Al Direttore, Sul numero del 6 febbraio 05 di Libero è apparso un articolo di Vittorio Ravà (“Il segreto di Vladimir Putin”) nel quale l’autore insulta l’ebraismo milanese accusandolo di essere “…ottuso e schiavo di pregiudizi del passato nei confronti di Lubavitch…”. Di questo tipo di articoli ne appaiono di tanto in tanto specialmente nella stampa americana. I giornalisti, spesso senza sufficiente background o per interesse personale, diventano di frequente strumenti della propaganda di Lubavitch.
Contrariamente a quanto afferma il Ravà la forte opposizione ai Lubavitch è alquanto recente, si basa su fatti concreti e non deriva solo da pregiudizi del passato. Dal 1992 ad oggi una gran parte (e forse la maggior parte) del movimento è caduta in una frenesia messianica: il Rebbe (dopo aver subito un ictus che lo aveva paralizzato e gli aveva tolto la parola) è stato dichiarato il Messia e neppure la sua morte nel 1994 è servita a cambiare le opinioni. Cosi è nata un’ultima versione di un falso Messia morto del quale si attende la resurrezione.
In Italia tutti i più importanti esponenti del movimento (che il Cielo voglia che si ricredano) sostengono il Secondo Arrivo del Messia, e nella loro scuola a Milano viene insegnato ai bambini che il defunto Rebbe è il Re Messia. Per non spaventare i sostenitori, il messianismo viene talvolta nascosto o negato, e questo avviene incredibilmente anche di fronte a prove nero su bianco.
Molti giovani di Lubavitch, forti di spirito di sacrificio e mossi dal desiderio di fare del bene e di avvicinare i correligionari all’ebraismo e al Rebbe, vanno in missione in tutto il mondo. Negli Stati Uniti il “target” geografico principale per l’invio di “shelichim” (missionari) è costituito dalle aree più popolate di ebrei, spesso tra le più ricche del paese, dove coloro che contribuiscono ai progetti Lubavitch ricevono onori, anche se trasgrediscono pubblicamente molte mizvot. Soprattutto importante è diventata l’attività del “Fund Raising”: i “shelichim”, non possono contare sul supporto della sede centrale del movimento e devono sviluppare le rispettive fonti di finanziamento in loco. Spesso questa necessità li porta a fare concorrenza o a entrare in conflitto con la comunità ebraica locale. In alcuni casi i fondi vengono raccolti con organizzazioni che portano nomi che nessuno sospetta che appartengano a Lubavitch. La “Le-Chayim Society”, per esempio, che fa pubblicità alla radio, serve a finanziare attività in Connecticut e in Florida.
Se da una parte alcune persone sono state aiutate dai “shelichim”, ad altre sono state causate sofferenze. L’ideologia messianica che solo le opinioni del Rebbe contano e che il Rebbe ha sempre ragione ha fatto si che i più estremisti tra i Lubavitcher trattino gli altri da ebrei di seconda categoria, anche se sono dei Talmidé Chachamim. Più di un rabbino italiano è stato trattato con poco rispetto.
Il fatto che il Ravà oltre a fare una sviolinata a favore di Lubavitch ritenga necessario ricorrere a degli insulti è una piccola consolazione. Si vede che gli ebrei milanesi non sono tanto “ottusi” nell’opporsi a una setta messianica a cui appartiene un’ideologia che è tutt’altro che unificante.
Pubblicato sul Bollettino della Comunità Ebraica di Milano