Da una derashà di Rav Sacks
Come si riesce a mantenere una civiltà libera? Mosheh nella parashah di Eqev fornisce una risposta sorprendente: non si deve dimenticare H. Nel momento in cui crediamo di essere gli unici artefici del nostro benessere, ci dimentichiamo di H. e questo conduce alla nostra rovina. Mosheh dice alle nuove generazioni: avreste potuto pensare che la sfida fosse costituita dai quarant’anni di peregrinazioni nel deserto, e con la conquista della terra le preoccupazioni sarebbero finite. La verità è che in quel momento inizierà la vera sfida.
Quando avrai la terra, la sovranità e il benessere economico inizierà la prova a livello spirituale. La sfida non è tanto la povertà, quanto l’indipendenza economica, non l’insicurezza, ma la sicurezza, non la schiavitù, ma la libertà. Mosheh, per la prima volta, enuncia una delle grandi leggi della storia, che sarebbe stata poi elaborata, molti secoli dopo dal pensatore islamico Ibn Khaldun nel XIV sec. e in Italia da Giambattista Vico. Mosheh intuisce qual è il processo che porta le civiltà a declinare e a morire. Ibn Khaldun rileva che quando una civiltà diviene grande la sua elite si abitua ben presto al lusso, e la gente perde la solidarietà sociale. Quando questo avviene, la civiltà diviene preda di popoli meno civilizzati, ma più coesi. Vico descrive il medesimo iter: gli uomini prima si preoccupano di ciò che è necessario, poi di ciò che è utile, ma alla fine sprofondano nel lusso, impazzendo e sperperando tutto. Nell’introduzione alla Storia della filosofia occidentale Bertrand Russel scrive che le due massime vette della civiltà occidentale furono raggiunte nella Grecia antica e nell’Italia rinascimentale. Ma le caratteristiche che le condussero alla grandezza furono le stesse che ne determinarono la rovina.
I vincoli morali tradizionali scompaiono, perché vengono considerati delle superstizioni. Questa assenza di vincoli rende gli uomini più creativi, e il genio fiorisce, ma al contempo cresce l’anarchia e il tradimento. Questo rende i popoli impotenti a livello collettivo, e i conquistatori, pur essendo meno evoluti, hanno vita facile. Per lo stesso motivo, a detta dello studioso Niall Ferguson, l’occidente soffre. Ha acquisito la superiorità per via della competizione, della scienza, della democrazia, della medicina, del consumismo e dell’etica del lavoro protestante, ma rischia di soccombere. Questo tipo di argomentazione ha un ruolo centrale nel libro di Devarim. Se crederete di essere gli artefici dei vostri successi, diverrete compiacenti e soddisfatti. Invecchierete. Questo è l’inizio della fine di una civiltà. Non troverete più le risorse necessarie per difendere la vostra libertà. Le diseguaglianze nella società cresceranno. I ricchi si assolveranno da soli, i poveri si sentiranno esclusi. Nasceranno divisioni sociali, risentimenti e ingiustizie. Il concetto di responsabilità collettiva, tanto importante nell’ebraismo, scomparirà. L’individualismo avrà la meglio e il capitale sociale diminuirà. Questo è avvenuto a tutte le civiltà. Per gli ebrei sarebbe un disastro. Se Israele avesse perso la bussola, la distruzione sarebbe stata certa. Il libro di Devarim si propone di superare le leggi che governano la storia, quelle che regolano la crescita e il declino delle civiltà. Ma come si fa? Si deve responsabilizzare ciascun individuo rispetto alla società nel suo complesso.
Ciascuno deve conoscere la storia del suo popolo. Tutti devono studiare e comprendere la legge. Tutti devono essere alfabetizzati ed avere coscienza della propria identità. Bisogna creare un sistema di attuazione della giustizia, tutelare le classi meno agiate, conferendo a tutti i requisiti base della dignità. Ogni giorno, ogni settimana, ogni anno, ogni sette anni si deve coinvolgere il singolo nelle celebrazioni popolari. Si deve riconoscere l’esistenza di un potere più grande di noi; in caso contrario il rischio è quello di perdere la fiducia nell’esistenza di un ordine morale oggettivo, e poi in se stessi. Questa fede ha la forza di sconfiggere l’arroganza che deriva dal successo. I cinesi si chiedevano perché, a partire dal XVII sec., il loro predominio, sino ad allora incontrastato, fosse declinato, facendo emergere l’Europa. Inizialmente credevano che dipendesse da armi maggiormente avanzate, poi dal sistema politico, poi dall’organizzazione economica. Ma poi conclusero che la ragione era un’altra, ed era attribuibile alla loro religione. Furono le radici ebraiche e cristiane a far emergere prima il capitalismo, poi la democrazia. Anche in tempi recenti l’intuizione di Mosheh, che la fede è il più grande paracadute contro il declino e la scomparsa delle civiltà, si è rivelata, ancora una volta, vera.