Per Amos Luzzato gli ebrei hanno votato “per paura” – Davide Romano spiega perché la verità è diversa
Davide Romano
C’è un nuovo vento nell’ebraismo italiano. L’idea di alzare la testa e rispondere – sui mezzi di informazione piuttosto che scendendo in piazza –agli attacchi provenienti da destra come da sinistra, senza sconti per nessuno, non è più un tabù.
Le elezioni della Comunità ebraica milanese di domenica hanno confermato questa tendenza. Per capirne l’origine bisogna però tornare a sei anni fa, quando ebbe inizio la seconda intifada palestinese: quella che alle pietre preferì i kamikaze che si facevano esplodere negli autobus pieni di civili israeliani. In quegli anni di continui attacchi terroristici, il governo israeliano reagì in maniera molto più misurata rispetto a qualunque altro governo al mondo (dagli USA post 11 settembre alla Russia contro i ceceni). Ciononostante, le condanne del mondo intero e le manifestazioni nelle piazze europee si concentrarono soprattutto sul governo Sharon-Peres. La legittima critica politica sfociò in odio anti-israeliano che presto tracimò in antisemitismo. Gli atti ostili contro gli ebrei in Europa si moltiplicarono: in Francia si arrivò a bruciare le sinagoghe e alle violenze fisiche sugli ebrei.
Se il legame del mondo ebraico con Israele era già forte prima per motivi religiosi e ideali, dopo la seconda intifada questo vincolo si è ulteriormente rafforzato. Quelli che ancora pensavano di poter separare le sorti di Israele da quelle della diaspora sono stati smentiti dai tanti, troppi, atti antisemiti di quel periodo. Questo tradimento europeo non è stato privo di strascichi sull’identità ebraica, e il risultato di queste elezioni lo conferma.
Erano tre le liste candidate: Per Israele (che ha fatto della difesa del popolo di Israele la propria bandiera), Chai (lista laica, con scarsa propensione ad esporsi all’esterno) e Kadima (lista centrista, basata sulla leadership dell’ex presidente Roberto Jarach). Ha trionfato la lista Per Israele, quella che meglio ha saputo interpretare il nuovo “orgoglio ebraico”.
Dal voto emerge quasi un raddoppio degli eletti per la lista di Leone Sued (presidente uscente), che passa infatti da 6 a 10 consiglieri: la maggioranza assoluta. Buona parte del merito va certamente al portavoce della Comunità Yasha Reibman, che ha saputo interpretare e dare voce a questo nuovo spirito ebraico. Perfino la moderata disponibilità ad esporsi della lista Kadima è evidentemente apparsa agli elettori – in assenza di altre idee forti – come una pallida fotocopia della lista Per Israele. Ma il vero problema di Kadima è stato probabilmente l’errore di comunicazione politica commesso sette mesi fa, nel momento della rottura e della conseguente uscita dal Consiglio della Comunità. Le motivazioni di tale scelta non sono evidentemente state capite dagli iscritti. Per questo lo stesso Roberto Jarach – pur avendo governato per tre anni e mezzo la Comunità -è stato punito dall’elettorato che gli ha dato meno preferenze rispetto alle scorse elezioni. La lista Chai invece, pur avendo sui temi della laicità un consenso potenzialmente ben più ampio dei 5 seggi conquistati, paga l’incapacità di interpretare le nuove priorità dell’ebraismo milanese.
Dalle elezioni è infatti emerso un chiaro segnale da parte degli ebrei milanesi, una volontà di unità e di impegno sul fronte dell’antisemitismo/antisionismo. La lista Per Israele è riuscita a interpretarle entrambe: per questo ha vinto. Ora tocca alla lista guidata da Soued il difficile compito di tradurle in realtà, riuscendo a coniugare l’unità della comunità con il rispetto (anche se la parola rispetto non è abbastanza, meglio sarebbe parlare di coinvolgimento) delle diverse identità.