“Vivere con gli altri, a casa o a scuola, causa conflitti. Poiché desideriamo qualcosa, e qualcun altro, per la stessa buona ragione, la desidera pure, abbiamo delle discussioni… Poche semplici regole di vita (“sii cortese con gli altri”, “sta’ attento a non danneggiarli né con ciò che fai, né con ciò che non fai”) non sono sufficienti. La vita è troppo complicata perché ci si prenda cura di essa per mezzo di poche semplici regole… La Torah Orale ci vuole aiutare a scoprire ciò che è giusto e ciò che è ingiusto, sia verso gli altri che verso noi stessi. Non sappiamo automaticamente né naturalmente come essere buoni e come vivere nel modo in cui D. desidera che viviamo. Dobbiamo impararlo” (J. Neusner, Come si studia la Mishnà, ed. D.A.C., Roma 1983, p. 31 sgg.).
La Parashat Mishpatim, che segue immediatamente i Dieci Comandamenti, contiene 23 Mitzwòt ‘Asseh (precetti affermativi) e 30 Mitzwòt Lo Ta’asseh (precetti negativi), totalizzando essa sola quasi un decimo di tutte le 613 Mitzwòt della Torah. Molte di queste prescrizioni sono Mitzwòt beyn Adàm la-Chaverò, rivolte verso il prossimo. La Torah prescrive il rispetto del prossimo non solo nella sua persona, ma anche nella di lui proprietà. Cosa accade se io chiedo in prestito o a nolo un oggetto appartenente ad altri, o anche solo mi impegno a custodirlo un periodo per conto dei proprietari, a titolo gratuito o a pagamento e lo danneggio, o non lo restituisco del tutto? Pochi versetti dànno luogo già nella Mishnah ad un’ampia giurisprudenza.
Il trattato Bavà Metzi’à dedica peraltro i suoi primi due capitoli a un caso particolare: la restituzione degli oggetti smarriti. La Torah vi accenna in questa Parashah (Shemot 22,8) per poi parlarne altrove: “Non stare a guardare il bue o la pecora del tuo prossimo che si sono perduti e disinteressartene: li dovrai restituire al tuo prossimo. Ma se il tuo prossimo non è vicino a te o non lo conosci metterai (l’animale) al riparo in casa tua e rimarrà con te fino a quando il tuo prossimo non lo richiederà, e allora glielo restituirai. Così farai per il suo asino, così farai per il suo abito e così farai per ogni (oggetto) smarrito dal tuo prossimo che egli abbia perduto e tu abbia trovato: non potrai disinteressartene” (Devarim 22,1-3). Commenta la Mishnah: “L’abito sarebbe già sottinteso fra gli oggetti smarriti da restituire. Perché il versetto lo indica esplicitamente? Per mettere sul suo stesso piano (heqqèsh) gli altri oggetti smarriti e insegnarci che come l’abito è un oggetto particolare in quanto ha segni identificativi (simanim) e ha chi lo reclama (non è res nullius), così ogni altro oggetto che abbia segni identificativi e abbia chi lo reclami (se è stato smarrito) deve essere restituito”. Se invece non ha segni di riconoscimento si presume che il proprietario rinunci a ritrovarlo (yeùsh) e lo dichiari res nullius, per cui chi lo ha trovato può tenerselo (Bavà Metzi’à 2,7).
Ci occupiamo del caso in cui durante una corsa in taxi il passeggero-cliente rinviene un borsellino con una congrua somma di denaro nel fondo della vettura. Se contiene la carta d’identità è ovvio che si rintraccia il proprietario e glielo si riconsegna così com’è. Ma se è privo di documenti? A chi appartiene? Possiamo presumere che il proprietario abbia già compiuto il yeùsh? Se è così, ha rinunciato alla proprietà del borsellino. Il denaro, in effetti, non ha simanim (2,1). Da allora il borsellino appartiene al passeggero che lo ha ritrovato o al taxista che è il proprietario dell’autovettura? Rav Chayim David ha-Levy affronta l’argomento in un suo Responso (Resp. ‘Asseh lekhà Rav, 2,66). In base alla Mishnah (Bavà Metzi’à 1,4), R. Yossè be-R. Chaninà stabilisce il principio per cui “il cortile di una persona acquista per lui” un oggetto o un animale smarrito che si sia fermato in esso, a condizione che il cortile sia custodito (chatzer ha-mishtammèret) e il proprietario sia in grado di impedire l’ingresso a estranei. E’ questa una disposizione rabbinica per evitare a priori una lite fra potenziali contendenti (11a; Maimonide, Hil. Ghezelah wa-Avedah 17,8 sgg.). Apparentemente potrebbe essere qui applicato il medesimo principio halakhico: secondo questa logica, il borsellino apparterrebbe di diritto al taxista.
La Mishnah, tuttavia, non si ferma qui. In un successivo paragrafo si discute di un oggetto privo di simanim smarrito in un negozio. “Se lo ha ritrovato in un negozio, appartiene a colui che lo ha ritrovato. Solo se è stato rinvenuto fra il banco e il negoziante, appartiene al negoziante” (2,4). Ma se l’oggetto è stato smarrito davanti al banco, dove d’abitudine stanno i clienti, è ben difficile pensare che sia caduto al negoziante. Non solo. Il negoziante non ha praticamente controllo su chi si muove in quella parte del negozio. Di più: il negoziante neppure sa dell’esistenza di oggetti o soldi smarriti al di qua del banco! Ecco che in questo caso non può reclamare a sé la proprietà di detti oggetti. Lo stesso –afferma il Rav- può essere sostenuto a proposito del borsellino trovato nella parte posteriore del taxi. Sarà senz’altro caduto a un cliente precedente e, dal momento che non ha simanim- appartiene al passeggero successivo che l’ha trovato.
Siamo a questo punto davvero certi che il borsellino in questione non abbia simanim? La Mishnah afferma che il denaro non presenta segni distintivi solo se è sparso. Il contenitore in sé può benissimo essere riconosciuto. Inoltre –continua il Rav- le odierne leggi dello Stato impongono anche in un caso come il nostro di rivolgersi alla polizia e di denunciare il ritrovamento del borsellino. Infatti, a differenza dei tempi antichi in cui chi smarriva del denaro disperava di ritrovarlo non appena si accorgeva della perdita, oggi questa persona non si rassegna e si rivolge alla polizia a sua volta. Per questa ragione chi abbia ritrovato il borsellino non ne acquisisce immediatamente la proprietà.
E’ quanto stabilisce la Halakhah a proposito di un caso estremo. A rigor di norma un oggetto smarrito perché travolto dalla marea (zutò shel yam) o dalla piena del fiume (shelulitò shel nahàr) è permesso a chi lo trovato e questi non è tenuto a restituirlo neppure se l’oggetto ha simanim e il proprietario si presentasse a reclamarlo. La calamità, infatti, trascina l’oggetto molto lontano e diamo per scontato che il proprietario rinunci subito a ritrovarlo in ogni caso (Bavà Metzi’à 22b; Shulchan ‘Arukh, Choshen Mishpat 259,7). R. Moshe Isserles aggiunge tuttavia che se l’autorità politica o il Bet Din stabiliscono comunque l’obbligo di restituzione al legittimo proprietario (in base al principio dinà de-malkhutà dinà, “la legge dello Stato è legge” ovvero hefqer bet din hefqer, “un esproprio effettuato dal Bet Din ha valore legale”), l’oggetto deve essere restituito. Tanto più “una somma di denaro di cui si possa presupporre che i proprietari non abbiano rinunciato a ritrovarla, ai nostri tempi è obbligo portarla alla stazione di polizia più vicina e in questo modo chi l’ha ritrovata adempie alla Mitzwah di restituire l’oggetto smarrito (hashavat avedah) nel modo più idoneo”.