Con la sua scomparsa lascia un vuoto incolmabile. “Ma la sua – aggiunge la Presidente UCEI – è una traccia indelebile e di guida ai perplessi, grazie alle numerose opere e nelle molteplici iniziative che ha intrapreso nel corso della sua intensa esistenza. Un costante lavoro di connessione tra mondo ebraico e società circostante nel nome della cultura e dei valori fondamentali, che resterà a lungo patrimonio di questo paese”.
Grazie quindi Giacometta. Per il tuo impegno, il tuo entusiasmo e la tua generosità. “Non ti dimenticheremo mai” assicura Di Segni.
I funerali di Giacometta Limentani si svolgeranno domani (OGGI NdR) a Roma. Sia il suo ricordo di benedizione
Giacometta e il ritmo della vita
I suoi libri tanto amati da generazioni tornano in una nuova veste e Giacoma Limentani riprende il suo racconto. Recentemente infatti i tre romanzi, “In contumacia”, “Dentro la D” e “La spirale della tigre”, sono stati ripubblicati da Iacobelli Editore in unico volume che si chiama “Trilogia” (2013) (“In contumacia” e “Dentro la D” erano tra l’altro irreperibili da anni).
Giacoma, vorrei chiederti innanzitutto che impressione ti ha fatto vedere questa nuova edizione dei tre romanzi insieme, che sono in fondo un nuovo libro?
È stato come vedere una fotografia mia, un ritratto che comprendesse nello stesso momento un’immagine dall’infanzia alla maturità e anche alla vecchiaia.
Questi tre romanzi sono stati scritti in tre momenti diversi della tua vita e parlano di episodi diversi, ma riprendono anche alcuni temi e li approfondiscono.
È un rientrare nella realtà, cercando di restituirla a quello che è vita privata. E la realtà della vita privata la sa solo chi la vive. È molto interessante il fatto che nel primo e nell’ultimo libro, cioè l’infanzia e la vecchiaia, si ripete con forme di violenza diversa lo stesso odio antiebraico. Nel primo con fascisti che accusano, nell’ultimo con l’essere cacciata da scuola in quanto ebrea.
Sono scritture diverse… Potresti parlarci di queste diverse maniere di scrivere che un po’ emergo- no sia nei tuoi romanzi sia anche nei saggi? Da una parte, per esempio, “In contumacia” è una scrittura che vuole raccontare di un trauma, di una violenza e c’è anche la frammentazione che questo ha causato, mentre dall’altra parte in “Dentro la D” si vede la tradizione midrashica che viene fuori.
Quando ho scritto “In contumacia” ancora non avevo cominciato a studiare ebraismo nel modo in cui ho fatto più tardi. Ho cominciato a studiare dopo che ho scritto “In contumacia” perché l’ebraismo mi affascina in quanto
dà al tempo una continua presenza. Gli eventi sono passati, saranno futuri, ma c’è una loro pregnanza in ogni momento. Ogni momento racchiude in sé l’istante, ma anche i ricordi, le possibilità e il divenire. Il tempo ebraico è un divenire che si esplica continuamente nelle percezioni del presente.
In questa tua visita in Friuli Venezia-Giulia hai fatto una presentazione del tuo libro “Trilogia” sia a Trieste sia a Udine e hai avuto degli incontri nelle scuole superiori con degli studenti. So che era tempo che non lo facevi: che cosa questo ha significato per te?
Ha significato un ritorno al dovere di esprimermi, esprimere in pubblico una mia realtà che non è la realtà di un momento, ma è la realtà di una gran parte di questo mondo di migranti nel quale viviamo.
Accanto al libro, negli ultimi anni hai lavorato a un nuovo progetto che coniuga due tue grandi passioni: da una parte la scrittura e la narrazione, dall’altra la musica e il canto. Hai anche prodotto dei cd che contengono appunto una narrazione della tua storia ac- compagnata dalle canzoni che hai cantato nella tua gioventù, in particolare francesi e americane. Potresti parlarcene? Perché l’hai fatto e che prospettive ha?
Tutto è ricominciato per caso, soprattutto per l’incontro con un pianista con il quale mi trovo sulla stessa lunghezza d’onda musicale. Come mi è capito di dire altre volte, io sono malata di canzoni, tutta la mia famiglia lo era. E le canzoni sono come una pun- teggiatura nella vita che si vive. Questa è un punto interrogativo, quella un punto esclamativo… molte sono altre domande. Sono vita, perché per me ricominciare a cantare, canticchiare con questo pianista con la poca voce che ho ormai, mi ha aiutato a rivivere tante cose. Mi rallegra e continua a darmi questa sensazione che ho io del tempo sempre presente, di una impossibilità di dividere i momenti del tempo stesso. E questo la musica ce l’ha fortissimo con il suo potere sull’imma- ginazione, sul ricordo, sul respiro. Questo mi aiuta, mi ha aiutato, soprattutto perché l’incasso di questi cd lo utilizzo per finanziare Saving Children, un’iniziativa israeliana del Centro Peres per la Pace che trovo determinante: far curare bambini palestinesi che nelle loro terre non possono essere curati bene in ospedali israeliani, come pure formare negli ospedali israeliani delle unità di soccorso che possano andare nei territori palestinesi a curare chi non è trasportabile e quindi creare una possibilità di vivere e conoscersi insieme. Quando i bambini stanno vicini in un letto di ospedale, un bambino israeliano e un bambino palestinese, e i loro genitori li vanno a trovare e si aiutano a vicenda, questo è un seme di pace più forte di qualsiasi articolo di giornale.
Un’ultima domanda: perché canzoni francesi e canzoni americane?
La risposta delle canzoni americane è la più facile. A me piace moltissimo il jazz, lo swing e quindi è un gusto anche musicale forte e poi è un ricordo dei film che mi rallegravano in gioventù, e ancora è l’enorme rispetto per i musicisti americani straordinari che abbiamo avuto e che ancora oggi sono attuali. Perché canzoni composte oggi possono svanire da un momento all’altro, ma canzoni come Night and day rimangono come classici assoluti. Le canzoni francesi hanno una storia più complessa, anche se in fondo proprio come canzoni le amo molto di meno. Però avevo una bisnonna che era francese, quindi quella era una lingua di casa. Quando da ragazzina mi piaceva imparare, come a tutti i ragazzini, le canzoni che si sentivano alla radio e mi resi conto che nella radio anche le canzoni venivano controllate dall’Ovra (Opera Volontari Repressione Antifascismo), siccome dall’Ovra la mia famiglia fu profondamente colpita, io per protesta non ho più cantato in italiano, finché poi non c’è stata la libertà. Ma quelle canzoni non le canto, oppure le canto per sfregio.
Helen Brunner, psicoterapeuta – Pagine Ebraiche Gennaio 2014
(18 febbraio 2018)
http://moked.it/blog/2018/02/18/121787/