Il 25 aprile fu istituito come festa della Liberazione il 27 maggio 1949 per commemorare la liberazione dell’Italia dall’occupazione nazista e la definitiva caduta del regime fascista: questa data è particolarmente sentita dalla Comunità ebraica perché ha significato la fine delle discriminazioni e delle leggi razziali dopo il ventennio fascista. Proprio in questo periodo cade Yom ‘Azmaùt, la festa dell’Indipendenza di Israele, stabilita dal Governo provvisorio alla fine del Mandato britannico nel maggio 1948, dopo quasi duemila anni di diaspora.
Ogni paese ha una sua festa nazionale. Ciò che caratterizza Yom Azmaùt è che viene festeggiato tanto in Israele quanto nelle comunità ebraiche della Diaspora. Questa può sembrare un’anomalia: infatti è come se gli americani di origine italiana, oltre a festeggiare il 4 luglio, celebrassero anche il 25 aprile. Questa dicotomia dell’ebreo che afferma di essere interamente italiano, ma anche completamente ebreo, ha dato adito in passato all’accusa degli Stati nazionali della doppia lealtà ebraica.
Ma, Yom Azmaùt è una festa “laica” o “religiosa”? La speranza degli ebrei di vivere in un paese in cui la cultura e la lingua della Bibbia tornasse a vivere in maniera indipendente, espressione della millenaria identità ebraica, è cosa che riguarda tutti gli ebrei del Mondo, quale che sia il loro pensiero.
Questo evento contiene qualcosa che lo lega intimamente a tutta la storia ebraica: cosa ha reso possibile l’avverarsi della rinascita ebraica in Terra d’Israele? La lotta per l’affermazione della propria identità, lotta che è spesso stata accompagnata dalla volontà di cancellare l’identità altrui, atteggiamento, assai lontano dalla sensibilità ebraica, per la quale la diversità è un valore.
Nonostante i tentativi di “rianimazione”, con il passare del tempo, tutte le feste nazionali perdono il loro significato e si trasformano in una semplice giornata di vacanza. Il 25 aprile corre il rischio di perdere il suo significato: il problema è come viverlo non solo come un evento legato alla vittoria sulla dittatura nazifascista, ma come una giornata portatrice ed espressione di valori universali, che possano contribuire a unificare gli italiani. Il problema è oggi – e ancor più domani – come rendere vivo non solo il ricordo, ma il senso e il valore di questa giornata, portandola nella propria vita quotidiana. La libertà si esprime attraverso la valorizzazione della democrazia, il diritto all’eguaglianza e alla diversità, l’accoglienza dello straniero (“perché foste stranieri in terra d’Egitto”), sulle quali ognuno deve vigilare ogni giorno.
La libertà – come ogni altra grande idea – non può quindi rimanere un’affermazione astratta, ma deve essere accompagnata da atti concreti che devono compiere l’individuo e la società. Per il popolo ebraico, grandi occasioni di libertà sono il sabato settimanale, quando tutti diventano uguali, l’anno sabbatico, il giubileo ogni 50 anni, quando tutte le terre tornavano ai proprietari originari, l’aiuto ai bisognosi, ecc. La libertà si esprime attraverso la liberazione dalla schiavitù anche nelle sue forme moderne (Pasqua), ma anche con il possesso dei beni che consentono all’uomo di vivere come popolo indipendente, padrone dei mezzi di produzione, che assicurano la vera indipendenza.
Per capire appieno perché si è arrivati solo nel 1948 a fissare questa giornata dobbiamo fare ancora un passo. La storia del popolo ebraico si è sviluppata tra due poli: quello della Diaspora e quello del Ritorno alla Terra dei padri.
Gli eventi che hanno caratterizzato la storia ebraica dalla Shoà in poi, vanno visti come un processo che non può terminare con il Giorno dell’Indipendenza. Secondo la definizione che noi troviamo nella preghiera per “la pace dello Stato”, questa giornata rappresenta solo l’inizio della fioritura della nostra liberazione, inizio che dovrà portare al cambiamento vero e proprio e che è tuttora in corso. Questa idea dovrebbe essere applicata anche al 25 Aprile: non solo giornata di ricordo nazionale, ma occasione per ognuno di contribuire allo sviluppo culturale e sociale dell’identità nazionale, in cui coinvolgere anche gli italiani residenti all’estero. L’Italia ha molto da insegnare agli altri: vi sono popoli che ancora oggi combattono per affermare la propria identità, e non a caso usano i canti della Resistenza e della tradizione musicale italiana per affermarla.
Il 25 Aprile rappresenta un momento di svolta della storia italiana: preservare il suo significato culturale accanto a quello storico permetterà alla società italiana di progredire, mentre dimenticare il suo valore finirebbe per creare una regressione a tempi bui. Le dichiarazioni di antifascismo, come ha fatto in varie occasioni l’ANPI, non raggiunge alcun obiettivo. Bisogna fare proposte concrete per combatterlo. Ad esempio, se come dichiarato dai russi lo scopo dell’invasione dell’Ucraina era rendere inoffensiva l’armata Azov, dichiarata movimento terrorista, composto da fascisti e nazisti, sarebbe stato più efficace operare anche in prima persona coinvolgendo i sistemi di sicurezza russi, capaci di dare lezioni a tutti…. Diversa fu la situazione in Italia e in Germania in cui il potere centrale era fascista o nazista.
Yom Azmaùt ha assunto un significato in cui è difficile distinguere il momento laico da quello religioso. La partecipazione degli ebrei della Diaspora e di molti amici non ebrei non può essere ridotta all’espressione nazionalista di mera identificazione con lo Stato d’Israele; essa rappresenta piuttosto un momento di sintesi religiosa e spirituale, che, come tale, viene intesa, magari solo sul piano dell’inconscio, anche dai “laici”. Questo giorno rappresenta un punto di incontro del destino del popolo ebraico, dove la storia incrocia lo spirito, l’immanente il trascendente, e il tempo delle lacrime (le millenarie persecuzioni) il tempo delle risa (il ritorno).