Pochi ebrei oggi sono d’accordo con gli attacchi del rebbe di Satmar al sionismo. Un motivo in più per leggerli.
Shaul Magid
Recentemente, ho tenuto un seminario al Kraft Center for Jewish Life alla Columbia University, ed ho incluso una serie di passaggi del manifesto antisionista Vayoel Moshe, di Yoel Teitelbaum, noto come Satmar Rebbe o il Rav Satmar. Teitelbaum (1887-1979) fu il fondatore della setta chassidica Satmar a Satu Mare (anche conosciuta come Szatmernemeti), in Ungheria, ed è conosciuta come il modello dell’antisionismo ultraortodosso. Successivamente, un amico e collega che ha partecipato al seminario mi ha detto che mentre stava studiando in una yeshiva religiosa sionista in Israele, alcuni studenti leggevano il trattato antisionista di Teitelbaum, Vayoel Moshe, e ne ridevano, un’interessante forma di intrattenimento da parte de vincitori del dibattito sul sionismo. Perché mai studiare le opere del perdente, anche se solo per divertimento? Ancor più curioso è il fatto che nel 2011 Shlomo Aviner, uno dei principali rabbini tra i coloni, abbia pubblicato un libro intitolato Alei Na’aleh, una risposta sionista capitolo per capitolo a Vayoel Moshe. E nel 2012 I Chabad-Lubavitch hanno pubblicato Iggeret Ma’aneh Hakham, di Yoel Kahn, rispondendo ai divieti di Teitelbaum a non essere coinvolti con lo stato secolare israeliano. Dato che il sionismo ha vinto, perché tali rabbini dovrebbero spendere tempo ed energia a scrivere tali libri? Perché dovrebbero preoccuparsene?
Mentre molte persone conoscono la posizione generale di Teitelbaum e della sua comunità Satmar nei confronti del sionismo, pochi hanno effettivamente letto le sue opere e compreso gli argomenti dall’interno del denso e complesso contesto nel quale sono stati scritti. E questo è un peccato, perché le sue due opere anti-sioniste, Vayoel Moshe, pubblicata nel 1959, e ‘Al Ha-Geulah ve’ al ha-Temura (Sul riscatto e la permuta, tratto da Ruth 4:7), una risposta alla guerra dei sei giorni, pubblicata nel 1967, offre argomenti dettagliati e intricati circa il fatto che, contrariamente a quanto molti credono, il sionismo rappresenta un pericolo imminente per il popolo ebraico ed una deviazione, invece che una acquisizione, per l’imminente era messianica. Nel seguito, offro una rappresentazione schematica e contestualizzata della sua argomentazione, per poi domandarmi perché dovremmo confrontarci con essa seriamente, anche se ovviamente la maggior parte di noi è in disaccordo.
Vayoel Moshe e ‘Al ha-Geulah sono due libri molto diversi. Il primo è principalmente un trattato halachico, che offre intricate discussioni legali su tre argomenti separati ma correlati. In primo luogo, lo stato giuridico della discussione talmudica dei “tre giuramenti” tra Dio e Israele. Il Talmud verso la fine del trattato Ketubot delinea tre giuramenti tra Dio, Israele, ed il mondo come la condizione dell’esilio degli ebrei. Primo, che gli ebrei non dovrebbero andare in massa nella terra di Israele. Secondo, che Israele non dovrebbe ribellarsi alle nazioni del mondo. E terzo, che Dio comanderà alle nazioni di non opprimere troppo Israele. Il primo saggio di Vayoel Moshe offre un resoconto dettagliato di questi giuramenti nella letteratura midrashica ed in quella relativa al codice giuridico medievale, sostenendo che poiché il sionismo trasgredisce il primo giuramento, Dio non è più vincolato al terzo. Il secondo saggio è una lunga discussione halachica sulla questione se vi sia, ai nostri giorni, un comandamento positivo di stabilirsi nella terra di Israele. La domanda è rilevante per i suoi lettori perché, data la natura secolare del sionismo, se non c’è più l’obbligo di vivere nella terra, come possono gli ebrei religiosi giustificare la loro combutta con i sionisti secolari al fine di stabilirsi lì? Il terzo saggio riguarda lo stato secolare della lingua ebraica e la sua relazione con il lashon ha-kodesh (la lingua santa), un affascinante studio sulla natura halachica dell’ebraico come lingua franca. Invece, ‘Al Ha-Geulah è un’opera teologica. Teitelbaum scrisse l’introduzione, ma poi si ammalò ed il resto comprende trascrizioni di discorsi orali che tenne nel corso degli anni. ‘Al Ha-Geulah sviluppa una serie di argomenti teologici incentrati sulla natura del miracolo, dell’idolatria, e della falsa profezia, idee che Teitelbaum riteneva particolarmente rilevanti all’indomani della guerra del 1967.
Significativamente, nelle centinaia di pagine fitte delle opere di Teitelbaum, egli menziona raramente in modo aperto il sionismo od i sionisti, anche se allude spesso a loro, di solito con termini come “minim” o “apikorsim” (eretici) o “horsei dat” (distruttori di religione). Questi termini non sono suoi specifici ma erano comunemente usati dai pensatori ultra-ortodossi in riferimento ai sionisti. Teitelbaum non discute quasi mai dei pensatori sionisti, anche se nel suo saggio sulla lingua ebraica, “Saggio sul Lashon ha-Kodesh“, si riferisce spesso a iniziative educative sioniste e dibattiti sulla secolarizzazione e profanazione della lingua ebraica. Ho trovato solo un riferimento in una risposta halachica nel quale menziona Abraham Isaac Kuk, il primo rabbino capo del mandato della Palestina ed architetto del sionismo religioso contemporaneo, e solo di sfuggita. Teitelbaum non è interessato alle polemiche dirette, ma piuttosto alla creazione di una fonte primaria di Torah che avverte contro l’eresia del sionismo. Le sue due opere principali sono quindi piene di lunghe divagazioni su dichiarazioni talmudiche e sui loro commenti. Chiaramente non sono pensate per ebrei secolari, certamente non per sionisti secolari. In effetti, chi non conosce il linguaggio del beit midrash (“casa dello studio”) ha difficoltà a smontare le sue argomentazioni midrashiche ed halakhiche.
Queste opere sono dirette alla sua comunità ultraortodossa, che credeva fosse, o potesse essere, sedotta dalla narrativa sionista. Ciò è particolarmente vero con ‘Al Ha-Geulah, scritto quando Teitelbaum vide la guerra dei sei giorni interpretata come una vittoria miracolosa per il sionismo. Spesso notò, scherzando a metà, che tutti questi ebrei laici che non credevano ai miracoli improvvisamente iniziarono a parlare di miracoli quando si trattava della guerra dei sei giorni. Ma più significativamente, queste opere rappresentano anche una teologia politica ebraica, attingendo a migliaia di fonti tradizionali, impiegate per mettere in guardia contro i pericoli del soccombere all’eresia sionista contemporanea.
Yoel Teitelbaum fu salvato dalla morte quasi certa a Bergen-Belsen dal treno (sionista) di Kastner[1]. Trascorse circa un anno nel mandato della Palestina prima di emigrare a New York, dove trascorse il resto della sua vita, spostandosi tra una casa a Williamsburg, Brooklyn, e l’enclave Satmar Kiryas Yoel nella Contea di Rockland, New York. Nel 1952, visitando Gerusalemme e donando cospicui fondi alla comunità ultraortodossa locale, fu nominato capo titolare (av beit din) dell’Edah Haredit, la più grande corte rabbinica ultraortodossa di Gerusalemme. Rimase il presidente onorario di Edah fino alla sua morte. La sua prodigiosa istruzione e la sua vasta conoscenza lo resero uno dei grandi saggi della Torah del 20° secolo, riconosciuto come tale anche da coloro che erano fortemente in disaccordo con lui.
Teitelbaum fu in gran parte responsabile della ricostruzione delle comunità di ebrei ultraortodossi dall’Ungheria e dalla Romania decimate nell’Olocausto. Mentre la sua corte chassidica a Satu Mare (comunemente conosciuta oggi come Satmar), vicino al confine ungherese/rumeno era relativamente piccola, dopo la guerra divenne un magnete per i sopravvissuti di quelle regioni. La sua ideologia estrema fu trapiantata dalla regione ungherese di Marmaros, dove l’ultraortodossia sposò, come atto di pietà redentrice, la rigida separazione da tutte le forme di secolarismo. Il sionismo servì per lui e per la maggior parte degli altri leader religiosi di quella regione, come un mix precario di secolarismo abbigliato in un linguaggio ebraico redentore che era particolarmente pericoloso perché conteneva la seduzione della capacità risolvere il problema ebraico diasporico dell’antisemitismo.
In molti modi, l’Olocausto era al centro del pensiero di Teitelbaum sul sionismo. Infatti, egli inizia Vayoel Moshe facendo cenno alla catastrofe che era appena capitata agli ebrei:
A causa dei nostri molti peccati, negli ultimi anni abbiamo sofferto amaramente in modi nei quali Israele non ha sofferto da quando è diventata una nazione [goy]. “Se il Signore non ci avesse conservato un piccolo avanzo [saremmo come Sodoma, uguali a Gomorra].” (Isaia 1:9). Ma con la misericordia di Dio, benedetto sia il Suo nome, alcuni di noi sono sopravvissuti, sebbene in piccolo numero. Non pochi da una moltitudine ma pochi da pochi, tutto ciò a causa di un giuramento che il Santo benedetto Egli sia fece con i nostri antenati per non annientarci completamente, Dio non voglia. Siamo sopravvissuti anche con i nostri numerosi peccati, incarnando il versetto, “Il Signore renderà eccezionali le tue piaghe [e quelle della tua progenie]“. [Deuteronomio 28:59] “[perciò io continuo a far meraviglie per questo popolo, in modo miracoloso,] e si perderà la saggezza dei suoi sapienti, e l’intelligenza dei suoi esperti sarà offuscata”. [Isaia 29:14] aspettavamo “l’ora della guarigione, ed ecco il terrore! ” [Geremia 8:15] Ed ancora oggi riposo e conforto non sono arrivati. I nostri cuori sono totalmente spezzati e non c’è nulla che ci possa confortare e rafforzare. Piuttosto, i nostri occhi deboli e le nostre anime languenti si volgono verso il cielo fino a che Dio vedrà tutto ciò dal cielo. Dio vedrà la nostra sofferenza e guarirà i nostri cuori feriti con la grande misericordia di Dio.
Inoltre, Teitelbaum credeva, come molti sionisti religiosi, specialmente dopo l’Olocausto, che stiamo sulla cuspide della redenzione messianica. Spesso fraintendiamo l’antisionismo di Teitelbaum come diametralmente opposto al sionismo di Abraham Isaac Kuk. In verità, Kuk e Teitelbaum sono in disaccordo meno di quanto pensiamo. Dal profondo della tradizione canonica, entrambi avevano un compito simile: dare un senso alla natura secolare del sionismo e come essa potesse quadrare con la comprensione tradizionale sia della catastrofe che della redenzione. Kuk argomentò dialetticamente, usando una mentalità romantica e mistica, che la natura secolare ed in gran parte antireligiosa del primo sionismo fosse una deviazione necessaria, sebbene temporanea, dalla tradizione che sarebbe stata valutata diversamente nel futuro redentore immanente. Teitelbaum, che visse più profondamente nella cornice binaria della letteratura talmudica, credeva anch’egli che il sionismo avesse avuto un ruolo centrale nella prossima redenzione, tranne che per lui il suo ruolo non era un’inversione kukiana della tradizione per amore della redenzione, ma l’eresia pre-messianica alla quale agli ebrei è richiesto di resistere affinché possa venire la redenzione.
Il sionismo era quindi il falso messia che doveva essere respinto perché arrivasse il vero messia. Se gli ebrei soccombono alla tentazione della “prova finale”, e Teitelbaum sapeva che la tentazione era forte dato il suo contesto post-Olocausto, la redenzione arriverà, ma arriverà attraverso la catastrofe. Come ha affermato lo storico ebreo Amos Funkenstein, secondo Teitelbaum “[una] catastrofe è imminente, dopo di che solo pochi, ‘i resti di Israele’, sopravviveranno per assistere alla vera redenzione. In effetti, l’intero argomento di Teitelbaum è incorporato nella premessa apocalittica secondo la quale la vera redenzione, attraverso un miracolo divino, è molto vicina, a portata di mano “. Kuk credeva che il sionismo secolare dovesse essere abbracciato per essere superato; Teitelbaum credeva che il sionismo dovesse essere respinto per evitare una catastrofica redenzione. Un’altra somiglianza tra Kuk e Teitelbaum è che entrambi hanno visto il messia, falso e vero, nei termini della più astratta idea del sionismo. Per Kuk, il sionismo era l’incarnazione del messianismo, per Teitelbaum era il suo preludio satanico.
Se pensiamo che la posizione di Teitelbaum sia unica nel suo estremo rifiuto del sionismo ci sbagliamo. In termini generali, gli impegni ideologici di Teitelbaum contro il sionismo non sono nuovi, ma parte di una traiettoria molto più lunga dell’antisionismo tradizionale che risale all’inizio del XX secolo nell’opera di Hayyim Elazar Shapira di Munkacz (1868-1937), l’ebreo di “antico insediamento” in Palestina e, successivamente, ai Neturei Karta in Israele. Questo antisionismo era anche condiviso da gran parte del mondo ultraortodosso prebellico, dal gigante rav lituano Elhanan Wasserman (1874-1941) a Yitzhok Zev Soloveitchik (1886-1959); e gran parte della dinastia Soloveitchik; e il Lubavitcher Rebbes Shalom Dov Schneershon (1860-1920) e Yosef Yizhak Schneershon (1880-1950), tra molti altri.
La differenza tra Teitelbaum e molti dei suoi colleghi è che solo Teitelbaum ha speso un significativo capitale intellettuale sviluppando una teologia politica che non solo ha reagito all’istanza circonstanziale del sionismo come ad una eresia, ma lo ha collocato in un contesto teologico che ha le sue radici nella narrazione biblica, per esempio, la ribellione del vitello d’oro, la risposta blasfema di Giobbe alla sua sofferenza, la ribellione del popolo contro Mosè nel deserto, e la storia del miracolo nella antica tradizione biblica e nell’ebraismo. Inoltre, Teitelbaum ha respinto l’acquiescenza in larga parte pragmatica verso il sionismo in gruppi come Agudat Yisrael, vedendoli come i giusti che furono ingannati nel servire il vitello d’oro nel deserto del Sinai.
Nella sua tesi su Teitelbaum, Menachem Keren-Krantz dell’Università di Tel Aviv scrive: “La maggior parte degli ebrei e dei rabbini ortodossi [dopo l’Olocausto] erano solidali con lo stato ebraico, anche se erano sospettosi del suo secolarismo e del successo della religione [in Israele] negli anni a venire. Per i primi cinque anni, R. Yoel [Teitelbaum] fu l’unico che continuò a mantenere la ferma posizione anti-sionista che era emersa [precedentemente] dalle scuole dell’ortodossia radicale in Transilvania e nei suoi dintorni.” Fino alla fine degli anni ’50, tuttavia, Teitelbaum non pubblicò nulla di sostanziale sull’argomento, ma rese note le sue opinioni nei sermoni orali e in vari media come il quotidiano yiddish Der Yid, che fondò a New York e fu ampiamente letto nella comunità di lingua Yiddish ultra-ortodossa. Verso la fine degli anni ’50, vedendo la comunità ultraortodossa addolcirsi verso ciò che considerava l’eresia sionista, decise di pubblicare le sue opinioni in forma di libro, su Vayoel Moshe.
Suggerisco che un modo di concepire l’antisionismo di Teitelbaum è che esso costituisce una vera e propria teologia ebraica dell’Anticristo. Qui penso che antecedenti all’opera di Teitelbaum si possano trovare nel monaco cristiano medievale Gioacchino da Fiore (1135-1202) ed in particolare in Martin Lutero nel XVI secolo. A partire da Fiore e poi ancora di più negli scritti riformisti di Lutero, l’Anticristo si sposta da riferimenti biblici apocalittici, mitici ed obliqui per applicarsi agli eventi storici ed all’immanente fine dei tempi. Una volta che approfondiamo la teologia riformata, le istituzioni, in particolare il papato, diventano il bersaglio delle accuse anticristiche. L’opera di Lutero del 1545 Contro il Papato Romano: un’istituzione del Diavolo sposta la discussione dell’Anticristo su di un modello presentista, dove rimane per i successivi due secoli. Su ciò, lo studioso del cristianesimo Bernard McGinn osserva: “Qual è stata la vera originalità di Lutero nella storia delle tradizioni dell’Anticristo? Il rifiuto dei riformati dei leggendari accrescimenti al quadro scritturale dell’Anticristo e la sua adesione a un’interpretazione totalmente collettiva del Nemico Finale lo distinguono da qualsiasi visione medievale, anche quelle che identificano le istituzioni del papato con l’Ultimo Nemico.” Teitelbaum utilizza immagini sataniche simili che attingono a fonti ebraiche classiche e collega questi episodi alla realtà contemporanea del sionismo e dello stato israeliano. Per lui, il sionismo funziona in modo simile al papato per Lutero.
L’idea dell’Anticristo è radicata nella figura di Satana nel Libro di Giobbe e nel Libro di Daniele 9-11, dove leggiamo: “Ed il re agirà a suo piacimento, s’inorgoglirà, si considererà superiore a qualunque dio e pronunzierà cose inaudite contro Iddio degli dèi e avrà successo finché non sarà terminata l’ira, poiché quello che è decretato si compirà” (Daniele 11:36). Questo è uno dei motivi per cui Teitelbaum include un lungo excursus su Giobbe in ‘Al ha-Geulah ve ’al ha-Temurah. Comprendere il rapporto tra Satana e Giobbe ed esaminare il dispiegamento midrashico di Satana nell’episodio del vitello d’oro (un altro motivo centrale di ‘Al Ha-Geulah) è cruciale per la valutazione di Teitelbaum sul mondo che lo circonda, specialmente data la sua convinzione nell’opportunità prossima di redenzione dopo l’Olocausto.
L’idea di un Anticristo, o falso messia che precede quello vero, è ripresa nella letteratura ebraica e apocrifa e medievale come in Pirkei D’Rebbe Eliezer e nei libri dei pietisti della Renania del 13° secolo, assumendo una potenza speciale quando si fonde con il messianismo , sostenendo che la redenzione finale è progettualmente preceduta dall’emergere di una figura satanica o di figure (individui, comunità o persino ideologie) che mettono alla prova la fedeltà della comunità dei credenti alla parola ed alla volontà di Dio. Un esempio ebraico di spicco è la figura di Armilos, un figlio di Satana che uccide il Messia figlio di Giuseppe nel Sefer Zerubbavel, una breve opera messianica scritta in ebraico nel VII secolo EC. Questa figura satanica appare nella letteratura successiva come un arbitro della volontà divina, spesso intenta a compiere prodigi miracolosi, avendo un grande successo quasi senza precedenti tale che, sotto ogni aspetto, egli è un emissario di Dio. Mentre Teitelbaum, per quanto ne sappia, non menziona mai Armilos, era certamente a conoscenza delle tradizioni di tali figure pre-messianiche nella letteratura medievale.
Questo successo del sionismo è indice di una differenza significativa tra Teitelbaum e il suo predecessore antisionista, nonché un tempo mentore, R. Hayyim Elazar Shapiro di Munkacz. Il filosofo ebreo Aviezer Ravitzky descrive questa differenza in modo succinto. “Il Munkaczer Rebbe deve solo chiedere, ‘Dov’è la fonte di questa malvagità?’ Il Satmerer Rebbe, tuttavia, doveva andare avanti e chiedere, ‘Qual è la fonte del loro successo mondano?‘” In poche parole, questo significa che da quando morì Shapiro nel 1936, non dovette mai affrontare il successo mondano del sionismo, ma solo la sua esistenza. Ma dice anche del modo in cui questo successo mondano funge da pietra angolare della teologia politica dell’Anticristo di Teitelbaum. Il successo del sionismo, ancor più dopo il 1967, è la questione cruciale alla quale Teitelbaum deve rispondere, e quindi, per lui, il successo del sionismo non dimostra la sua provenienza divina (la pretesa di molti sionisti religiosi) ma piuttosto rafforza il suo status di Anticristo. Per far ciò, deve ricorrere a fonti ed idee ebraiche che hanno informato le varie ideologie dell’Anticristo del passato.
Nella maggior parte delle teologie dell’Anticristo, Satana è un emissario di Dio ma funziona come uno strumento di seduzione, uno che sorge immediatamente prima dell’imminente redenzione come una prova finale per la comunità dei credenti. Anche la teologia dell’Anticristo è quasi sempre connessa a un’affermazione messianica. Ciò che è richiesto alla comunità dei credenti è la resistenza, piuttosto che l’acquiescenza, a tale seduzione satanica. Ciò equivale a una specie di idea ebraica post-tribolazionista secondo cui l’Anticristo viene a testare la fedeltà della comunità dei credenti. Da ogni punto di vista, Teitelbaum sapeva che il sionismo appariva come una forza liberatrice per gli ebrei, salvando molti, incluso lui, specialmente sulla scia della distruzione degli ebrei europei nell’Olocausto. Eppure è proprio il successo del sionismo, soprattutto dopo il 1967, a convincerlo del reale uso da parte di Dio del sionismo come prova finale che richiede resistenza.
Uno dei cliché ripetuti nelle opere di Teitelbaum è che “il bene non viene dal male”, o “il peccato non può provocare il santo”, un’idea a mio avviso intesa a minare la nozione kukiana, attingendo da fonti mistiche, di migrazione dialettica del secolare nel santo. Se il bene non viene dal male, che lavoro fa allora il male nell’imminente fine dei tempi? In ‘Al ha-Geula ve al ha-Temurah leggiamo: “È noto nella nostra letteratura che non appena ci sia un segno della nostra redenzione e della salvezza delle nostre anime, Satana escogita modi per scambiarla con una falsa redenzione che porta dolore, angoscia, ed oscurità per il mondo. Rabbenu Gershom (960-1040 EC) nota nella sua glossa al Talmud Trattato Tamid 32a a proposito della frase, “Satana avrà successo”, “Non sorprendetevi che Satana sia riuscito a farli smarrre offrendo loro la redenzione e poi conducendoli a inferno.” (AG 31, 32 nella mia traduzione) In seguito, Teitelbaum cita ulteriormente una fonte rabbinica che non sono stato in grado di individuare: “Satana ha ottenuto il permesso di compiere miracoli e prodigi nella sua istituzione dell’idolatria“. (AG 11, la mia traduzione) Questo sentimento appare in vari testi cabalistici medievali ma, per quanto ne sappia, non questa esatta citazione.
L’ironia di soccombere all’Anticristo è che si tratta di un peccato che è in gran parte involontario. Qui Teitelbaum si appoggia fortemente su Moses Nahmanide (1194-1270), il grande leader degli ebrei spagnoli del XIII secolo e autore di un commento ampiamente letto alla Torah. Nella sua spiegazione della narrativa del vitello d’oro, Nahmanide suggerisce che la maggior parte di coloro che adorano il vitello lo ha fatto con l’intenzione di servire Dio e non l’idolatria. Coloro che erano colpevoli di idolatria furono immediatamente uccisi (Es. 32:27), mentre gli altri furono puniti ma non uccisi (Es. 32:30) proprio perché le loro intenzioni erano nobili. Teitelbaum vede questa intera narrativa come un’illustrazione del vitello come l’Anticristo. Questo si basa su una tarda antica traduzione aramaica della Torah, la resa di Es. 32:19 nel Targum Yonatan. “Non appena Mosè si avvicinò al campo e vide il vitello e le danze, si irò.” Spostando abilmente il verbo “danzare” dal popolo a Satana, il Targum recita: “Satana era nel vitello e balzò fuori di fronte al popolo” (vedi AG 6). La natura miracolosa di quell’evento è stata interpretata dal popolo come un intervento divino, e quindi risposero di conseguenza. Il miracolo era proprio la trappola. Ecco come Teitelbaum comprende la guerra dei sei giorni. Fu davvero un miracolo, come Satana che saltava dal fuoco e danzava celebrando la sua apparente vittoria nel sedurre il popolo ad adorare il vitello.
Che cosa significa tutto questo per la maggior parte di noi che non sono disposti ad aderire nella convinzione di Teitelbaum che il sionismo sia un’ideologia anticristica? In altre parole, perché interessarsi a questo? Quale ruolo può svolgere nella nostra comprensione della storia ebraica e della storia della modernità ebraica? Uno dei prodotti curiosi del nostro tempo è che il successo dell’interpretazione religiosa sionista della storia ebraica ha portato alla visione che il sionismo sia modo di comprendere ovvio ed adeguato della tradizione ebraica. In realtà, la comprensione offerta da Abraham Kuk e da altri che il ritorno degli ebrei nella terra di Israele sia un segno dell’imminente redenzione a supporto della giustificazione teologica del progetto sionista, è altamente problematica dal punto di vista della tradizione stessa. Le interpretazioni sioniste religiose delle fonti sono spesso forzate e spesso richiedono di estendere l’elasticità delle fonti tradizionali oltre il credibile. Questo non significa necessariamente il fatto di scartarla, ma solo il fatto di suggerire che sicuramente non è affatto cosa ovvia o in alcuni casi, persino plausibile. Teitelbaum sostiene che lavorando rigorosamente da fonti canoniche midrashiche e legali, il suo punto di vista è quello più forte. Questo non vuol dire che abbia ragione nella sua valutazione, ma significa solo che giustificare il sionismo attraverso la tradizione è una cosa molto più difficile di quando pensiamo, soprattutto senza aver letto il lavoro di Teitelbaum.
C’erano buone ragioni per le quali le comunità tradizionali nell’Europa prebellica erano in gran parte contrarie al sionismo. Teitelbaum affermava spesso che i suoi punti di vista erano quelli dominanti nel mondo in cui viveva prima della guerra. In ciò ha certamente ragione. La forza delle argomentazioni di Teitelbaum provenienti da fonti canoniche può anche spiegare perché i rabbi Aviner e Kahn si sarebbero preoccupati di scrivere le risposte a Vayoel Moshe negli anni 2000, molto tempo dopo che sembrava che la battaglia fosse stata vinta. Entrambe sono figure rabbiniche profondamente coinvolte nella tradizione e quindi vedono, senza essere necessariamente d’accordo, che l’opera di Teitelbaum rappresenta una seria sfida per il sionismo, degna di una risposta sotto forma di libro.
La vera natura del sionismo da un punto di vista teologico è, ovviamente, sconosciuta. Viviamo tutti nel bel mezzo di un dramma che si sta ancora svolgendo. Sia nella teologia dialettica di Kuk che migra il profano nel santo, che nella teoria del sionismo di Teitelbaum come falso messia, è pari la difficoltà a comprendere una svolta radicale nella storia ebraica. Gli studenti religiosi sionisti di yeshiva che ridono mentre leggono Vayoel Moshe oggi hanno certamente motivo di festeggiare. Ma il capitolo su chi avrà diritto all’ultima risata deve ancora essere scritto.
Shaul Magid, redattore collaboratore di Tablet, è Distinguished Fellow of Jewish Studies presso il Dartmouth College e Kogod Senior Research Fellow presso lo Shalom Hartman Institute of North America. I suoi ultimi libri sono Pietà e ribellione: Saggi in chassidismo e La Bibbia, il Talmud e il Nuovo Testamento: il commento ai Vangeli di Elijah Zvi Soloveitchik.
Traduzione di Roberto Maggioncalda Sacerdote
https://www.tabletmag.com/sections/belief/articles/satmar-anti-zionist
[1] NdT: Il treno di Kastner è il nome dato ad un trasporto speciale di 1684 ebrei ungheresi, ai quali nel 1944, durante l’Olocausto, le autorità naziste consentirono di lasciare Budapest e di rifugiarsi in Svizzera, passando per il campo di concentramento di Bergen-Belsen. L’operazione fu il risultato di un accordo tra Adolf Eichmann e Rudolf Kastner, rappresentante del Comitato per l’Aiuto ed il Soccorso degli ebrei ungheresi, in cambio del pagamento di una cospicua somma di denaro. [https://it.wikipedia.org/wiki/Treno_di_Kastner]