Alessandro Schwed
Nella vita ebraica c’è un vibrare quotidiano che si allunga fino ad oggi ed è l’attenzione alle parole, dato che alcune, specialmente quelle che sembrano normali, possono nascondere insidie. Non sempre è facile cogliere il male delle parole, come con gli striscioni nazisti allo stadio, o nell’evidenza di un corteo di sinistra che brucia le bandiere con la stella di David. Certe locuzioni si presentano mimetizzate dall’uso della lingua, o rese invisibili dall’immane flusso delle informazioni.
Per esempio, nei giornali e nei notiziari televisivi, ricorre un errore: David Irving viene preceduto dal titolo di professore. Viene comunemente accreditato come storico l’uomo che ha azzerato i numeri dell’Olocausto, le camere a gas e i forni, riducendo la Shoah a un’immensa menzogna ebraica per dominare il mondo. Il lavoro “storico” del professor Irving è stato questo. Per la verità, questo fatto di dire e scrivere “professor Irving” più che una disattenzione è un’omissione di vigilanza. Una distrazione stratosferica che definisce l’incompetenza e l’abulìa della nostra cultura, la sua idea di libertà senza prezzi da pagare. Illustra una proverbiale incapacità di essere intelligenti – cioè di leggere dentro. Sancisce la morte definitiva dell’antifascismo – un principio politico e morale che, in modo paradossale, a un tratto traspare più nell’esperienza personale di Fini che nel dire e nel fare quotidiano della sinistra. E vorrei aggiungere a latere, ma poi è questione centrale, che per un Ebreo italiano diviene arduo, e a tratti impossibile, richiamarsi alla sinistra; essa non sembra che respingerlo, tanto è storicamente incapace di promuovere un balzo del cuore verso Israele. E infatti gli Ebrei sono politicamente commestibili come vittime del nazifascismo, ma diventano indigesti o irricevibili come cittadini dello Stato d’Israele.
Se dunque, immersi come siamo in quest’epoca immemore, e in questa dolorosa imboscata alla Storia, e poi alla Storia ebraica, ancora possedessimo un naso per odorare, o un pensiero personale invece che eterodiretto; se in Italia aleggiasse un ricordo sostanziato della Resistenza, ci accorgeremmo che questa non rilevata distrazione di chiamare Irving “professore”, che questo calo di coscienza della società civile, odora di malsano: la fine della possibilità di “criticare” la realtà. Oggi, la nostra testa risulta già decapitata dal dibattito, che se non fosse tragico risulterebbe comico, sul fatto se il povero “professor” Irving sia s tato colpito da una sentenza illiberale che configura il reato di opinione – come se fosse un’opinione negare la sparizione dalla Storia dei corpi di sei milioni di persone. Quando invece ci sono becchini che riesumano gli stessi corpi che avevano già distrutto una volta, e ora li colpiscono una seconda, e così facendo percuotono senza sosta il corpo della memoria fino a farle perdere – cosa per l’appunto? – la conoscenza.
Non solo cercano di sbugiardare l’intero popolo d’Israele, ma si adoperano ad annebbiare il senso della Storia maestra: dato che quando un misfatto non è successo, allora può essere ripetuto. E’ infatti proprio in questi giorni che un esponente della Fiamma – durante la conferenza stampa di presentazione come alleata elettorale della Casa delle Libertà – ha dichiarato in modo pubblico di non essere in grado di stabilire se le camere a gas ci siano o non ci siano state. Si è dunque andato creando uno stato di nebbia all’interno del quale è possibile dissimulare la verità, così come far trapelare una correzione della Storia – l’Astoria. Ed è in una medesima nebbia, la nebbia non ha colori, che è avvenuto l’incidente di Ferrando. Egli aveva sostenuto, con argomenti che nella sinistra vengono da lontano, e sono radicati, l’artificiosità dell’esistenza di Israele. E dunque è stato espulso, sì, ma ancora una volta in modo nebbioso: senza che un reale dibattito, da Rifondazione a tutta l’Unione, esplicitasse le posizioni sull’esistenza dello Stato d’Israele.
E’ anche in tale modo che in Italia andiamo verso sempre più dolorose evaporazioni, e a un tratto le nostre vite ricordano certi momenti dell’infanzia, quando per tutto il giorno si é costruito un castello di sabbia in riva al mare, e a sera è già disfatto e non ve n’è più traccia.
Il “professor” David Irving riscriveva la Storia. Voleva togliere uno zero dai sei milioni di morti e passare a seicentomila, inscenando una diminuzione così clamorosa da farsi largo tra gli schiamazzi del mondo. Voleva una nuova e progressiva verità storica che avrebbe oscurato quella precedente, di modo che gli Ebrei fossero scoperti bugiardi. Però non gli è riuscito. Gli Ebrei non sono soli. Non siamo i soli a sognare ancora nelle nostre notti questa cosa successa ieri. Vi sono uomini e donne, tedeschi ed austriaci, giudici, che come noi tremano nel buio. In modi diametralmente opposti i loro padri e i nostri hanno partecipato allo stesso abominio e ora nessuno vuole occultare la verità. C’è dunque chi, magari in minoranza, insiste a chiamare i fatti e le persone col loro nome e col loro titolo. E allora David Irving non è un professore.
“Il Secolo XIX” – 2 marzo 2006