Shabbaton Lago Sirio 20.05.2016
Zygmunt Bauman ha dedicato un volume, Voglia di comunità, alla riflessione sul desiderio di comunità proprio dell’uomo moderno. Ecco alcune parole tratte dall’introduzione: “Le parole hanno dei significati; alcune di esse, tuttavia, destano anche particolari ‘sensazioni’. La parola ‘comunità’ è una di queste. Emana una sensazione piacevole, qualunque cosa tale termine possa significare. ‘Vivere in una comunità’, ‘far parte di una comunità’ è qualcosa di buono”… la comunità è un luogo ‘caldo’, un posto intimo e confortevole… in una comunità possiamo contare sulla benevolenza di tutti.
Se incespichiamo o cadiamo, gli altri ci aiuteranno a risollevarci. Nessuno oserà prenderci in giro, nessuno si prenderà gioco della nostra goffaggine o godrà delle nostre disgrazie. Se compiamo un passo falso, possiamo ancora confessare, spiegare e chiedere scusa, pentirci se necessario; saremo ascoltati con spirito di comprensione e perdonati, e nessuno serberà rancori eterni[1].
Esistono vari tipi di comunità: “Le comunità (a cui le identità fanno riferimento come entità che le definiscono) sono di due tipi: “ci sono comunità di vita e di destino i cui membri ‘vivono insieme in attaccamento indissolubile’ e comunità ‘saldate insieme unicamente da idee o da vari principi’… La questione dell’identità sorge solo quando si viene in contatto con comunità della seconda categoria, e solo perché sono molteplici le idee che creano e tengono insieme le ‘comunità saldate insieme da idee’ con cui si viene a contatto nel nostro polimorfo mondo culturale[2]“.
Zygmunt Bauman, il teorico della “società liquida”, pur provenendo da una famiglia ebraica, ha con l’ebraismo un rapporto particolare: “Nihil judeum a me alienum esse puto: non ritengo che alcun giudeo sia diverso da me. Mi sento corresponsabile per quello che ogni ebreo (incluso me stesso) fa, e auguro a ciascuno di noi di fare il bene ed evitare il male. Per il resto, io non appartengo a nessuna “Comunità”, non pratico né osservo nessun rito ebraico specifico. Della mia infanzia ricordo che ero consapevole di essere ebreo (e se non lo fossi stato, i vicini e i compagni di classe me lo avrebbero sicuramente ricordato!), anche se bisogna ammettere che la mia conoscenza di ciò che effettivamente significasse era scarsa e rudimentale. Mio padre era un sionista convinto, profondamente assorbito dalle tradizioni ebraiche così come dalla letteratura yiddish ed ebraica. Nonostante ciò, si astenne dall’esercitare pressioni nazionalistiche o religiose sui suoi figli, limitando le sue richieste a quegli aspetti “universalmente umani”, come l’onestà, il dire la verità, la sensibilità alla sofferenza umana e la dedizione nel cercare di raggiungere il proprio obiettivo. Quindi, lei potrà rispondere alla domanda sulla mia infanzia in due modi: dire che essa si è svolta separatamente dall’ebraismo. Oppure: che essa si è sviluppata sulle linee etiche tracciate dagli ebrei, coloro i quali le hanno introdotte per primi nel mondo[3].”
L’ebraismo non è immune dalla liquidità che pervade il mondo contemporaneo: “Quella della “liquidità” è una metafora che vale anche per l’ebraismo di oggi, in cui nulla è più fisso e garantito, fermo e stabile; e tutto pare mutevole e inafferrabile. La “liquidità” ci racconta il tema più importante della nostra condizione contemporanea: ovvero l’incapacità delle strutture, delle istituzioni e di qualsiasi altro “contesto” -scelte e azioni individuali comprese-, a “stare fermi”, a non cambiare, ricreando invece se stesse in maniera monotona, in una forma immutata o solo alterata di poco (come i liquidi che si modellano ma non mutano di sostanza). Questa tendenza interessa tutti gli aspetti della vita umana, e l’ebraismo potrebbe difficilmente essere escluso da questo trend pressoché universale. Modernità liquida nel senso di una storia priva di direzioni e di una biografia priva di progetti, ondivaga, liquida, appunto[4]”.
Le strategie che la società ebraica adotta nei confronti della società chiaramente variano in relazione ai tempi e ai luoghi: “Ovviamente, il grado di smottamento e “liquidizzazione” cambia: pressioni e spinte della società circostante verso la condizione liquida vengono contrastate dal mondo ebraico con tentativi e sforzi costanti -a volte tiepidi, a volte scomposti e frenetici-, di arrestarla o circoscriverla. Come? Fissando regole solide per rendere tutto immune al cambiamento; alcuni di questi tentativi hanno più successo, e sono più duraturi di altri. Per questo mi astengo dal pronunciare verdetti generalizzati o giudizi. Nella nostra società che rapidamente si “diasporizza”, nessuna sorpresa dunque, che si cerchi di creare nicchie locali chiuse, protettive, tenute lontane da ambienti fluttuanti e liquidi, da una modernità perturbante, destabilizzante. A Mea Shearim o in una colonia Chabad, ad esempio, l’ebraismo è (anche se impossibile dire per quanto tempo ancora), meno “liquido” che in St. John’s Wood o Golders Greem (le comunità inglesi più secolarizzate, ndr)[5].”
In alcuni casi il richiamo all’antisemitismo aiuta a contrastare l’assimilazione: “E che dire di quegli ebrei che per contrastare l’assimilazione (ovvero lo “scioglimento dei solidi”), tendono a enfatizzare ogni gesto antisemita per ricompattare le comunità e gridare così “aiuto, stringiamoci a coorte per combattere il nemico antisemita”?[6]”.
Bauman crede che la trasmissione del patrimonio tradizionale di generazione in generazione non sia un elemento peculiare dell’ebraismo, ma un tratto proprio della società in generale, sebbene sia negli ultimi tempi in declino: “La regola “Mdor ledor” non è un’idiosincrasia dell’ebraismo o un suo segno distintivo. È piuttosto un aspetto universale della riproduzione della società, in ogni luogo e in ogni tempo, anche se oggi ciò avviene meno che nel passato: nell’era delle diaspore e di una intensa ibridazione culturale, infatti, gli umani somigliano più ai loro contemporanei, parenti o meno, che ai loro antenati di sangue. Ogni generazione crea -di proposito o meno- una serie di opzioni con le quali le generazioni successive si confrontano. Ma è la generazione che viene dopo e che succede alla precedente a scegliere fra queste opzioni. L’elemento della scelta, nel passaggio generazionale, ci dimostra che oggi è quasi impossibile per la generazione dei padri controllare e determinare le reazioni dei propri eredi. E tutto ciò avviene particolarmente nei nostri tempi di “autostrade dell’informazione”, nelle quali le reti di interazione umane hanno perso l’ancoraggio territoriale e la dipendenza dal piccolo e dal “locale”… [7]“.
[1] Z. Bauman, Voglia di comunità, Roma-Bari 2003, pp. 3-4.
[2] Zygmunt Bauman, Intervista sull’identità, Roma-Bari 2003, p. 5.
[3] Il popolo ebraico? Sopravvive perché è liquido, Bollettino della comunità ebraica di Milano, Dicembre 2011, pp. 10-12.
[4] Il popolo ebraico? Sopravvive perché è liquido, Bollettino della comunità ebraica di Milano, Dicembre 2011, pp. 10-12.
[5] Il popolo ebraico? Sopravvive perché è liquido, Bollettino della comunità ebraica di Milano, Dicembre 2011, pp. 10-12.
[6] Il popolo ebraico? Sopravvive perché è liquido, Bollettino della comunità ebraica di Milano, Dicembre 2011, pp. 10-12.
[7] Il popolo ebraico? Sopravvive perché è liquido, Bollettino della comunità ebraica di Milano, Dicembre 2011, pp. 10-12.