David Piazza
Spesso, quando un candidato in una qualsiasi competizione è molto forte si dice che “lotti contro se stesso”, ma leggendo i risultati delle elezioni nella Comunità più grande d’Italia, non è questo il caso di chi in vent’anni ha letteralmente rovesciato il concetto di “fare politica ebraica” in Italia.
Quando Pacifici ha iniziato la sua carriera, l’Italia ebraica, in tutte le Comunità, era dominata da quelli che nel linguaggio del popolo sono i “notabili”, i rappresentanti cioè delle famiglie che contano, mandati da queste ad amministrare la cosa pubblica. Spesso dietro queste famiglie si celavano vaghi conflitti ideologici e culturali (vedi Milano) ma sostanzialmente i rappresentanti dell’era pre-Pacifici erano dei “parnasim”, parola ebraica che indica i finanziatori di una sinagoga o delle istituzioni comunitarie. Era un’era geologica in cui i bilanci erano assai modesti perché le scuole ebraiche di massa non esistevano ancora e l’assimilazione iniziava a lasciare quelle profonde ferite che si cerca ancora oggi di rimarginare. Spesso infatti, a fine anno i rappresentanti staccavano cospicui assegni per coprire i disavanzi pubblici.
Nessuno si stupiva allora del perché la percentuale di votanti fosse così bassa. La politica ebraica era un affare da benestanti, spesso ben introdotti nella società civile non ebraica. Si governava in pratica per censo perché mai un ebreo con un reddito men che discreto avrebbe potuto avere né i mezzi per coprire i buchi del bilancio comunitario, né gli agganci giusti per fare gli interessi della Comunità fuori di essa.
Negli ultimi decenni però questa elite ebraica non solo si era fortemente assimilata e quindi sempre più lontana dalle tradizioni, ma le sue simpatie politiche troppo spesso coincidevano con il vizietto molto “a la page” di “sostenere criticamente lo Stato d’Israele”, in pratica attaccarlo regolarmente quando questo si difendeva dai suoi nemici e del “doppiopesismo”, che è l’attitudine terzomondista a perdonare agli “incolti” arabi quello che viene poi pesantemente rimproverato al “democratico” Israele.
Riccardo Pacifici fondava allora le liste comunitarie Per Israele, prendendo spunto dal titolo di un appassionante pamphlet di Furio Colombo degli anni settanta. Per Israele, spiegava allora e spiega adesso, voleva dire non solo sempre e comunque dalla parte dello Stato d’Israele, ma anche sempre e comunque dalla parte del popolo d’Israele, della sua gente, della sua cultura.
Il resto è storia recente.
Pacifici ha oscurato l’immagine del politico ebreo connivente con un sistema politico-culturale, che riusciva a ottenere vantaggi per la minoranza che rappresentava solo in cambio del silenzio nei confronti di una politica estera storicamente filo-araba, sia a destra che a sinistra. Inventando il ruolo, tanto temuto nella politichetta ebraica, del portavoce comunitario, Pacifici ha proposto un nuovo modello di rappresentanza che vince dentro e fuori non perché si omologa, ma al contrario perché fa sentire fortemente la differenza di una minoranza.
Accusato regolarmente di aver portato a destra le Comunità ebraiche solo perché i primi piedi a essere pestati erano quelli dell’elite radical chic dei giornalisti e degli intellettuali ebrei, Pacifici ha dimostrato un incredibile pragmatismo a-politico, “menando” a destra e a sinistra, premiando antichi nemici ora ravveduti e punendo vecchi amici ora ostili; sostenendo prima Rutelli, poi la “conversione” di Fini e sdoganando oggi Veltroni. Grazie a lui, mai come ora, il voto ebraico nella politica nazionale è libero dall’abbraccio pesante di una sola parte politica. Gli ebrei finalmente, come tutti gli italiani del resto, possono votare di volta in volta per questo o per quel partito politico, secondo i propri intereressi e senza essere considerati nel taschino di nessuno a priori.
Solo a questo punto si capisce che nel 2008 Pacifici ha fatto l’en plein non solo nei confronti della tradizionale lista di sinistra moderata dei “nomi che contano” di Per i giovani insieme, e della novità della terza lista Yachad, ma anche e soprattutto a fronte di una partecipazione elettorale, a Roma senza precedenti.
Se l’obiettivo iniziale delle liste Per Israele era di portare finalmente al voto chi si disinteressa della politica comunitaria, questa massiccia partecipazione rappresenta, a pieno titolo, la doppia vittoria di Pacifici e della lista nazionale da lui fondata.
I risultati in cifre: Su 28 seggi del Consiglio della Comunità di Roma, Per Israele fa eleggere tutti i suoi 16 candidati, conquistando la maggioranza. Per i giovani insieme 12. La lista Yachad rimane fuori.