Rav Nir Aviv, Ma’asèh reshet, p. 43-63 – Shabbath Project
Vorrei affrontare con voi la questione dei diritti di autore secondo il diritto ebraico. Vedremo quest’oggi solamente alcune linee guida e l’opinione di alcuni poseqim. Trattandosi di una questione abbastanza complicata non daremo tuttavia indicazioni pratiche, visto che in queste regole ci sono numerosissime distinzioni, ed ogni caso va affrontato singolarmente.
La prima domanda importante sui diritti d’autore riguarda la proprietà da un punto di vista di diritto civile della creazione intellettuale, e se questa è equiparabile ad una creazione concreta o meno, e pertanto non possiamo considerare l’autore come il padrone della creazione. Difatti se un falegname fabbrica una sedia, questo ne sarà il padrone e se la venderà a qualcuno la proprietà passerà all’acquirente attraverso uno degli atti di acquisizione previsti dalla halakhàh. Dopo la vendita il falegname non potrà rivendicare la proprietà della sedia. E’ possibile dire che la proprietà della creazione intellettuale è paragonabile a quella della sedia? La halakhàh distingue fra cose concrete (devarim seyesh bò mamash) e cose non concrete (devarim sheen bò mamash). Lo Shulchan ‘Arukh (Choshen Mishpat 212, 1-2; fonte 1) ritiene che si possano vendere o regalare solamente cose concrete, ma non cose che non abbiano concretezza. Per questo non si può vendere il diritto di mangiare i frutti di una palma, o quello di abitare in un appartamento. Quello che si potrà fare è vendere la palma relativamente al consumo dei frutti o l’appartamento relativamente all’abitazione.
Rispetto alla creazione intellettuale siamo in dubbio se ritenerla più vicino alla sedia, o piuttosto alle cose che non hanno concretezza di cui parla lo Shulchan ‘Arukh, e su questa domanda i poseqim sono in disaccordo. Alcuni ritengono che questi prodotti siano equiparabili in tutto e per tutto a quelli concreti, e pertanto siano suscettibili dell’applicazione delle regole del furto. Questo approccio si basa fondamentalmente sulla Teshuvàh del Shoel umeshiv (1,44-fonte 2). Altri poseqim che seguono tale opinione sono fra i contemporanei Ygherot Moshèh (Orach Chayim 4,40; 19), Minchat Ytzchaq (9,153), Shevet ha-Levì, Rav Eliashiv. Non è chiara quale sia la posizione di Rav Ovadiàh Yosef, mentre Rav Yzchaq Yosef segue Shoel umeshiv. La domanda di cui si interessava Shoel umeshiv era la seguente: i figli di un rabbino che aveva scritto un libro di Toràh hanno diritto di stamparlo dopo la sua morte, nonostante il padre avesse ordinato loro di bruciarlo? La domanda è ancora più intrigante perché la creazione riguarda argomenti di Toràh. Shoel umeshiv dice che è chiaro che in generale l’opera intellettuale è proprietà del suo artefice, perché la logica così ci impone e così è in tutto il mondo, e non è possibile che la nostra Toràh non sia come i loro discorsi vani”, e per questo se un autore intende distruggere un’opera intellettuale ne ha pieno diritto perché si tratta di una sua proprietà, ma per la Toràh c’è un aspetto differente, perché esiste un obbligo di studiare ed insegnare Toràh. Rav Asher Weiss (fonte 3) spiegando le parole del Shoel umeshiv dice che anche se non ci troviamo di fronte ad un vero e proprio furto, tuttavia questo ci impongono la giustizia e la rettitudine, e la concordia fra i popoli su questo punto ci mostra che è giusto così. L’opinione di Rav Weiss tuttavia è che in questo caso ci troviamo di fronte ad un vero e proprio furto.
Alcuni poseqim ritengono che l’autore abbia la proprietà della sua creazione, ma non è possibile definire chi copia senza permesso un ladro. Infatti è possibile parlare di furto solo quando l’oggetto esce dalla mano dei proprietari, mentre qui la creazione originale rimane presso i padroni, e non si può parlare di furto per cose non concrete. Tuttavia si può obbligare chi copia a pagare per un altro motivo: infatti nella mishnàh (Bavà qamà 19b- fonte 4) è detto che un animale è mu’ad se mangia ciò che è adatto a lei nella proprietà di chi è danneggiato, mentre se mangia vestiti o oggetti paga solamente la metà perché non è mu’ad. Tutto questo vale nella proprietà del danneggiato, ma nella proprietà pubblica è esente e paga solamente ciò di cui ha goduto. La ghemarà cercherà poi di quantificare (riportiamo il commento di Bertinoro alla Mishnàh – fonte 5). Ciò che emerge è che si dovrà ripagare quanto risparmiato per far mangiare l’animale, perché, avendo già mangiato, non mangerà successivamente. Vari poseqim (fra cui Rav Zalman Nechemiàh Goldberg) sono dell’idea che i diritti di autore vadano considerati secondo questi criteri, e che, sebbene non vi sia un furto, vi sia tuttavia un godimento da parte del fruitore, quantificabile nel prezzo di mercato del prodotto. Ma forse si potrebbe applicare in questo caso il principio halakhico “zèh nehenèh wezèh lo chaser – questo ha un godimento e questo non ha una perdita”, in fondo chi copia qualcosa non porta una perdita a chi ha prodotto l’originale! Questo principio lo troviamo ad esempio nella ghemarà in Bava Qama 20a (fonte 6, con il commento di Rashì, fonte 7): una persona che vive nel cortile di un altro a sua insaputa, deve pagarlo? Se si tratta di una persona che non deve affittare e di un cortile non affittabile certamente no, se è una persona che deve affittare e un cortile affittabile certamente sì, ma se è una persona che deve affittare ed il cortile non è affittabile, uno ha un giovamento e l’altro non perde. Come ci si regola in questo caso?
Se si volesse applicare questo principio la cosa non sarebbe possibile, perché non si può dire che l’autore non perde, perché per fare la sua creazione ha dovuto affrontare delle spese, e sarebbe pertanto paragonabile a “questo ha un godimento, e questo perde”. E anche se dicessimo che ci troviamo di fronte ad un caso in cui “questo ha un godimento e questo non perde”, dobbiamo considerare che si tratta di una regola che si applica a posteriori e non a priori.
Il Nodà BiYehudàh (Mahaduràh Tiniana, Choshen Mishpat 24- la domanda nella fonte 8) riporta un caso interessante: uno stampatore aveva stampato su commissione un’edizione commentata del trattato di Zevachim, lasciando nello stampo le lettere del trattato, per utilizzarle successivamente e fare un’edizione priva del commento. L’autore del commento sosteneva di averlo pagato per tutto il lavoro, e quindi pretendeva di essere risarcito per il giovamento che aveva comportato allo stampatore. Lo stampatore sosteneva invece che le lettere sono sue, e aveva diritto di fare quello che ha fatto. Il Nodà BiYehudàh ritiene che dipende dalle regole di ingaggio: se si era fatto un forfait, ha ragione lo stampatore, perché aveva previsto di fare un utilizzo successivo del lavoro, se invece aveva fatto un preventivo per ogni singola azione compiuta, ha ragione l’autore, perché lo stampatore si era fatto pagare anche per il montaggio delle lettere ulteriori rispetto al commento. Avremmo potuto dire che ci troviamo di fronte al caso di “questo ha un giovamento e l’altro non perde”. In fondo l’autore del commento non perde nulla! Ma non è così: infatti l’autore del commento ha fatto un investimento per vendere i trattati con il suo commento, ed ora che lo stampatore ha fatto questa operazione, vendendo le ghemarot ad un prezzo più basso, l’autore del commento avrà un mancato guadagno, determinato dal comportamento dello stampatore. Il Pitchè Teshuvàh riporta la Teshuvàh del Nodà BiYehudàh per dimostrare che il diritto di impedire l’utilizzo è esercitabile anche in presenza di un mancato guadagno, e che quanto scrive il Ramà, che nel caso illustrato dalla ghemarà dice “kofin ‘al middat Sedom”, non è applicabile nel nostro caso, perché si applica unicamente quando non ci sono state uscite.
Secondo l’altra visione, che è quella maggiormente diffusa fra i poseqim, la creazione intellettuale non conferisce la proprietà all’autore, e quindi non sono applicabili i criteri del furto e del godimento dei beni altrui. Nonostante ciò la copia è vietata per altri motivi. Il primo motivo ricordato è quello di yored leumanutò shel chaverò della hassagat ghevul. La ghemarà in Bavà batra (21b) riporta il caso di una persona che ha intrapreso l’attività di macinare il grano in un comprensorio. Se un altro volesse intraprendere le medesima attività nello stesso comprensorio gli sarebbe consentito, o il primo ha il potere di impedirglielo? Certamente ha questa facoltà, perché il secondo viene ad intaccare le sue possibilità di sostentamento. Non si tratta di una regola derivante dalla Toràh, ma di una disposizione rabbinica, ricavata dal Salmo 15, che dice “chi risiederà nella tua tenda… non ha fatto male al suo prossimo”. Dicono i Maestri in massekhet Makkot (24a) “non ha fatto male al suo prossimo – non ha fatto il lavoro del suo prossimo”. Nel 1550 il Maharam Padova stampò i libri del Rambam ed un ricco possidente fece altrettanto. Il Ramà (Shut ha-Ramà 10) scrisse una teshuvàh per sostenere che si devono acquistare i libri del Maharam e non gli altri. Il motivo principale è quello che abbiamo appena riportato. Altro caso famoso è riportato dal Maharsham (2,202). Una persona aveva escogitato un sistema per ricavare dei vestiti dagli scarti del lino, e si manteneva in questo modo. Un altro si impossessò dell’idea e fece in modo che i venditori vendessero a lui tutto il lino. Sebbene il primo non abbia la proprietà sull’idea, il secondo non ha agito bene, perché ha privato l’altro dei mezzi di sostentamento. Molti poseqim, paragonando questi casi al nostro, hanno individuato una distinzione fra l’uso commerciale, certamente vietato per i motivi che abbiamo detto, e quello personale, che sarebbe consentito. Qualcuno permette l’uso personale solamente qualora l’ideatore abbia guadagnato sufficientemente per la fatica sostenuta. Questa differenza di vedute deriva dalla lettura della ghemarà, che dice che un pescatore non può gettare la propria rete nello stesso posto in cui l’ha gettata precedentemente un altro pescatore, ma deve distanziarsi. La domanda è se si sta parlando di un pescatore che intende poi vendere quanto ha pescato, o anche una persona qualsiasi, e su questo discutono i poseqim.
Secondo altri il motivo del divieto è un altro, che si è goduto della fatica di un altro. La ghemarà in Ghittin (59b- fonte 9) riporta il seguente esempio: un povero stava battendo gli alberi di un olivo per far cadere le olive a terra. Se il povero non ha compiuto un gesto per acquisire le olive, un altro può venire e impossessarsi delle olive? Visto che non c’è stata acquisizione secondo la Toràh sembrerebbe di sì, ma i chakhamim hanno stabilito che si tratta di furto “mipenè darkè shalom”, mentre secondo R. Yosi si tratta di un vero e proprio furto. Lo Shulkhan ‘Arukh (Choshen mishpat 370,5 – fonte 10) stabilisce questa regola come halakhàh. Paragonando questo caso al nostro ‘Emeq Mishpat (p. 590) scrive che una volta che l’autore è stato ricompensato per la sua fatica è permessa la copia per uso personale. Altri non sono d’accordo, perché nell’ambito intellettuale è molto difficile quantificare la ricompensa per la fatica, e quindi questa è rappresentata dal prezzo di mercato del prodotto.
Un motivo ulteriore per vietare la copia è quello di dina demalkuta, poiché in moltissimi ordinamenti la pratica è vietata.
Altri ancora sostengono che il motivo del divieto è “ama il prossimo tuo come te stesso”, che si traduce in “non fare ad altri ciò che ti è odioso”, e visto che in genere le persone non vorrebbero vedere il proprio programma scaricato senza permesso, anche in questo caso è vietato. Il Sefer ha-chinukh (mitzwàh 243 – fonte 11) spiegando questa mitzwàh riporta fra le altre cose le famose parole di R. Aqiva, il quale sosteneva che questa mitzwàh è un grande principio della Toràh, cioè che da essa discendono numerose mitzwoth.
מקורות
1) אין אדם מקנה, לא במכר ולא במתנה, אלא דבר שיש בו ממש. אבל דבר שאין בו ממש, אינו נקנה. לפיכך המקנה לחבירו אכילת פירות דקל זה או דירת בית זה, לא קנה עד שיקנה גוף בית זה לדור בו וגוף אילן לאכול פירותיו
2) …והנה כל דבריו תמוהים דזה ודאי שספר חדש שמדפיס מחבר וזכה שדבריו מתקבלים ע”פ תבל פשיטא שיש לו זכות בזה לעולם והרי בלא”ה אם מדפיסים או מחדשים איזה מלאכה אינו רשאי אחר לעשות בלא רשותו… ולא יהא תורה שלימה שלנו כשיחה בטילה שלהם וזה דבר שהשכל מכחישו ומעשים בכל יום שהמדפיס חבור יש לו ולב”כ זכות
3)
4 ) כֵּיצַד הַשֵּׁן מוּעֶדֶת. לֶאֱכֹל אֶת הָרָאוּי לָהּ. הַבְּהֵמָה מוּעֶדֶת לֶאֱכֹל פֵּרוֹת וִירָקוֹת. אָכְלָה כְסוּת אוֹ כֵלִים, מְשַׁלֵּם חֲצִי נֶזֶק. בַּמֶּה דְבָרִים אֲמוּרִים. בִּרְשׁוּת הַנִּזָּק, אֲבָל בִּרְשׁוּת הָרַבִּים, פָּטוּר. אִם נֶהֱנֵית, מְשַׁלֵּם מַה שֶּׁנֶּהֱנֵית. כֵּיצַד מְשַׁלֵּם מַה שֶּׁנֶּהֱנֵית.
5) לָאו תַּשְׁלוּמִין מְעַלְּיָתָא, אֶלָּא אִם אָכְלָה דָּבָר שֶׁדָּמָיו יְקָרִים רוֹאִים אוֹתוֹ כְּאִלּוּ הֵן שְׂעֹרִים, וְאֵינוֹ מְשַׁלֵּם אֶלָּא דְּמֵי שְׂעֹרִים בְּזוֹל, שֶׁהוּא שְׁלִישׁ פָּחוֹת מִמַּה שֶּׁהֵם נִמְכָּרִים בַּשּׁוּק. וְאִם אָכְלָה דָּבָר שֶׁדָּמָיו פְּחוּתִים מִן הַשְּׂעֹרִים, מְשַׁלֵּם דְּמֵי אוֹתוֹ דָּבָר שֶׁאָכְלָה בְּזוֹל. וְאִם אָכְלָה דָּבָר שֶׁהִזִּיק לָהּ, כְּגוֹן שֶׁאָכְלָה חִטִּים, הוֹאִיל וְלֹא נֶהֱנֵית, פָּטוּר
6) הדר בחצר חבירו שלא מדעתו, צריך להעלות לו שכר או אין צריך? היכי דמי? אילימא בחצר דלא קיימא לאגרא וגברא דלא עביד למיגר, זה לא נהנה וזה לא חסר! אלא בחצר דקיימא לאגרא וגברא דעביד למיגר, זה נהנה וזה חסר! לא צריכא, בחצר דלא קיימא לאגרא וגברא דעביד למיגר, מאי?
7) ה”ג אי נימא בחצר דלא קיימא לאגרא וגברא דלא עביד למיגר זה לא נהנה וזה לא חסר – דלא עביד למיגר זה שדר באותה חצר אינו עשוי לשכור חצרות לפי שמצויין לו בתים להשאיל או יש לו בית אחר.זה לא נהנה – דהא שכיחי ליה בתים בחנם. וזה לא חסר – דהא לא קיימא לאגרא ופשיטא דפטור. זה נהנה – שהרי היה לו לשכור בית אחר. וזה חסר – דחצרו קיימא להשכיר והוה מוגר לאחריני. דלא קיימא לאגרא וגברא דעביד למיגר – דהוה ליה זה נהנה וזה לא חסר.
8) תשובה על דבר אשר נשאלתי מק”ק ליווארני וז”ל השואל. ראובן חיבר פירוש על סדר נזיקין וקדשים והלך אצל שמעון המדפיס ונתפשר עמו בסך ידוע בעד כל דף שידפיס לו אלו השני סדרים עם פירש”י ותוספות ופירוש של המחבר הנ”ל למטה. והנה דרך המדפיסים אחר גמרם כל דף ודף סותרים סידור האותיות לסדר מהם דף אחר וזה המדפיס יש לו הרבה אותיות לכן לא קלקל הסידור והניחו כמות שהוא רק הסיר מלמטה הפירוש החדש והדפיס לעצמו שני סדרים הנ”ל עם פירש”י ותוס’ שיהיו מוכנים בידו בעת הפנאי שישלים להדפיס כל הש”ס. וטען ראובן המחבר הנ”ל יען שתשלומי שכירות המסדרים האותיות הוא היה משלם ועתה למה יהנה שמעון מסידור אותיות חנם ויחזיר לו חלקו מסידור האותיות כדין כל הנהנה ממלאכת חבירו… ושמעון טוען מאחר שהאותיות הם שלו יכול להשתמש בהם כרצונו ואין כח ביד ראובן לקלקל הסידור וכו’…
9) עני המנקף בראש הזית – מה שתחתיו גזל, מפני דרכי שלום, ר’ יוסי אומר: גזל גמור
10) עני המנקף בראש הזית זתים של שכחה, ונפלו לארץ, עד שלא נטלם בידו אם בא אחר ונטלם הרי זה גזל מדבריהם. (ואם כבר באו לידו) (הרי זה גזל גמור ומוציאין מידו)
11) לאהוב כל אחד מישראל אהבת נפש, כלומר שנחמול על ישראל ועל ממונו כמו שאדם חומל על עצמו וממונו, שנאמר [ויקרא י”ט, י”ח] ואהבת לרעך כמוך. ואמרו זכרונם לברכה [שבת ל”א ע”א] דעלך סני לחברך לא תעביד. ואמרו בספרי, אמר רבי עקיבא זה כלל גדול בתורה, כלומר שהרבה מצוות שבתורה תלויין בכך, שהאוהב חבירו כנפשו לא יגנוב ממונו ולא ינאף את אשתו ולא יונהו בממון ולא בדברים ולא יסיג גבולו ולא יזיק לו בשום צד. וכן כמה מצוות אחרות תלויות בזה, ידוע הדבר לכל בן דעת. שורש המצוה ידוע, כי כמו שיעשה הוא בחבירו כן יעשה חבירו בו, ובזה יהיה שלום בין הבריות. ודיני מצוה זו כלולים הם בתוך המצוה, שכלל הכל הוא שיתנהג האדם עם חבירו כמו שיתנהג עם עצמו, לשמור ממונו ולהרחיק ממנו כל נזק, ואם יספר עליו דברים יספרם לשבח ויחוס על כבודו ולא יתכבד בקלונו, וכמו שאמרו זכרונם לברכה [ירושלמי חגיגה פ”ב ה”א] המתכבד בקלון חבירו אין לו חלק לעולם הבא. והמתנהג עם חבירו דרך אהבה ושלום ורעות ומבקש תועלתם ושמח בטובם, עליו הכתוב אומר [ישעיהו מ”ט, ג’] ישראל אשר בך אתפאר. ונוהגת מצוה זו בכל מקום ובכל זמן. ועובר עליה ולא נזהר בממון חבירו לשומרו, וכל שכן אם הזיק אותו בממון או צערו בשום דבר לדעת, ביטל עשה זה, מלבד החיוב שבו לפי הענין שהזיקו כמו שמפורש במקומו.