La Giornata della Memoria e l’edificio diroccato
All’inizio del Talmud Babilonese, nel secondo foglio del trattato di Berakhot (3a) Rabbi Iosè racconta che una volta stava camminando per la strada ed entrò a pregare in una delle rovine di Gerusalemme. Lo vide Eliahu, il profeta, e lo aspettò facendogli la guardia fuori dalla rovina.Finita la preghiera i due si salutarono ed Eliahu fece delle domande: “Perché sei entrato là dentro?”. “Per pregare”.”Non potevi pregare per strada?”.”Temevo di essere disturbato dai passanti”.”
Potevi dire una preghiera corta”.Rabbi Iosè commenta che da quella conversazione apprese da Eliahu tre regole: che non si entra in una rovina, che si può pregare per strada e che chi prega per strada deve recitare una formula abbreviata.Il racconto prosegue con Rabbi Iosè che riferisce di aver udito, dentro la rovina, il lamento del Signore per la distruzione del Suo Santuario e per l’esilio dei Suoi figli.
Questo racconto è esemplare di un tipo di espressione rabbinica nella quale, dietro un fatto apparentemente banale, si nasconde la discussione su questioni molto importanti. Proviamo a vedere di che si tratta, alla luce di alcuni commenti (come quello di Rav Steinsalz e quello del Maharal di Praga). Prima di tutto chi era Rabbi Iosè: era un maestro del quarta generazione, allievo di Rabbè Aqivà. Era stato quindi testimone della repressione da parte di Adriano della rivolta di Bar Kokbà, finita nel 135 con un massacro senza precedenti nella storia ebraica (dell’ordine di grandezza del milione di vittime), la Shoàh dell’antichità classica. Lo stesso maestro di Rabbi Iosè, Rabbè Aqivà, era morto martire, Gerusalemme distrutta era stata riedificata dai romani, trasformata in Aelia Capitolina, e interdetta agli ebrei. Forse quando Rabbi Iosè parlava di una sua visita alle rovine di Gerusalemme non ci sarebbe neanche potuto entrare. E allora? Nel linguaggio rabbinico “l’andare per la via” non ha solo un significato letterale, ma può significare che il Rav andava vagando dietro ai suoi pensieri, immerso nelle sue meditazioni e sulle preghiere per la distruzione di Gerusalemme. Eliahu se ne accorse e aspettò che finisse, rimproverandolo poi con una serie di osservazioni.
Da un punto di vista normativo, è proibito entrare in un edificio diroccato, per vari motivi, di cui il più semplice è che ci possano essere ulteriori crolli provocando un danno allo sprovveduto visitatore. Quindi Rabbi Iosè aveva violato quella che oggi definiremmo una norma di sicurezza. Ma l’aveva fatto con il pensiero, ed Eliahu lo aveva rimproverato. Che senso ha questo colloquio? I commenti suggeriscono questa lettura: Rabbi Iosè trascinato da suoi pensieri si isola su quello della distruzione di Gerusalemme e sulla richiesta della fine delle sofferenze ed Eliahu gli dice che sarebbe stato meglio pregare per strada. Se in strada qualcuno potrebbe distrarre o disturbare è meglio recitare una formula abbreviata e sbrigativa. Eliahu sta spiegando, in altri termini, che sul tema della sofferenza non bisogna entrare dentro la rovina, ma bisogna riflettere restando per strada. E se per strada qualcuno non ti capisce e potrebbe disturbarti, si deve restare per strada e pregare di corsa.Il tema qua in discussione è quello della ricerca di un equilibrio per chi è sopravvissuto ad una tragedia storica.
Il rischio è quello di sprofondare nei propri pensieri e restare vittima di un altro crollo perché, appunto, il luogo della rovina è pericoloso, il luogo stesso è vittima ma anche carnefice.Meglio rimanere sulla strada, nella vita, nella realtà che scorre, anche se là si rischia di non potersi concentrare perché chi non capisce potrebbe interromperti. Il compromesso giusto è una preghiera corta, un impegno che non si interrompe ma che deve essere limitato nel tempo.Oggi come 19 secoli fa il rischio del ricordo della Shoah è quello di rimanere intrappolati dentro senza poter riprendere la strada.Per molti l’identità ebraica si limita al negativo, al ricordo, anzi all’incubo di fatti terribili. E’ un’identità pericolosa e patologica per il singolo e per la collettività ebraica.
Ben vengano le giornate e le settimane speciali, si mantenga vivo il ricordo come assoluta necessità morale, ma si faccia attenzione a non fuggire dalla realtà e a non dimenticare, oltre il nostro passato la necessità di continuare la nostra strada.
http://www.ucei.it/giornodellamemoria/default.asp?subpag=34&pag=3