Manuel Disegni
Due secoli or sono, verso la fine dell’estate del 1819, avvenne uno dei maggiori pogrom che l’Europa ricordi. Iniziava allora, in Germania, l’epoca cosiddetta moderna. Dalle Alpi alla Pomerania, dal Reno alla Sassonia, per oltre due mesi gli ebrei tedeschi furono bersaglio della violenza di una folla imbestialita e fanatica. Vennero minacciati, percossi, dileggiati pubblicamente, ammazzati; videro bruciate e distrutte le loro abitazioni e sinagoghe, i loro negozi e le loro merci. Credettero di stare vivendo un incubo, o di essersi risvegliati, all’improvviso, nel bel mezzo del medioevo. I tumulti di quei giorni passarono alla storia con il nome Hep Hep, che non vuol dire niente. “Hep Hep Jud’ verreck!”, “Hep Hep, crepa giudeo!” aveva preso a urlare la calca contro gli ebrei di Würzburg, l’epicentro del pogrom. La semplice formula attecchì, il grido riecheggiò dapprima in tutta la Baviera, poi fino ai confini più remoti della Germania. “Hep Hep” venne adottato dalla folla antisemita, per farsi animo, nelle sue ingloriose scorribande.
Perché Hep-Hep?
Sul significato di questo schiamazzo minaccioso, e sulla sua origine, la storiografia dibatte. Un’ipotesi, formulata già da alcuni osservatori contemporanei, è che “Hep” richiami un motto delle crociate dei secoli XI e XII. Si narra che il gruppo di cavalieri cristiani guidati da Peter Gansfleisch e Conrad von Meiningen recasse con sé gonfaloni con le lettere H-E-P, le iniziali di: Hierosolyma est perdita. Tale ipotesi etimologica parve, ad alcuni, confermare a sua volta il sospetto che i pogrom avessero un’origine non genuinamente popolare. Infatti, solo degli eruditi, solo dei conoscitori della storia del cristianesimo medievale potevano aver concepito questo slogan. È noto che i teutomani, i nazionalisti dell’epoca impegnati a “riscoprire” le radici teutoniche del popolo tedesco, si richiamassero alle crociate come a un mito di grandi gesta fondative dell’Europa cristiana. In una sconsolata lettera in cui riportava i fatti di quei giorni alla sorella Rahel Varnhagen, lo scrittore Ludwig Robert (nato Liepmann Levin) puntava il dito contro “la plebe erudita”: “C’è qualcosa che non mi torna: com’è arrivato il popolo alla parola Hep? Certamente non poteva conoscerne l’origine. Pare dunque che sia stata una certa plebe erudita a dare inizio alla cosa”.
Un’altra spiegazione fa derivare il grido caratteristico dei pogrom del ’19 da un contesto linguistico meno “colto”. A quanto pare era abitudine dei pastori della Germania centrale rivolgersi in tale modo alle loro bestie quando volevano esortarle ad alzarsi e a camminare. Tale uso è testimoniato fra l’altro dal dizionario tedesco dei fratelli Grimm, il quale riconduce l’interiezione “Hep” al verbo heben (levare, sollevare). In particolare, secondo i fratelli Grimm, l’esortazione “Hep Hep!” era in uso fra i guardiani di capre della Franconia (la regione di Würzburg). In una nota alla voce Hep i due filologi aggiungono: “Da questo Hep deriva il noto appellativo dispregiativo per gli ebrei, che si allaccia alla diceria che attribuisce agli ebrei barbe caprine. Sostantivato, un Hephep: un ebreo”. Nel contesto di questa rivolta contro l’emancipazione ebraica introdotta in Germania da Napoleone e, di là da essa, contro la logica moderna dei diritti umani, l’antico luogo comune che indica nella barba degli uomini ebrei un attributo caprino (e, pertanto, mefistofelico) si prestava ad animalizzare e demonizzare gli ebrei, faceva cioè buon gioco alla loro deumanizzazione quale negazione dei loro pretesi diritti umani. É riportato che, in quei giorni di agosto, gli aggressori si divertissero a tirare gli uomini adulti fra le loro vittime per la barba. L’associazione denigratoria di ebrei e ovini è d’altronde diffusa in molti ambiti della cultura e del folklore europei, quasi un archetipo dell’antisemitismo. Il poeta ebreo triestino Umberto Saba ha citato questa associazione denigratoria, modificandola, però, di segno. Per il tramite poetico dell’esperienza del dolore – quella dell’io lirico e quella di tutti i “semiti” – egli ha elevato il belato di una capra sola legata alla dignità di un lamento universale, della sofferenza cosmica.
Ho parlato a una capra
Era sola sul prato, era legata.
Sazia d’erba, bagnata
alla pioggia, belava.
Quell’uguale belato era fraterno
al mio dolore. Ed io risposi, prima
per celia, poi perché il dolore è eterno,
ha una voce e non varia.
Questa voce sentiva
gemere in una capra solitaria.
In una capra dal viso semita
sentiva querelarsi ogni altro male,
ogni altra vita.
Interclassista e anacronistica
Le due spiegazioni dell’origine del grido “Hep Hep!” – quella erudita (Hierosolyma est perdita) e quella rurale (l’esortazione dei pastori frànconi) – non costituiscono un’alternativa esclusiva. Piuttosto sembra che vi sia spazio per entrambe le interpretazioni, che esse possano esser fatte valere congiuntamente, e che questo legittimo spazio interpretativo riproduca, sul piano etimologico, un’immagine fedele della costellazione sociale e ideologica che fa da sfondo ai tumulti antisemiti del 1819: interclassista e anacronistica. Essi furono il prodotto dell’incontro esplosivo di diversi reagenti storici.
Da una parte, l’affermazione dell’economia borghese a scapito dei rapporti caratteristici della società agraria e feudale. Dopo la fine del Blocco Continentale (il divieto per tutte le navi battenti bandiera inglese di attraccare ai porti sotto controllo francese, imposto da Napoleone, in vigore dal 1806 al 1814), un enorme flusso di merci a buon mercato, soprattutto tessili, proveniente dall’Inghilterra industrialmente più avanzata, si riversò sul mercato europeo. Questo avvenimento, con la concomitanza della carestia del 1816-17, provocò in Europa centrale una crisi di dimensioni inedite nell’agricoltura, nell’artigianato locale e nel commercio minuto, soffocò l’industria nascente, distrusse mestieri, gilde e corporazioni tradizionali e creò vastissima disoccupazione. La moltitudine di contadini, artigiani e piccoli commercianti della Germania meridionale, danneggiata e disorientata dalla transizione economica in atto, priva dei mezzi per comprendere la propria situazione storica e le ragioni del proprio declino sociale, tendeva ad additare gli ebrei come i principali responsabili. Questi erano infatti un fenomeno più vicino, più “concreto” e immediatamente identificabile rispetto alle tendenze generali della transizione economica in atto in quegli anni. Da poco emancipati e divenuti liberi di uscire dai ghetti ed esercitare le proprie attività economiche e commerciali, questi nuovi concorrenti apparivano come i veri profittatori delle conquiste napoleoniche e venivano accusati di accumulare grandi fortune in maniera sleale e a scapito della popolazione cristiana, lucrando per giunta sui suoi debiti. Da questo punto di vista, i tumulti Hep Hep appaiono come una rivolta sociale a difesa della piccola proprietà commerciale e del lavoro contadino e artigiano contro la diffusione del libero mercato, una rivolta “dislocata”, indirizzata verso un obiettivo surrogato.
D’altra parte, l’astio religioso e i pregiudizi teologici tipici della giudeofobia medievale. L’impressione che i pogrom del 1819 suscitarono sui contemporanei fu quella di un rigurgito dell’oscurantismo dei secoli bui, un enorme anacronismo, il colpo di coda di un mostro brutale che la coscienza illuminista voleva già morto, relegato dal progresso negli archivi della storia. Il calendario pareva essere tornato indietro di due secoli in poche settimane. Si riproposero i classici motivi caratteristici dell’antigiudaismo cristiano dei secoli bui, di nuovo raccolti intorno all’asse accusatorio centrale: teicidio, versamento del sangue di Cristo. È chiaro però che il riaffiorare di antiche superstizioni sul conto degli ebrei non fu il risultato di un moto spontaneo dell’animo religioso delle masse popolari, ma quello del lavoro intellettuale dei nazionalisti intenti a contrapporre allo spirito cosmopolita e progressista dell’epoca un’identità popolare, völkisch, da fondarsi sul legame tradizionale con le radici cristiane e germaniche della comunità. Da questo punto di vista, furono non tanto i contadini indebitati e i garzoni disoccupati, quanto piuttosto professori universitari, ministri di culto, pubblicisti e altri “inventori della tradizione”, insomma circoli di persone in un certo senso acculturate, i veri protagonisti dell’agitazione antisemita. Ispirati dagli ideali romantici della teutomania e dell’idealizzazione del medioevo, ma ancor di più intimoriti dall’accesso e dal successo degli ebrei nelle arti e nelle professioni liberali, costoro recuperarono, attualizzarono e manipolarono i motivi tipici dell’antigiudaismo cristiano dei secoli passati, fornendo alla collera delle masse disorientate e diseredate precisi riferimenti ideologici.
Il mito dell’antisemitismo eterno
La continuità fra l’antisemitismo moderno e i pregiudizi antigiudaici tipici del cristianesimo medievale è illusoria. L’idea dell’antisemitismo eterno – l’idea, cioè, che l’astio e le persecuzioni nei confronti degli ebrei siano un fenomeno che rimane sempre identico a se stesso, di là dall’avvicendarsi dei secoli – è una menzogna escogitata dagli antisemiti stessi, raccolta però e rilanciata dal nazionalismo ebraico. Uno dei maggiori problemi dello studio delle persecuzioni contro gli ebrei è posto dal fatto che la loro storia è molto stranamente millenaria. Questo fatto così singolare suscita inevitabilmente la percezione che l’antisemitismo abbia in sé qualcosa di misterioso e oscuro, antichissimo, quasi primordiale. Esso appare quale una sorta di mitologica Idra, un mostro immortale capace di manifestarsi con infinite facce diverse e un’unica anima, un fenomeno incommensurabile che sfugge alle nostre capacità d’indagine storica. Tale parvenza dell’antisemitismo induce il ricercatore alla tentazione di arrestarsi di fronte all’opacità impenetrabile del mistero, oppure di accontentarsi di spiegazioni mistiche, irrazionali e astoriche, che ne fanno una sorta di destino universale e ineluttabile, una costante antropologica, un male eterno, l’unica modalità possibile di rapporto fra gli ebrei e i gentili.
V’è antisemitismo di ogni sorta, vi sono perfino forme di antisemitismo in assenza di ebrei. Quel che certamente non è possibile immaginarsi, invece, è l’antisemitismo in assenza di antisemiti. Gli antisemiti sono esseri in carne e ossa, niente affatto mitologici. A differenza dell’Idra hanno soltanto una testa, dei piedi ben piantati nel suolo storico e, soprattutto, possono morire. L’opinione dogmatica che vi sia un’essenza eterna dell’antisemitismo, qualcosa come una sua intima natura indipendente dal contesto esterno, è mistificatoria. Essa svolge – più o meno consapevolmente – la funzione di sottrarre il fenomeno antisemita all’ambito della conoscibilità. Rende impossibile ogni distinzione storica. L’antisemitismo diventa così un mistero impenetrabile, una sorgente ultrastorica di sciagure storiche. La tesi dell’antisemitismo eterno rappresenta una capitolazione politica e intellettuale della ragione conoscente di fronte alle forze irrazionali di cui l’antisemitismo stesso si alimenta. Essa costituisce un ostacolo all’acquisizione di un concetto determinato dell’antisemitismo e dunque alla lotta contro di esso. La conoscenza storica ha il compito di risolvere l’apparente eternità dell’antisemitismo nei diversi periodi, nelle epoche, nei contesti sociali in cui compare; di risolvere il mistero dell’antisemitismo con l’analisi delle forme storicamente determinate del suo periodico manifestarsi. La differenza specifica fra diverse forme di antisemitismo non va cercata neanche nelle sue diverse legittimazioni ideologiche. A meno di non voler credere che davvero gli ebrei siano rei di teicidio, complottino per dominare il mondo con gli strumenti dell’astuzia e della finanza e minaccino la purezza della razza ariana, non si potrà sperare di trovare nelle diverse formulazioni delle accuse antisemite la base per un discernimento delle diverse forme dell’antisemitismo – né, dunque, di dissolvere la sua parvenza di “eternità”. La base per il discernimento storico va cercata piuttosto nei diversi contesti sociali in cui queste diverse accuse hanno origine. L’astio e le persecuzioni nei confronti degli ebrei rappresentano un momento di un processo sociale generale, e possono esserne separati solo per mezzo di un’astrazione indebita e mistificatoria (in quanto infittisce il mistero, invece di diradarne le nubi). Una conoscenza concreta del fenomeno antisemita e delle sue diverse forme storicamente determinate deve invece basarsi sull’analisi delle forme – politiche, economiche e cognitive – corrispondenti ai rapporti sociali propri del contesto nel quale, di volta in volta, si genera antisemitismo.
I tumulti Hep Hep avvennero in concomitanza con la transizione della Germania dalla società feudale a quella borghese. La possibilità di formarsi un concetto determinato di antisemitismo dipende dal discernimento storico della specificità dell’antisemitismo dell’epoca moderna, vale a dire dalla formazione di un concetto determinato di società borghese e delle forme di pensiero che la caratterizzano.
Manuel Disegni
Per una descrizione dettagliata dei tumulti vedi: moked.it/blog/2019/08/07/hep-hep-grido-antisemita/