Alcuni anni or sono sulla Rassegna mensile di Israel Rav Riccardo Di Segni ha scritto un commento in ebraico a questo piut, dal quale ho tratto molte delle informazioni che riporto, e al quale rimando per approfondire l’argomento e affrontare le varie espressioni nel dettaglio. Il piut ruota intorno alla figura di R. Shim’on Ben Yochai, che era un tannà della quarta generazione, allievo di R. ‘Aqivà. La ghemarà e i midrashim narrano della sua avversione al potere romano.
L’autore del piut, che probabilmente è il testo mistico più famoso in assoluto, è il qabalista R. Shim’on Lavì (o ibn Lavì), che nacque in Spagna in una data sconosciuta, ma sappiamo che da bambino dovette abbandonarla per via della cacciata del 1492. Inizialmente andò in Marocco, con l’intenzione di giungere in Eretz Israel, ma quando vide gli ebrei di Tripoli, che non conoscevano neanche le tefillot e le berakhot, decise di stabilirsi lì per istruirli, e questo gesto è considerato di maggior valore rispetto al vivere in Eretz Israel. Ciò avvenne nel 1549. La comunità di Tripoli, prima importante centro di studio, era infatti stata depauperata pesantemente per via della conquista spagnola del 1510 che fu accompagnata da persecuzioni antiebraiche.
Alcuni usi tripolini praticati ancora oggi sono stati istituiti da lui. La sua opera principale fu un commento allo Zohar, Ketem Paz, totalmente indipendente dalla qabalàh dell’Arì, che non ebbe modo di conoscere. Le sue fonti principali sono infatti il Ramban, R. Bechayè e Yosef Ghigatilla. Oltre che nello studio della Toràh si distinse nell’astronomia e nella medicina. Vi sono delle contraddizioni fra la descrizione di Bar Yocahi che emerge dal piut, e quella che risulta dal Ketem Paz. Inoltre se veramente da bambino era stato cacciato dalla Spagna, avrebbe scritto il commento allo Zohar da ultraottantenne. Inoltre dalle opere attribuitegli emergono varie versioni differenti del suo nome. Per questo alcuni studiosi ritengono che vi siano due maestri con un nome molto simile, l’uno, l’autore del Bar Yochai, spagnolo, e l’altro, l’autore del Ketem Paz, marocchino. Il piut era arrivato in Israele già nel 1567 e fu stampato per la prima volta nel 1612. Il canto è stato adottato da varie keillot, in modo particolare sefardite. A Roma si usa cantarlo nella mishmaràh, la sera prima della milàh. A Meron si usa recitarlo ogni giorno al termine dello studio. Il piut ha fatto scuola, in quanto ha inaugurato un vero e proprio genere letterario, che ebbe una discreta fortuna, basato sulle lodi di R. Shim’on Bar Yochai.
Il piut è composto da dieci strofe, che si aprono con le parole Bar Yochai, seguite nelle prime nove strofe dall’acrostico del nome dell’autore. Ciascuna strofa è dedicata a una delle dieci sefirot, secondo quanto descritto nello Zohar, annoverandole dal basso (malkut) verso l’alto (keter), e alle loro relazioni con le altre. Alcuni siddurim riportano i nomi delle sefirot accanto alle varie strofe del brano. Le citazioni contenute nel piut, molto sofisticate e non sempre pienamente comprensibili, sono tratte dal Tanakh, dalle opere dei Chakhamim e dallo Zohar. L’autore usa immagini di rara bellezza, che permettono una lettura del testo a vari livelli, risvegliando l’immaginazione di chi lo legge, sia esso addentrato nei segreti della Qabalàh, sia esso una persona più semplice. Nel piut l’anima di R. Shim’on Bar Yochai viene considerata una derivazione di quella di Moshèh Rabbenu, al quale viene collegato tramite numerose espressioni nel piut ad esempio l’effetto della roccia (la grotta in cui si rifugiò Bar Yochai e la roccia di Moshè quando gli furono rivelati i 13 attributi di misericordia nella Parashàh di Ki tissàh) e l’illuminazione (del volto di Moshèh e quella di R. Shim’on, per cui il libro che tradizionalmente ha scritto è denominato Zohar, libro dello splendore).
Nel piut Bar Yochai non viene mai ricordato con il suo nome, Shim’on. Bar Yochai viene paragonato ai suoi illustri predecessori, i patriarchi, Aharon e Moshèh, nella lotta contro il male, visto il suo impegno contro il regime romano, e viene assimilato all’olio, che ha la caratteristica di non mischiarsi con gli altri liquidi. Il Kohen Gadol, il re, ed i profeti venivano unti e la loro funzione era rispettivamente quella di espiare le colpe di Israele, condurre il popolo e portare loro le parole divine. R. Shim’on svolse tutte e tre queste funzioni: difatti affermò di essere in grado di salvare tutto il mondo dal giudizio divino, fu un eccelso studioso, ed i chakhamim vengono paragonati ai re, e previde quando sarebbe uscito dalla grotta la seconda volta. L’olio viene paragonato al popolo ebraico, perché per ottenerlo le olive devono essere macinate e sbattute, e così Israele viene perseguitato dagli altri popoli. Le conquiste di R. Shim’on lo portano ad essere paragonato al Kohen Gadol, ornato del frontale (tzitz), secondo lo Zohar simbolo di un mondo superiore, e dei tefillin. Tradizionalmente chi vedeva lo tzitz rimaneva atterrito e faceva teshuvàh, e R. Shim’on faceva lo stesso effetto a chi lo circondava. La fuga di Bar Yochai dal regime romano viene paragonata a quella di Moshèh dal Faraone.
Rifugiandosi nella grotta gli vennero rivelati grandi misteri, che lo portarono ad essere annoverato fra coloro che vennero accolti nel Gan ‘Eden in vita. Attraverso i suoi risultati nello studio portò a compimento quello che era l’intento originario quando l’uomo fu creato. Secondo il Midrash infatti quando H. ebbe intenzione di creare l’uomo si consigliò con i malakhim, che Gli chiesero quali fossero le sue caratteristiche, di modo tale da giustificarne la creazione. H. rispose che dall’uomo discendono gli tzadiqim, e R. Shim’on giustifica pertanto la creazione dell’uomo.