebbe sussultare di indignazione anche il più tiepido antagonista dei bambini soldato, o la quasi inspiegabile presenza fra i volontari dei calzolai, mestiere in assoluto maggiormente rappresentato su tutte le altre professioni e seguito di pari passo solo dagli studenti.
Arturo Dalla Volta rientra in una delle fasce (i diciannovenni) che ricomprende quasi il 10 % della formazione garibaldina.
Anna Maria Lazzarino Del Grosso nella postfazione al volume dà una spiegazione molto interessante del perché Arturo Dalla Volta abbia entusiasticamente raggiunto i soldati di Garibaldi.
Rifacendosi alla Storia degli Ebrei in Italia di Attilio Milano, Lazzarino Del Grosso ritiene che
“(…) emergono chiaramente le ragioni dell’entusiastica e generosa adesione di un numero proporzionalmente molto consistente di ebrei alle lotte per l’indipendenza e l’unità della penisola, laddove [le pagine di Attilio Milano, NdR] descrivono la penosissima situazione in cui erano ricaduti gli ebrei romani dopo la fine della Repubblica, situazione che perdurava ancora nel 1867 (…) mi ha fatto quantomeno immaginare che per il giovane mantovano, certo raggiunto attraverso la comunità di appartenenza dalle notizie delle sofferenze dei “fratelli” ancora chiusi nel ghetto ci fosse una motivazione in più per non stare alla finestra e unirsi agli uomini di Garibaldi (…)”.
Roma, 23 novembre 2014