Dall’editoriale
Rosa Banin
Le potenzialità dell’intelletto, unite all’intelligenza del cuore, garantiscono il rapporto dell’umano con il divino. Prerogativa di tale rapporto è la gestione della comunicazione divina: il verso sopracitato sembra indicarne le modalità, ovvero sembra tracciare il sentiero lungo il quale dovrebbe dispiegarsi la creazionalità umana che, più di ogni altra facoltà, sostiene la relazione tra Dio e l’essere umano:
«Un’Opera creata da Dio al fine di essere completata dall’uomo»
Veicolo espressivo di questa compartecipazione è la amirà, caratterizzata all’origine dal tratto della creatività, dapprima divina – «Dio disse a Moshè» – e poi anche umana – «dì ai kohanim figli di Aharòn e dirai».
Ma aspetti costitutivi della creatività sono autonomia e responsabilità. Ed è appunto questo primo verso di parashat Emòr che, secondo una certa lettura, sembra accentuare il valore della amirà così intesa: la ripetizione del verbo lemòr, che rimanda al non detto, e quindi allo spazio interpretativo affidato all’umano, indica la duplice responsabilità di Moshè: verso la comunicazione che riceve, e verso il popolo al quale la trasmette.
È una responsabilità che nasce dall’autonomia concessa all’umano, nel momento stesso in cui si rapporta alla amirà divina per farne scaturire un dibbùr ad essa fedele e che di essa conservi la plurivolcità di significato.
Come si diceva all’inizio, le facoltà dell’intelletto devono agire in sintonia con l’intelligenza del cuore: l’osservanza della Legge deve procedere unitamente ad una costante attenzione verso la sfera della sensibilità umana. A tal fine può essere necessario andare oltre la Legge, come suggerisce la Torà stessa in Devarìm:
«Farai quello che è retto e buono agli occhi del Signore affiché tu abbia bene e pervenga a possedere la buona terra che il Signore giurò ai tuoi padri» (Devarim 6, 18).
Si tratta di una sorta di comandamento aggiuntivo che funge da chiave di lettura al verso precedente:
«Voi osserverete i precetti del Signore vostro Dio, le sue ammonizioni ed i suoi statuti che ti ha comandato» (Devarìm 6, 17)
Come a dire che l’applicazione della Legge deve essere costantemente regolata dai principi racchiusi in quel versetto.
Questo equilibrio non può che scaturire dal confronto creativo della Legge con la realtà della dimensione umana, per mezzo della tradizione orale: come è detto in TB Ghittìn 60b, il patto tra Hakkadòsh Barùkh Hu e ‘am Israèl è concluso sulla base dell’oralità. Essendo infatti la reciprocità condizione imprescindibile per la realizzazione di un patto, non poteva che esserne l’oralità l’oggetto, poiché è solo nel solco della tradizione orale che l’umano trova spazio di interazione: pur riconoscendo la Legge divina, così come espressa nella Scrittura, se ne deve assumere, in virtù della reciprocità del patto, la responsabilità di determinarne l’applicazione. Solo così si potrà parlare di Toràt chayìm.
I valori generati da questo specifico percorso di ‘am Israèl potranno poi essere ceduti, senza dissociarsene, alle altre identità, assumendo quindi carattere universale.
Questa pubblicazione, guidata da Haim Baharier, nasce da una iniziativa di alcuni suoi allievi e si propone due obiettivi principali:
Presentare il pensiero di importanti studiosi contemporanei, che fanno dei principi sopra elencati i capisaldi della loro produzione intellettuale. Essi contribuiscono, in modo molto significativo, a rendere vitale il confronto su tematiche importanti: un confronto che vorremmo estendere anche in Italia offrendo, appunto, questa pubblicazione quale strumento.
Dedicare una costante attenzione alla dimensione del femminile, troppo spesso relegata ai margini e privata della possibilità di esprimere le sue potenzialità.
Questo nella assoluta convinzione che maschile e femminile, nella loro diversità, rappresentino due principi costitutivi e complementari del creato, e che solo in virtù della loro ri-congiunzione potranno ad esso correttamente approcciarsi.
Qualsiasi approccio unilaterale, che escluda invece una delle due dimensioni, sarà sempre e necessariamente carente.
Rosa Banin