- Un grande scrittore inglese ha osservato che “la vera salute di una persona consiste nell’avere un’anima senza saperlo”. In modo simile gli antichi Rabbini sembrano aver pensato che la vera salute di una religione consista nell’avere una teologia senza saperlo; così essi quasi mai hanno tentato –nè avrebbero potuto fare altrimenti- di elaborare la loro teologia in un sistema formale, o di darne un’esposizione completa” (S. Schechter, Aspects of Rabbinic Theology, p. 11-12).
- Emunah deriva dalla radice Amèn che indica qiyyum we-chizzuq (Radaq a Is. 25,1; Sefer ha-Shorashim). Di che cosa? Al hif’il ha il senso di bittachòn e qabbalah (credencia, Radaq). Il primo per cui è adoperata è Avraham Avinu: Weheemin ba-H. waychasheveha lo tzedaqah (Bereshit 15,6). Chi è il soggetto dell’ultima frase? R. Bachyè riporta due spiegazioni. 1) HaShem: l’importanza della emunah. HQBH considera una Mitzwah di Machshavah come se fosse una Mitzwah di Ma’asseh (Tzedaqah). Su questa linea è l’interpretazione della Mekhiltà: “Avraham Avinu entrò in possesso di questo mondo e del Mondo a Venire solo in virtù della sua fede”. 2) Avraham stesso. Egli si riferiva alle promesse Divine dei versi precedenti, ma non voleva farle dipendere dai propri meriti, che riputava insignificanti, bensì da un atto di Tzedaqah da parte di H.
- Il primo Comandamento Anokhì è una Mitzwah? Ritengono di no Ibn Ezra’, che dice che è lo Yessod di tutte le Mitzwòt; il Ba’al Halakhot Ghedolot, che non lo enumera fra le 613 Mitzwòt (Taryag Mitzwòt hen kullàn ghezeròt shel HQBH she-gazar ‘alenu la’assotan o mena’anu mehem, avàl ha-emunah bimtziutò yitbarakh hodi’ah otanu be-otòt u-v-mofetim we-ghilluy shekhinah she-‘assah le-‘eyneynu we-hu ha-‘iqqàr we-ha-shòresh she-mimmennu yiwwaledù ha-mitzwòt avàl eynò nimneh be-cheshbonò – Cit. in Abrabanel a She. 20,1, p. 188 c.d.) e il tardo filosofo Chasday Crescas (Barcellona, m. 1412). Questi dice a sua volta che è assurdo parlare di un comandamento del genere, ma aggiunge però che deve essere il presupposto di tutti i comandamenti, nel senso che prima di parlare di un Comandamento Divino uno deve essere persuaso dell’esistenza di un Divino Comandante (Introduzione all’Or H.).
- Peraltro tutti gli altri lo ritengono Mitzwat ‘Asseh: Maimonide, Nachmanide, Sefer ha-Chinnukh, R. Bachiè b. Asher, Bachyà Ibn Paqudà (“Fra i doveri positivi dei cuori… credere che il mondo ha un Creatore ex nihilo e che non v’è altri come Lui” – Introd. a Chovot ha-Levavot). La ragione sta nel fatto che in Makkot 24 si deduce dal versetto Torah Tziwwah lanu Mosheh che a Mosheh sono state trasmesse 613 Mitzwòt: 611 pari al valore numerico della parola Torah e altre 2, corrispondenti ai primi due Comandamenti, uditi dal popolo direttamente. Inoltre, nella stessa Ghemarà si cerca di ridurre le Mitzwòt ad un principio generale. Giunse il Profeta Chavaqquq e le ridusse ad una: “e il giusto vivrà della sua fede”. Meirì commenta che lo scopo di tutte le 613 Mitzwòt è servire H. Nachmanide paragona H. ad un re che dice ai suoi sudditi: prima di darvi le mie ordinanze dovete accettarmi come vostro governatore e aver fiducia in me. Per questo motivo –aggiunge il Kelì Yeqàr- i primi due comandamenti sono dati da H. in prima persona, gli altri riferiti da Moshè in terza.
- C’è una controversia nel Maimonide stesso, il quale nel Mishneh Torah non parla di obbligo di fede ma scrive: “Fondamento dei fondamenti e colonna delle sapienze è sapere che si trova un Ente Primo che dà l’esistenza ad ogni esistente” (cfr. Es. 33,13: Hodi’eni na et derakhekha we-eda’akhà; Sal. 36,11: meshòkh chasdekhà le-yode’ekha; 1Cron. 28,9: Dà’ et Eloqè avikha we-‘ovdehu). Nel Sefer ha-Mitzwòt la prima Mitzwah è invece “di credere nella Divinità, ovvero credere che esiste un Agente che è la Causa di tutto ciò che esiste”. Anche nel Preambolo al Pereq Cheleq Maimonide scrive che “il primo fondamento è credere nell’esistenza del Creatore”. C’è chi spiega quest’ultima versione con il fatto che questi testi sarebbero stati tradotti dall’arabo in modo impreciso: l’originale Etaqqad implicherebbe più l’idea di conoscenza che non quella di fede e che in sostanza Maimonide ritiene che la Mitzwah consiste non nella fede (atto irrazionale), ma nell’acquisizione di una consapevolezza del fatto che D. mantiene le sue promesse compiendo miracoli (come in Is. 25,1: odeh shimchà ki ‘assita fele, ‘etzot me-rachòq emunah òmen; ovvero Shevu’ot 36a: amèn leshon haamanat devarim), cioè un atto razionale. Per Maimonide la conoscenza di D. è la conoscenza delle Sue vie e attributi, che dovrebbero servirci da guida per le nostre azioni. Restano comunque due fatti: 1) altri autori di scuola maimonidea, come il Sefer ha-Chinnukh, scrive che la Mitzwah consiste nel credere (più esattamente: tede’ù we-taaminu; prec. 25); 2) Maimonide distingue nettamente fra lo studio legalistico della Torah Orale, cui dedica il Mishneh Torah e il suo studio filosofico-metafisico: nel Mishneh Torah Maimonide dà per scontati altri precetti mentali, mentre si concentra più sugli aspetti pratici della Halakhah. P.es.: all’inizio delle Hilkhot ha-Teshuvah non scrive che è Mitzwah fare Teshuvah, ma scrive che quando la persona fa Teshuvah per prima cosa deve fare Widduy delle trasgressioni. Possibile che la Teshuvah non sia una Mitzwah? E’ un presupposto necessario. Lo stesso dicasi della fede in H. In epoca moderna, la scuola filosofica neo-kantiana (Hermann Cohen) elabora molto questo concetto: D. è un a priori; non può essere dimostrato, ma è una premessa necessaria al benessere morale del mondo e, in chiave ebraica, al sistema della Torah e delle Mitzwòt.
- Ci sono altri elementi nei quali è obbligatorio credere? La Mishnah in Sanhedrin 10, 1, dopo avere scritto che tutti gli Ebrei hanno parte nel mondo futuro, si sofferma su tre eccezioni: “Colui che dice che la resurrezione dei morti non è un principio della Torah, colui che dice che la Torah non è Divina e l’epicureo. Chi è l’epicureo? Ci sono diverse interpretazioni. Colui che disprezza la Torah e i Talmidè Chakhamim. Colui che non crede nell’esistenza di H. Maimonide spiega la parola come un termine ebraico da hefqer = res nullius. E’ una persona che crede che il mondo non abbia din nè dayyan. R. Yossef Albo nel Sefer ha-‘Iqqarim scrive che tre sono i principi di fede nell’Ebraismo: Metziut H., Torah min ha-Shamayim e Sakhàr wa-‘Onesh.Il primo è riferito al presente, il secondo al passato e il terzo al futuro. F. Rosenzweig sintetizza la triade nel concetto triangolare: creazione-rivelazione-redenzione. Sovrapposto all’altro triangolo: D.-mondo-uomo si forma il Maghen David.
- Per il resto la Torah si affida come è noto ad azioni-guida: le Mitzwòt appunto, piuttosto che a dogmi. Il Sefer ha-Chinnukh al prec. 16: acharè ha-pe’ulot nimshakhim ha-levavot. Sono le azioni che informano la mentalità di una persona e non viceversa. Per questo la Torah ci comunica principi attraverso azioni simbolo, piuttosto che ricorrendo a formulazioni astratte.
- Chi esegue le Mitzwòt per secondi fini, come va considerato? Secondo una fonte nel Talmud (Pessachim 50b) le’olam ya’assoq adàm ba-Torah u-va-Mitzwòt wa-afillu she-lò li-shman she-mi-tokh she-lo li-shman ba li-shman: le esegua lo stesso, perché anche se non le fa inizialmente le-Shem Shamayim arriverà a farle le-Shem Shamayim. Secondo un’altra fonte (Berakhot 17a) Noach lo she-lo Nivrà. Le Tossafot risolvono la contraddizione. Nel primo caso si tratta di persone oneste, che attraverso la pratica svilupperanno la mentalità corretta. Nel secondo si tratta di persona disoneste, che fanno le Mitzwòt o per vantarsi davanti agli altri, o per deriderle intrinsecamente. R. Bachiè (a Shemot 20,6) dice che il primo caso si riferisce a chi osserva la Torah mi-yir’ah e praticandola adeguatamente arriverà ad osservarla me-ahavah. La fede in D. è certamente connaturata alle Mitzwòt in quanto tali, ma può essere anche un obbiettivo da raggiungere strada facendo.
- In una Ghemarà in Sanhedrin 27b si discute su chi sia il Rashà’ la cui testimonianza non viene accolta (al tashet rashà’ ‘ed). Ci si interroga in particolare se chi trasgredisce abitualmente le Mitzwòt ben Adam la-Maqom possa ancora testimoniare in una questione ben Adam la-Chaverò. L’opinione accettata come Halakhah è quella di Abayè contro Ravà: essendo la Torah un tutt’uno non c’è differenza fra Mitzwòt ben Adàm la-Maqom e Ben Adàm la-Chaverò.
- Sh. R. Hirsch, comm. a Es. 20,2: “Questo verso deve essere preso non come una dichiarazione, ma come una Mitzwah: non nel senso di “Io sono H. tuo D.”, ma nel senso di “Io devo essere H. tuo D.” Esso marca il fondamento di tutta quella che dovrebbe essere la nostra relazione con D., che i nostri Maestri chiamano qabbalat ‘ol malkhut Shamayim. La cosiddetta “fede nell’esistenza di D.”, come antichi e moderni teologi amano definire l’idea del “primo comandamento”, è molte miglia lontana da ciò che questo fondamentale versetto del pensiero ebraico e dell’esistenza ebraica richiede al pensiero ebraico e alla vita ebraica. Non il fatto che ci sia un D., neanche il fatto che esista un solo D., ma che questo Uno, unico, vero D. deve essere il mio D., che mi ha creato e plasmato, mi ha messo dove sono, continua a crearmi e plasmarmi, mi mantiene, mi protegge, mi conduce e mi guida. Il mio legame con Lui non deve passare attraverso diecimila intermediari come il prodotto casuale di un universo che Egli ha fatto nascere ere fa, ma ogni mio singolo respiro è un dono diretto della Sua Potenza e Amore; io devo vivere ogni secondo della mia vita presente e futuro esclusivamente al Suo servizio… In una parola non la conoscenza dell’esistenza di D., bensì il riconoscimento dell’esistenza di D. come il mio D., il Solo Unico nelle cui mani è riposto il mio destino, solo mediante l’accettazione di questa Verità io posso mettere le fondamenta di una vita ebraica. Alla domanda: “Io sono H. tuo D.” deve seguire la risposta corrispondente: “Tu sei il mio D.”!