Fu Paolo II, nel 1467, a portare a Roma i festeggiamenti del Carnevale. D’altronde, Paolo II era nato a Venezia, e pensava che riportate l’antico “panem et circenses” a Roma sarebbe stata una buona idea. Furono introdotti diversi palii, divisi in linea di massima tra “bestie bipede” e “bestie quadrupede”. Se per queste ultime è facile pensare a cavalli, buoi e somari, rimarrete sorpresi che le corse tra bipedi vedevano impiegati essenzialmente tre categorie: “ragazzi, vecchi ed ebrei”. Il luogo preposto a queste corse era la zona oggi occupata da Piazza Venezia e Via del Corso (in quel periodo Via Lata) e sappiamo che, nel 1467, il “Pallio delli Judei” fu corso il 2 Febbraio, seguito da quello dei “Garzoni” (ragazzi) il 3 e “delli Vecchi” il 6.
Ancora all’inizio del XVI secolo, non sembra che la corse fosse vista come un’angheria nei confronti degli Ebrei, anzi, non c’era coercizione e coloro che volevano competere arrivavano in modo spontaneo e ben vestiti.
Le cose peggiorarono progressivamente dopo il 1550 (poco prima, quindi della creazione del Ghetto di Roma). Già nel 1581, tutte le categorie erano costrette a correre completamente nude e nel 1583 gli Ebrei ebbero l’ordine di correre dopo aver consumato un lauto pasto per il diletto della popolazione. Le ali di folla che seguivano il palio dei Giudei iniziarono a sfidare i cordoni che tracciavano il percorso di gara per tirare fango e frutta marcia ai corridori. Alcuni bandi dello stesso periodo prevedevano pene severe per chi avesse tirato uova marce, arance e “acqua guasta” (in pratica, liquidi più o meno identificabili”) ai corridori, cosa che ci fa comprendere quanti feriti e morti provocasse il delirio carnevalesco a roma. Il gusto per il grottesco e il becero sfogo dei sentimenti più bassi raggiunse l’apice nel XVII secolo, quando si tennero palii di persone deformi, di cui una fonte del 1633 parla in questi termini “fu corso un palio di gobbi ignudi molto ragguardevoli per la varietà delle loro gobbesche schiene”. Nel 1649, quando tutti penavano che il palio dei Giudei doveva essere rimandato a causa di un vero e proprio nubifragio, gli Ebrei furono costretti a correre sotto il diluvio per il divertimento della folla.
Fu Clemente IX, nel 1668, ad abolire la corsa dei Giudei, preferendogli un tributo annuo di 300 scudi e provocando non poche proteste da parte del “pubblico”. Lo scherno nei confronti degli Ebrei mutò quindi in “mascherate” o “carri” di romani travestiti da Ebrei nei modi più sprezzanti. Il pezzo forte del carnevale del 1701 furono due carri di “Giudiate”.
Nel 1709, tra i carri preparati dai rioni della città ve ne fu uno, costruito dai pescivendoli, che si faceva beffe delle usanze funebri degli Ebrei. Per impedire la rappresentazione, questi si rivolsero al cardinale vicario, che diede loro ragione. Tuttavia, il principe Alessandro di Polonia, in quel periodo a Roma, chiese espressamente di poterla vedere, e quindi si organizzò uno spettacolo privato ad hoc. Nel 1711 non andò meglio, anzi, nonostante le proteste ebraiche, il cardinale vicario lasciò sfilare ben 100 pescivendoli (sempre loro!) vestiti da Ebrei che cavalcavano al contrario dei somari, guidati da un rabbino che teneva in mano la coda del suo cavallo (montato al contrario), e nell’altro i rotoli della Torah.
Per buona parte del Settecento questi episodi di dileggio dell’ebraismo andarono avanti, scomparendo quasi del tutto nell’Ottocento.
Progetto Dreyfus