Probabilmente l’ultimo dei libri di Sheelot utshuvot italiani è Waia’an Ytzchaq di Rav Itzchaq Refael Tedeschi di Ancona (1826-1908), che conseguì il titolo di Chakham presso il Collegio Rabbinico di Ancona. Nel 1860 fu chiamato a resuscitare la comunità di Bologna, priva di Ebrei dal 1555, e nel 1865 fu nominato Gran Rabbino di Corfù. Nel 1877, alla morte del suo maestro David Vivanti, divenne rabbino di Ancona, e mantenne questa carica sino alla morte nel 1908. Nei suoi testi difese l’ortodossia, attaccando i suoi contemporanei più facilitanti. Scrisse diversi libri, senza mai pubblicarli: una serie di osservazioni esegetiche sulla Toràh e sui libri dei profeti, un appendice all’enciclopedia Pachad Itzchaq di Ytzchaq Lampronti, un epistolario che venne tradotto parzialmente in ebraico, e raccolto nello Shut Weia’an Ytzchaq, pubblicato postumo nel 1938, oltre a una serie di lezioni e conferenze sulle parashot.
Nella parte Orach Chayim (siman 5) Rav Tedeschi risponde ad un quesito arrivato dal Piemonte, e più precisamente dalla comunità di Vercelli, nell’anno 1895, dove si intendeva di seguire l’uso di altre comunità, in particolare del Piemonte, di recitare solamente la ripetizione del chazan, senza recitare la ‘amidàh sottovoce, uso ancora oggi praticato a Torino per la ‘amidàh di Musaf di Rosh Chodesh e Chol ha-mo’ed. Inoltre desideravano togliere i piutim che nel rito italiano si recitano principalmente nei mo’adim. Il Rabbino di Vercelli, Ytzchaq Cingoli, allievo di Rav Tedeschi, inizialmente si oppose al cambiamento, ma i capi della comunità fecero una grossa pressione, dopo avere sottoposto la questione ai rabbini di Livorno e allo stesso Rav Tedeschi, che scrive di avere cercato un modo per permettere di recitare unicamente la ripetizione della ‘amidàh e di aver consigliato di scegliere alcuni piutim, fra i migliori e maggiormente comprensibili. Prima di inviare la risposta a Rav Cingoli tuttavia gli sembrò giusto scrivere a Rav Benamozeg a Livorno, per vedere se era possibile seguire una stessa linea, e lo stesso Rav Benzamozeg lo stesso giorno, come due profeti che profetizzano nel medesimo stile, decise di scrivere a Rav Tedeschi. La posizione di Rav Benamozeg era però differente da quella di Rav Tedeschi: secondo lui infatti si doveva prediligere la ‘amidàh sottovoce, ma le prove riportate non sono convincenti secondo Rav Tedeschi.
In risposta a Rav Benamozeg Rav Tedeschi scrisse che se proprio si deve eliminare una ‘amidàh è più logico eliminare quella sottovoce, perché altrimenti quelli che non sanno pregare non potrebbero uscire d’obbligo, ed inoltre come farebbero a rispondere alla qadushàh? In risposta a questa seconda domanda Rav Benamozeg proponeva che lo shaliach tzibbur alzasse la voce per recitare la qedushàh, ma si tratta di un’interruzione nella tefillàh, perché non è detto che tutti coloro che pregano si trovino esattamente allo stesso punto della ‘amidàh. Recitando invece un’unica tefillàh a voce alta tutti potranno pregare con la stessa velocità dello shaliach tzibbur, chi pregando per conto proprio, chi ascoltando la ripetizione. In questo modo tutti usciranno d’obbligo dalla tefillàh e dalla qedushàh. E’ chiaro che Rav Tedeschi condivida le parole di Rav Benamozeg sulla tefillàh individuale, ed è certo che si debbano fare tutti gli sforzi possibili per mantenere due tefillot come stabilito dai chakhamim, ma ove questo non sia possibile, perché potrebbero nascere delle liti, è preferibile mantenere la ripetizione dello shaliach tzibbur, a discapito dell’amidàh sottovoce.
Nella Teshuvà inviata a Rav Cingoli Rav Tedeschi riporta il Birkè Yosef (Orach Chayim 124), secondo cui non si deve rinunciare a nessuna delle due tefillot, ma viene detto anche che in sha’at hadechaq, ad esempio se si rischia di superare l’orario della tefillàh, è possibile recitare direttamente la ripetizione della ‘amidàh, e secondo il Maghen Avraham la cosa è consentita persino a priori, perché la ‘amidàh sottovoce serve a permettere allo shaliach tzibbur di preparare la propria tefillàh. Quindi, se non ci fosse stato questo motivo, e oggi non c’è perché lo shaliach tzibbur non ha necessità di preparare la tefillàh di tutto l’anno, sarebbe stato consentito recitare subito la ripetizione. Il Rambam, quando arrivò in Egitto, e vide che durante la ripetizione tutto il pubblico chiacchierava, senza fare attenzione a quanto lo shaliach tzibbur recitava, e stabilì che il chazan iniziasse subito la ripetizione a voce alta, mentre il pubblico pregava sottovoce. Al giorno d’oggi quanto avviene nelle comunità, sopratutto quelle piccole, avrebbe giustificato delle misure di questo genere, perché non ci sono dieci persone che rispondano amen alle berakhot recitate dallo shaliach tzibbur. Un motivo ulteriore per permettere è il rischio concreto di creare delle spaccature nella comunità.
Sui piutim, riconoscendone la lunghezza e la difficoltà, Rav Tedeschi consiglia di mantenere quelli più comprensibili, come quelli di Shelomò Ibn Gabirol, e Yehudàh ha-Levì, perché testi troppo lunghi e difficili portano il pubblico a parlare.