Lettera aperta a Giorgio Berruto
Caro Giorgio, anzitutto grazie per avermi fornito l’occasione di chiarire meglio alcuni concetti. Consentimi una premessa metodologica, per poi passare ai contenuti. Premessa metodologica. L’idea di tenere quest’anno il Seder in video-conferenza mi è stata prospettata da alcuni membri della mia Comunità assai prima che scoppiasse la bagarre rabbinica a livello internazionale su questo argomento. In particolare noi Rabbini italiani (e forse anche molti colleghi esteri) abbiamo una immensa fortuna. Gran parte del nostro gregge si prende le sue decisioni in materia religiosa da sola. Salvo poi arrogarsi il diritto di misurare quanto il nostro parere sia rimasto indietro rispetto al loro: ma questa è tutt’altra questione che, come si suol dire, non riguarda i presenti. Tale sistema, peraltro, presenta indubbi vantaggi per ambo le parti: il gregge si gode la propria emancipazione, mentre a noi Rabbini è data la libertà di dire quel che pensiamo, sgravati dall’ infamante accusa di aver irrimediabilmente condizionato la vita altrui. O meglio, a noi Rabbini è data la facoltà di riaffermare con forza i valori eterni dell’Ebraismo, onde evitare che la pandemia diventi un pandemonio. Quali valori? A questo punto passiamo ai contenuti.
L’idea di Pessach peraltro corretta che tutti noi ci siamo fatti fin da piccoli, di una festa dei legami famigliari e dell’ospitalità, quest’anno per imperscrutabile Volontà Superiore non è al momento disponibile. E’ giocoforza rassegnarsi, ma anche cercare una nuova dimensione e dei nuovi significati se non vogliamo soccombere a una realtà più grande di tutti noi. Altrimenti non ce la facciamo. Occorre studiare e se studieremo scopriremo che nelle nostre fonti questi significati ci sono.
Nella Halakhah l’idea che uno debba fare il Seder da solo è presa in considerazione. “Se non ha figli (con sé), sua moglie gli rivolge le domande; se è completamente solo, domanda a se stesso: Mah Nishtannah” ( Maimonide. Hilkhot Chamètz u-Matzah 7,3; Shulchan ‘Arukh Orach Chayim 473, 7 sulla base del Talmud Pessachim 116 a). E’ certamente una grande tristezza, ma non ancora una tragedia. Di più. Nella Haggadah mercoledì sera leggeremo b.H. che “in ogni generazione ciascuno ha il dovere di vedere (lir’ot) se stesso come se personalmente fosse uscito dall’Egitto”. Esiste di questa espressione un’altra versione con il verbo al causativo: “in ogni generazione ciascuno ha il dovere di far vedere (lehar’ot) se stesso come se personalmente fosse uscito dall’Egitto”. Nelle nostre edizioni è per lo più presente la prima versione, ma noi la leggiamo con il cuore rivolto, di fatto, alla seconda. E’ ossequio alla tradizione di Pessach nella sua dimensione collettiva, certo. Ma forse anche a un certo socialismo etimologico e a un culto dell’immagine nel quale noi moderni siamo cresciuti, dopo che l’illuminismo ha spogliato le nostre anime di qualsiasi accento intimistico, che nell’Ebraismo originario era invece bene presente. Non siamo più capaci di guardare dentro noi stessi senza passare attraverso la percezione degli altri nel definire chi siamo. Di fatto, dicevo, la maggior parte delle Haggadot riporta la prima versione: “vedere noi stessi” senz’altro.
Nel Midrash Pessach non è solo l’Uscita dall’Egitto. Già nel libro di Bereshit, dunque assai prima dell’Esodo, vi sono episodi che la tradizione considera avvenuti la notte del 15 Nissan. La notte in cui Avraham liberò suo nipote Lot dalla coalizione dei re che lo aveva preso prigioniero era la sera di Pessach ( Targum Yerushalmì a Bereshit 14,1 3 ; Bereshit Rabbà 42, 7-8). E’ vero che il versetto dice che il nostro primo Patriarca affrontò la difficile impresa con l’ausilio di 318 discepoli, ma il Midrash (Rashì ad loc.) spiega che questo altro non è che il valore numerico di Eli’ezer, il nome del suo… badante. Ciò che conta è l’insegnamento che la tradizione ci vuol dare: possiamo confrontarci da soli anche con le situazioni che ci appaiono più ardue. Altro episodio: la lotta di Ya’aqov con l’angelo. Egli si preparava a incontrare suo fratello Esaù. Momento di grande suspense emotiva per il terzo Patriarca. Durante la notte “egli si levò, prese le sue mogli, le due ancelle e gli undici figli e passò il guado del fiume Yabbòq. Li prese, fece passar loro il torrente, transitò tutto ciò che gli apparteneva. Ya’aqov rimase solo e un uomo lottò con lui sino allo spuntar dell’alba” ( Bereshit 32, 23-25). Quell’uomo, lo sappiamo, era un messo Divino, il richiamo della coscienza. E’ il momento in cui l’ebreo Ya’aqov, passando attraverso il confronto con nessun altro che la sua stessa coscienza, definisce la propria identità come Israel (“combattente per D.”) e si prepara ad affrontare l’Altro. E Ya’aqov lo potrà affrontare nella sua profondità soltanto partendo da una perfetta solitudine.
E il computer? E’ facile prevedere che questo momento passerà alla storia fra l’altro per l’impulso che sta dando all’uso sempre più generalizzato dei mezzi informatici. Io stesso, che ammetto di essere assai restio ad accettare novità in questo campo, me ne sto facendo a mia volta una ragione e una cultura. Ma proprio questo ci deve mettere in guardia. Non posso francamente concedere che il Signor CoronaVirus, dopo aver mietuto tante vite umane, dopo aver collassato risparmi di un’intera esistenza, dopo aver azzerato bilanci aziendali di mezzo mondo mandando praticamente sul lastrico datori di lavoro e dipendenti, dopo averci chiuso in prigione e aver seminato il panico con l’ausilio di uno dei suoi più fidi e pericolosi complici, l’isteria… non posso concedere che si impossessi anche dell’immagine Divina che è in tutti noi: la nostra vita intellettuale e interiore. E’ già inaccettabile che quel signore si prenda la libertà di costringere il fisico di molti fra noi a trascorrere i suoi ultimi giorni attaccato a un respiratore (D. ce ne scampi!), ma che lo spirito debba ora dipendere dal computer, questo no. Il computer non deve diventare il respiratore dell’anima. Anche quest’anno al Seder voglio essere libero di dire, parafrasando il Mah Nishtannah: “Che differenza c’è fra questa sera e tutte le altre sere? Che nelle altre sere noi apriamo il computer e/o i libri cartacei, ma questa sera solo libri cartacei!”. E’ una guerra, caro Giorgio, e in quanto guerra comporta continue rinunce, frustrazioni, danni, patimenti e fra essi anche la solitudine. Ma dobbiamo resistere alla tentazione. E se sapremo resistere, vinceremo.
Con l’amicizia di sempre, Chag Sameach e tanta salute.
Rav Somekh