Alcune reazioni all’articolo. Altre seguiranno.
Nella sua newsletter sulla Kashrùt, il Consigliere David Piazza esprime delle idee apparentemente condivisibili da tutti. Prezzi troppo cari, confusione dei ruoli di alcuni dipendenti comunitari (leggi Rabbini), concorrenza forse sleale di rabbini stranieri e non , invasione di campo (hassagàt ghevùl) e lesa maestà delle autorità rabbiniche locali. Lodevolmente ci ricorda come le istituzioni centrali (UCEI) si siano distinte per l’iperattivismo nei settori della cultura, la (legittima) memoria dei morti, la conservazione dei beni artistici etc, trascurando invece i reali bisogni religiosi,quali ad esempio la Kashrùt.
L’apparente intento del messaggio sembra voler proporre soluzioni per arrivare a calmierare i prezzi dei prodotti Kasher, individuando le possibili soluzioni attraverso la centralizzazione non tanto dei servizi, quanto del controllo della Kasherùt (hasgahà- teudà).
Ci ricorda altresì come nel passato i “controlli rabbinici fossero considerati (alcune volte a torto e spesso a ragione) inferiori agli standard in uso altrove”, e di come oggi “per fortuna, troviamo i nomi di rabbini italiani su molte etichette, segno di un cambiamento di tendenza, e che quindi basterebbe far valere maggiormente le nostre ragioni nei forum rabbinici internazionali (europei e mondiali) perlomeno sul campo dell’informazione”.
Poi però, in forma inelegante, vuole anche mandarci un messaggio trasversale: quegli impiccioni dei Chabad, o Lubavitch (presenti e attivi negli anni in cui più latitavano i sevizi propriamente religiosi e spirituali..), hanno sviluppato (scandalo!) questo settore commerciale, fino al punto di finanziare “addirittura” numerose iniziative educative del loro movimento ( Potremmo citare anche la mensa Kasher di Venezia, o Firenze visto che parliamo di Kashrùt?), e ciò è potuto avvenire poichè “nei nostri negozi kashèr i prodotti italiani con controllo Chabad hanno quasi lo stesso prezzo (di lusso) di prodotti analoghi stranieri.” (Traduzione: voi lettori dovete essere coscienti che state pagando ai Chabad, il prezzo delle loro attività, strapagando per la Kasherùt offerta a Milano)
A parte il fatto che si tratta di un falso, poiché la gran parte dei loro prodotti è destinata all’estero, è pur vero che le Hasgahot sulla carne sono di altra origine…., molti prodotti venduti a Milano provengono dalla Francia, da Israele etc, ed anzi al Sig Nazrollai (KETER), non è certo stato reso un servizio teso all’economia dei prezzi… chi deve capire capisca!
Io penso che la concorrenza sia l’animo del commercio, che la possibilità di operare in un regime NON di monopolio, ma di libero scambio, possa rendere più accessibili i prezzi(e i servizi), credo che sia in corso un tentativo di delegittimazione di ogni forma di ebraismo non conforme a dettami stabiliti da oligopolisti alleatisi con un’istituzione monocratica, che vorrebbe trasformare un sano particolarismo aperto, in un universalismo dettato dall’alto.
Intenzioni di sfoltimento dell’offerta, epurazioni di personale non allineato, designazioni mirate solo agli amici, silenziosi ma non troppo tam-tam volti a delegittimare non aiutano l’utenza.
Se la Comunità si trova in difficoltà per avere un deficit di bilancio superiore a quanto mai avvenuto in precedenza, se si preoccupa di mascherare o peggio imputare ad altri una gestione non oculata, se gli aspiranti monopolisti della Kasherut si trovano in mezzo ad un guado e richiedono l’aiuto del “Potere” per diventare gli unici legittimi assertori del ” modus verus” di sentire e praticare l’ebraismo, facciano pure, ma sappiano altresì che nessuna legge dello Stato Italiano sarà capace di realizzare i loro obbiettivi, nessuna campagna diffamatoria troverà la base dei fruitori dei servizi e dei bisogni dalla loro parte; nessun consigliere o membro della giunta si arroghi il diritto di instaurare una convenzione “ad excludendum” in nome di una supposta loro superiorità ideologica. Regolamentare è certamente legittimo, ma approfittare di una legge dello Stato, ergersi a giudice unico, applicare gabelle a fini di monopolio ideologico, è certamente foriero di ulteriori problemi, e non propedeutico ad una riduzione dei prezzi.
Giacomo M. Zippel
Esiste una regola halakhica poco conosciuta e molto dibattuta. Si chiama hassagàt ghevùl…
Questa è solo una parte e un lato del problema…
Non saremmo al triste punto in cui siamo se invece di OSTRACIZZARE e COMBATTERE coloro che da decenni attivamente rendono disponibili sul mercato internazionale prodotti cascer, come è stato fatto contro gli shlichim di Chabad in Italia, avessero LAVORATO ASSIEME a gente tipo Rav Garelik e Rav Hadad per ESTENDERE la casceruth nel paese (non con i suddetti legati alle comunità in modo dipendente, con bisogno di permessi prima di fare qualcosa, visto che NON HANNO NESSUN BISOGNO DELLE COMUNITÀ ITALIANE, MA IL CONTRARIO È VERO dato che fanno parte di un’organizzazione che ha decine di volte più membri di tutti gli ebrei italiani!)!
Poi, sinceramente, è difficile prendere certe lamentele sul serio, quando sento dire SHTUYOTH come quelle dettemi in persona, in modo altezzoso, aggressivo, pieno di ghev’a lev, da un vice, uno di quelli che della “casceruth” hanno fatto un “affare” personale, tipo che “per la pasta prodotta industrialmente ci vuole un’ashgachà”, in risposta alla mia domanda “perché in Italia dite che solo certe paste sono cascer, mentre all’estero TUTTE le paste italiane sono cascer per OU e OK?”, citandomi ad esempio supposti “residui di nero di seppia che renderebbero il tutto taref: sarebbe come mangiare chazir!” – affermazione che capirei se fatta da un ba’al teshuvà fresco fresco per cui tutto è proibito visto che non ne sa abbastanza – qal lehachmir milehaqel – per capire che forse non è così!… 🙂
Io dico BARUKH HASHEM per i mashghichim di OK, OU e Rabbanuth HaRashith BeIsrael, che rendono possibile il consumo di cibi cascer in giro per il mondo, senza fare il gioco di chi fa l’offeso perché verrebbero infrante norme corporative e medievali che NULLA hanno a che vedere con l’IQAR di fornire il più possibile di cibo cascer e il più diversificato!
Se uno si dovesse basare sulle liste RIDICOLE delle comunità italiane…
Invece, legislazione industriale, controlli antisofisticazione, legislazione italiana e europea, psiqà di MOLTI rabbanim intelligenti e VERAMENTE PREPARATI IN MATERIA DI CASCERUTH in giro per il mondo (come esempio cito sempre Rav Abadi: http://www.kashrut.org/) e un minimo di conoscenza di procedure di produzione, permetterebbero di non dire cose come quella citata sopra (BTW: in Italia e non solo, RESIDUI di produzione che potrebbero provocare reazioni allergiche – tipo pesce ecc. – vanno dichiarati nell’etichetta E LO SONO [cosa constatata personalmente durante la mia ultima permanenza in italia]; senza contare che i residui NON CONTANO in termini di casceruth, per MOLTE ragioni, fra cui per esempio: batel be-shishim e non messi lì apposta per noi; e senza contare che quando ci sono posqim come Ovadiah Yosef (vedi Yebi’a Omer e Yalkuth Yosef) che dicono che su certe cose – tipo gelatina e cocciniglia – NON C’È ASSOLUTAMENTE PROBLEMA DI CASCERUTH (come sostengono da secoli i posqim sefarditi), e così pure su mono e di gliceridi degli acidi grassi secondo un mare di altri posqim, mentre in Italia su tali cose si seguono gli standard NUOVI dell’Eda Charedith di Yerushalaim…alquanto remoti dall’ebraismo della Torà…e respinti dal rabbinato israeliano e non antisionista nel mondo, mi chiedo se non siamo in presenza di problemi di concezione di base alquanto seri che ben poco hanno a che vedere con la casceruth di per sé…come PER ESEMPIO il fatto di volere imporre chumroth tipiche SOLO del mondo ashkenazita, o l’incapacità persino di accetTare le decisioni del rabbino accanto, per cui [magari per safeq sefeqà o interpretazione restrittiva di certe leggi] vengono considerate inappropriate certe decisioni di concedere la certificazione di casceruth su certi cibi e procedimenti, che sono quindi cascer in una città italiana ma non approvati dal rabbino di un’altra…
sergio HaDaR tezza
Iniziali di CASHER= caro, sciapo e rancido
Nel rinnovarti gli auguri per HANUKKA’, vorrei anche ringraziarti per il meraviglioso articolo inerente alla Kasheruth italiana; speriamo che il tuo scritto circoli fra tutti gli interessati e che qualcuno che CONTA si metta veramente una mano sul cuore, per poi prendere delle decisioni e invertire la attuale ed insostenibile rotta.
Per farti degli esempi personali posso dirti cosa ho trovato, in questi ultimi anni, durante le mie continue peregrinazioni:
– salamino ammuffito
– salamino pieno di grasso e nervetti immangiabili
– wurstel con pezzettini di osso
– polli “freschi” finiti immediatamente in pattumiera
– in sei persone abbiamo bevuto una bottiglia di vino e siamo stati male tutta la notte
– petto d’oca affumicato scaduto e rietichettato
– cestino con pranzo casher comprato (sigillato) all’aeroporto di Zurigo, apparentemente buono, ma che mi ha causato un forte disturbo intestinale
Come tu sai io sono un semplice perito elettronico e non ho competenza sulle varie pratiche di conservazione o in che dosi il bisolfito di sodio possa essere aggiunto al vino, ma il mio fegato sembra essere preparatissimo ed attentissimo a tutte le porcherie che tento di propinargli, con la inevitabile conseguenza che per iscritto non mi sembra decente esplicitare.
In qualche caso si rasenta la vera e propria truffa, se la nostra Alahà mi permettesse di portare ai NAS dei Carabinieri alcuni tipi di bottiglie di vino, i vari prodotti scaduti o peggio andati a male …… potrei confermare o smentire le mie perplessirà e forse le cose potrebbero andare un po’ meglio.
Sarebbe veramente il colmo se NOI consumatori dovessimo rispondere al tribunale Rabbinico per aver scritto qualche esposto alle Forze dell’ordine ….
Se poi ci addentrassimo nel problema del rapporto costo – qualità o della quasi impossibilità per i meno abbienti di acquistare i vari prodotti casher, ci sarebbe veramente da scrivere un romanzo a puntate.
Cari saluti
Walter Borghini
E’ un interessante dibattito.
Devo tuttavia rilevare che la sua analisi non spiega perché a Pesah ci troviamo a pagare una scatola di matzoth, che dovrebbe avere un costo sensibilmente simile a quello del pane, attorno agli 8 ?, e questo anche quando facciamo i nostri acquisti presso gli spacci allestiti ad hoc dalla comunità o dai rabbini nelle sinagoghe (che giurano e spergiurano di vendere al prezzo di costo).
E neppure mi è ben chiaro il motivo per il quale sugli scaffali dei negozi kosher trovo dei prodotti di uso comune come ad esempio la coca-cola (che cosa avrà poi di così diverso dalla coca-cola ordinaria ?), a un prezzo 3 o 4 volte maggiore rispetto a quello di vendita nei negozi comuni.
Da sempre il messaggio della comunità è che dobbiamo sforzarci a rispettare il kasherut. A questo punto la mia risposta è : OK, ma voi fornitemi dei prodotti decenti a dei prezzi abbordabili.
Non è un mistero che almeno qui a Roma, la carne kosher sia in genere di qualità piuttosto mediocre. Se si pensa che ormai troviamo in commercio solo i quarti anteriori, meno buoni e quindi anche meno cari rispetto ai posteriori, il prezzo non trova decisamente più nessuna giustificazione se non quella della pura speculazione.
Cordialmente,
Guy-Edouard Lévy