A trecento anni dalla nascita. Il Parlamento lituano ha dichiarato il 2020 “Anno della storia degli ebrei di Lituania e del Gaòn di Vilna ”
Riccardo Di Segni
Tra gli anniversari a cifra tonda di quest’anno c’è anche quello dei trecento anni dalla nascita di rabbi Eliàhu, noto come il Gaòn di Vilna. Noto, beninteso, nel mondo ebraico, che ne celebra la cultura e la dottrina divenute mitiche e proverbiali, molto meno al suo esterno; ma la traccia lasciata da questo personaggio è tale che non se ne dovrebbe ignorare la storia. Già il suo nome merita attenzione: Gaòn significa eccellenza, genio, ed è un termine onorifico abusato e inflazionato (non solo tra gli ebrei, si pensi all’uso del titolo di “ecc.za” in Italia…), ma nel suo caso gli si addice pienamente. Vilna è Vilnius, la capitale della Lituania, paese in cui la multietnicità si esprime con i diversi nomi della stessa città; e gli ebrei preferiscono dire Vilne o Vilna a e non Vilnius, Kovne o Kovno e non Kaunas, come in Yiddish e non nella lingua locale. Vilna è stata una grande capitale intellettuale del mondo ebraico fino a quando la sua comunità è stata spazzata dalla Shoah con la collaborazione dei suoi concittadini; toccò poi ai sovietici la cancellazione finale della cultura ebraica. Oggi Vilna-Vilnius conta pochi ebrei, ma con un desiderio di recupero della memoria, dei pochi edifici storici rimasti, di grandi cimiteri contesi; e almeno ora le autorità lituane si rendono conto dell’importanza di questa memoria tanto da dichiarare il 2020 “Anno della storia degli ebrei di Lituania e del Gaon di Vilna”.
Rabbi Eliàhu nacque nel 1720 e passò l’intera sua esistenza, dall’infanzia in cui si rivelò bambino prodigio alla sua morte nel 1797, sui libri di studio. Non accettò mai incarichi di guida comunitaria, ed ebbe una ristretta schiera di discepoli. In compenso compose una notevole quantità di opere, in parte scritte direttamente, in parte raccolte dagli allievi, in cui commentò i principali testi della tradizione. Caratterizza queste opere la sistematica attenzione filologica ai testi, che vuole emendare da tutte le incrostazioni sovrapposte da secoli. Un metodo di studio scientifico, che si accompagnava alla passione che il Gaon ebbe per studi scientifici “profani”, dall’astronomia all’ingegneria alla matematica, sui quali scrisse anche dei testi. Tutta la sua vita fu condotta in condizioni di estrema povertà, diventando un modello di ascetismo e di rigore morale. Ma il suo modello personale entrò in conflitto con la grande rivoluzione religiosa dei suoi tempi, il Chasidismo, movimento mistico che esaltava il fervore e il sentimento, sotto la guida di capi carismatici. Il Gaòn, benché fosse egli stesso un mistico, cultore di testi della Kabalà, si trovò alla guida degli oppositori del Chasidismo, gestendo con la sua autorità l’inizio di una frattura micidiale nel mondo ebraico che ancora persiste. Dai suoi insegnamenti derivò una scuola e un modo di studiare, fondata sul rigore di approccio e sulla propedeuticità. Paradossalmente questi metodi, applicati con il massimo rispetto delle fonti, furono considerati esemplari dall’altro movimento culturale che nacque a quei tempi, la Haskalà, l’illuminismo ebraico, teso ad un rapporto razionale e conciliatorio con il moderno esterno, che allora timidamente si apriva agli ebrei. Il Gaòn divenne così, suo malgrado, un emblema anche per molti che dalla tradizione si allontanavano.
Un’altra dimensione importante della sua storia è il desidero di ritorno alla terra d’Israele, che provò a realizzare con un viaggio fallito ma che indusse una schiera di suoi discepoli a una ondata migratoria ai primi dell’ottocento, quando ancora di sionismo politico non si parlava. Tra i discendenti di questi, l’attuale presidente dello Stato d’Israele, Rivlin. Insomma un influsso ad ampio raggio che ancora oggi si sente; ed è un notevole aspetto dell’ebraismo, che anche in ambienti distaccati dalla pratica religiosa pone come modello esemplare una personalità che si è distinta essenzialmente per la passione e l’eccellenza nello studio.
L’autore è il Rabbino Capo della Comunità ebraica di Roma
La Repubblica 3.12.2020