La Parashà di Haazinu si apre con un appello cosmico: “Ascoltate, o cieli, ed io parlerò; oda la terra le parole della mia bocca”. I Maestri hanno sempre visto in queste parole un’allusione a due dimensioni della vita ebraica: il rivolgersi al Cielo, rappresenta i rapporti ben adam laMakom, tra uomo e D-o; mentre la relazione con la Terra, rappresenta, i rapporti ben adam lachaverò, tra uomo e uomo. Cielo e terra diventano così i testimoni eterni non solo del canto di Mosè, ma della doppia alleanza che Israele è chiamato a vivere.
Le due tavole della Legge non a caso erano divise in due: cinque comandamenti rivolti al Cielo, cinque alla Terra. Ma non erano due contratti separati: insieme formavano un’unica ketubbà, un unico patto d’amore tra D-o e Israele. Quando il 17 di Tammuz Mosè spezza le tavole, non è soltanto un gesto d’ira: è un atto consapevole. Il Midrash spiega che lo fece come chi strappa una ketubbà prima che sia consegnata, perché meglio rompere il documento che consegnarlo dopo un tradimento. Il vitello d’oro era un atto di infedeltà, un adulterio spirituale. Consegnare le tavole in quel momento avrebbe significato sancire un matrimonio già compromesso, e quindi un divorzio eterno. Spezzandole, Mosè impedisce la rottura definitiva: il contratto non è mai stato consegnato, e l’alleanza resta aperta alla possibilità di essere rinnovata. Ed è proprio a Yom Kippur che le tavole vengono consegnate di nuovo.
I maestri ci ricordano che in quel giorno Mosè scese con le seconde Tavole: non solo un segno di perdono, ma un atto di nozze rinnovate. Non è un caso che a Kippur ci vestiamo di bianco: come in un matrimonio sotto la chuppà, anche noi entriamo davanti a D-o con abiti candidi, segno di purezza e di un amore rinnovato. Secondo la Halachà, una moglie infedele perde la ketubbà e deve ricevere il ghet-l’atto di divorzio. Ma D-o non è come gli uomini: Egli spezza le prime tavole per non doverci respingere, e ci consegna le seconde per dichiarare che l’amore è eterno. La ketubbà con Israele non è mai annullata. Il Talmud insegna che Yom Kippur perdona le colpe tra uomo e D-o, ma non quelle tra uomo e prossimo, finché non ci si riconcilia. Ecco perché Mosè chiama insieme shamayim e aretz. Non basta dire: “Sono fedele a D-o, ma chi se ne importa degli uomini.” Né: “Sono corretto con le persone, ma non con le mitzvot, loro non mi riguardano.” Le tavole spezzate sono il simbolo di questa divisione, non frantumate, ma spezzate a metà, dividendo i primi cinque comandamenti dai secondi cinque, separando il rapporto con D-o e con gli uomini, come fossero due cose distinte. Kippur, invece, ci insegna a unirle, a ricomporre il cuore intero: solo allora il patto torna completo.
Lo stesso messaggio D-o lo insegnò al profeta Hoshea. Hoshea, vedendo Israele peccare, disse a D-o: “Cambia questo popolo con un altro!”. Hashem lo mise alla prova. Gli ordinò di sposare una donna che gli sarebbe stata infedele. Quando effettivamente ella lo tradì, Hoshea non riuscì a ripudiarla: provava comunque amore, attaccamento. D-o gli disse: “Se tu, uomo di carne e ossa, non riesci a separarti dalla tua moglie infedele, come puoi chiedermi di separarmi da Israele, che è Mio popolo?” La vita del profeta diventò parabola vivente: anche dopo il tradimento, l’amore Divino non si spezza, ma si rinnova con forza ancora più grande. Così come le seconde tavole furono più splendenti delle prime, così l’alleanza dopo il peccato diventa ancora più intima e indissolubile. Non è un caso che a Minchà di Kippur leggiamo il capitolo dei rapporti proibiti. In quel momento solenne, non ci si limita a pensare alla dimensione celeste, ma si ricorda che l’amore Divino si riflette anche nella purezza e nella giustizia dei rapporti umani.
Non c’è alleanza con D-o che non sia anche alleanza con l’uomo: spezzare uno dei due lati significa spezzare tutto.
Ed ecco la conclusione: la vita è sempre sospesa tra shamayim e aretz. A volte sentiamo D-o vicino e il prossimo lontano, altre volte amiamo l’uomo e ci dimentichiamo di D-o. Ma Mosè e Hoshea ci insegnano che non possiamo scegliere: dobbiamo unire le due tavole. A Yom Kippur, vestiti di bianco come sposi sotto la chuppà, riceviamo di nuovo la ketubbà divina. Non più spezzata, non più divisa, ma intera. E D-o ci stringe a Sé come uno sposo che riprende la sua sposa e le sussurra: “Ti ho amato di un amore eterno”. Cielo e terra, shamayim e aretz, si incontrano di nuovo, e noi scopriamo che nessun tradimento può spezzare davvero l’amore Divino, perché quell’amore, come le seconde tavole, è inciso non sulla pietra ma nei nostri cuori per sempre.
(sviluppata dalla Derashà di Minchà di Yom Kippur)
Shabbat Shalom
MDM
