Fabio Della Pergola
In poche parole l’ebraismo ha una sua antropologia; ed anche, ma non solo, la sua teologia.
Non dovrebbe essere strano dirlo. Anzi, non dovrebbe essere nemmeno necessario dirlo, nel 2014, quasi 2015. Dal momento che l’antigiudaismo di stampo cristiano e l’antisemitismo razziale, cioè le due aberrazioni culturali che più si sono prodigate nell’alterare la realtà dell’ebraismo, dovrebbero essere state spazzate via dalla storia.
Mica vero.
Una forma persistente, un virus che sembra ineliminabile, di continua denigrazione della tradizione culturale ebraica, sembra scattare come una specie di riflesso condizionato non appena ritieni utile o interessante affrontare certi temi; che poi sono proprio i temi, generalmente alterazioni palesi e insostenibili o manipolazioni interessate di antica data, che fanno quella stessa denigrazione della cultura ebraica di cui sopra.
Eppure dovrebbe essere interessante studiare e capire una cultura che si è sviluppata perlopiù all’interno dei confini della cristianità e che, unica in due millenni, ha pervicacemente sostenuto che la natura umana non è originariamente peccaminosa, come proponeva il cristianesimo violentando la verità degli esseri umani. E che, per la sua caparbia resistenza culturale, ha subìto quello che ha subìto, per secoli, fino alla persecuzione dei nazisti e dei loro entusiasti collaboratori (in genere ferventi cristiani).
Magari potrebbe essere utile riflettere su una cosa del genere. E sul fatto che le culture sono tante e diverse fra di loro. E che se è vero che gli esseri umani nascono tutti uguali, è anche vero che poi si sviluppano in modi diversi, culturalmente parlando, e che la diversità delle culture è ricchezza, non razzismo.
Ma basta scrivere un articolo – titolo “Gli ebrei si sposano solo fra di loro?” – per dimostrare dati alla mano che l’endogamia ebraica non esiste; cioè non esiste una pratica accusata di essere, non so perché, una forma di sostanziale razzismo (in realtà sarebbe come accusare di razzismo il proverbio “mogli e buoi dei paesi tuoi”, il che sarebbe davvero un po’ eccessivo).
Basta scrivere una cosa così semplice che immediatamente devi fare i conti con i commenti di gente che arriva a sostenere che quel mio articolo… “offende l’intelligenza umana”, nientemeno. O che gli “arabi” hanno geni (sic!) uguali a quelli ebraici. Eppure, è cosa arcinota, l’endogamia è ben più diffusa nel mondo islamico o in quello induista, tuttora impostato sul sistema delle caste (il che sembra essere parecchio peggio dello sposarsi all’interno del proprio gruppo etnico).
La stessa cosa capita se ti chiedi, sfruttando Sergio Romano e la sua risposta, se “l’ebraismo è solo una religione”. Per tutta risposta ti trovi chi ti rifila subito una lezioncina di political correctness: le razze non esistono (grazie, fin qui ci eravamo arrivati anche noi e non da ieri). Ma che, non contento, aggiunge che l’ebraismo è, secondo lui, razzismo. Tout court e fine della discussione.
I teologi dicevano che il particolarismo giudaico era “ostinato e cocciuto” in quanto si opponeva all’universalismo della buona novella (in realtà una pessima novella perché dice che tutti nascono peccatori, chissà perché, e sono redimibili solo se si iscrivono a Santa Madre Chiesa; cioè se diventano “uguali” assoggettandosi alla cultura dominante).
La conseguenza è stata che, secondo l’antigiudaismo cattolico, i veri razzisti erano loro, gli ebrei, che non accettavano di “farsi uguali” convertendosi.
Oggi si dice che – dal momento che in Israele ci sono ebrei bianchi ed ebrei neri e che questi ultimi sono trattati (pare) peggio dei bianchi – sarebbe dimostrato che l’ebraismo (non Israele, ma proprio l’ebraismo) è razzista.
A me non pare che sia così. Dal momento che esistono davvero ebrei bianchi ed ebrei neri (sono quelli di origine etiopica, i falashà, o yemenita) si direbbe piuttosto che non ce ne sia tanto di razzismo, casomai. E che la cultura ebraica sia piuttosto inclusiva. Certo più che in Italia dove un “nero” (o un cinese o un arabo o un filippino o un sudamericano) è ancora guardato storto se si dichiara “italiano”.
Se poi in Israele gli ebrei neri sono trattati peggio di quelli bianchi, si può ipotizzare, al più, che in Israele ci siano degli idioti razzisti (il che non si può certo escludere) non chel’ebraismo – come cultura – sia razzista.
A meno che con il termine “razzismo” non si voglia colpevolizzare, come faceva la Chiesa, chi intende mantenere il proprio particolarismo culturale e religioso. Ma sarebbe una definizione di razzismo del tutto cervellotica, esattamente come era cervellotica (e violenta) l’accusa dei teologi cristiani.
In realtà, come ha scritto in un suo saggio il rabbino Di Segni, “la condizione ebraica non si esaurisce strettamente in una appartenenza religiosa; è piuttosto una appartenenza a una comunità nazionale o etnica che si riconosce in una storia comune“.
Il problema quindi è, alla fine, uno solo: quanto la cultura occidentale in tutte le sue forme, ma proprio tutte, riesca a fare i conti con il suo latente antisemitismo. Che significa rapportarsi all’ebraismo per quello che è, e che va almeno conosciuto, prima di parlarne (di solito così male). E non usando, mutatis mutandis, le fantasticherie deliranti di cui è stato oggetto nei due millenni trascorsi; cioè roba ampiamente partorita dalla solita Santa Madre Chiesa nel corso del suo “amorevole” e plurimillenario apostolato.
Ma pare che si faccia parecchia confusione anche negli ambiti più dichiaratamente antirazzisti. Figuriamoci nel resto.
http://www.agoravox.it/Ebrei-bianchi-ebrei-neri.html