Analogie e similitudini tra Purim e Kippur
David Gianfranco Di Segni
La festa di Purim ricorda, come è noto, un fatto accaduto circa 2500 anni fa in Persia durante il regno di Assuero. Si racconta nella Meghillàt Estèr , uno dei libri della Bibbia, che Hamàn, il perfido consigliere del re, voleva sterminare tutti gli ebrei del regno, uomini, donne e bambini. Per intercessione della regina Ester, una giovane ebrea che era diventata moglie del re nascondendo la propria origine ebraica, e di suo zio Mordechai, che era il capo della comunità ebraica, gli ebrei vennero salvati e i responsabili della tentata “soluzione finale del problema ebraico” furono puniti. A ricordo dello scampato pericolo fu istituita la festa di Purim, che letteralmente significa “sorti”, perché il giorno stabilito per il massacro era stato estratto a sorte dal perfido Haman.
La festa è caratterizzata da uno spirito estremamente gioioso: sia la sera che la mattina si legge pubblicamente la Meghillàt Estèr , scritta a mano su uno speciale rotolo di pergamena; si fanno doni ai bisognosi; si inviano cibi e bevande in regalo agli amici; si partecipa a uno speciale banchetto festivo in cui si beve vino a volontà, fino a confondersi e a scambiare le benedizioni con le maledizioni, a tal punto da dire “benedetto Haman” e “maledetti Ester e Mordechai”. I bambini usano mascherarsi, a ricordo del ribaltamento delle sorti.
Purim è una festa contraddistinta da una dimensione molto materiale, in cui manca un rituale religioso specifico, come esiste invece per altre feste comandate dalla Bibbia. È una festa mascherata in tutti i sensi: sia perché ci si maschera, ma anche perché la dimensione spirituale è, per così dire, “mascherata”, nascosta. Il nome stesso “Ester” viene fatto derivare dalla parola ebraica hastèr , che significa appunto “nascondere”: Ester, quando fu prescelta per diventare regina, nascose la propria origine. Anche la dimensione del Divino è nascosta: non è un caso che il Nome di D-o non compaia mai nel libro di Ester, unico in questo fra tutti i libri della Bibbia; solo allusioni alla Divinità sono presenti, come quando Mordechai incita Ester a intercedere presso il re Assuero, perché se non lo farà lei – dice Mordechai – “la salvezza verrà comunque da un altro posto”.
Detto ciò e avendo sottolineato l’aspetto ‘mondano’ della festa di Purim, risulta tanto più sorprendente un’analogia proposta dai maestri della Kabbalà, il misticismo ebraico, e ripresa poi dai maestri del Chassidismo. Essi hanno detto che la festa di Purim è in stretta relazione con il giorno di Kippur, il giorno di digiuno e di espiazione, il giorno più solenne dell’anno ebraico. L’analogia fra le due feste parte da un’assonanza fra i due nomi: Kippur, che letteralmente significa espiazione, nella Bibbia è chiamato più propriamente con il termine kippurìm , la forma plurale di Kippur: ma kippurim assomiglia a ke-purim , che in ebraico significa “come Purim”. Da questa assonanza partono i cabbalisti e i rabbini chassidici per asserire che il giorno di Kippur assomiglia alla festa di Purim, ed anzi, Purim è addirittura superiore a Kippur per importanza.
Ma come è possibile fare un’analogia fra una festa così materiale come Purim e Kippur, il giorno più spirituale di tutto l’anno, spirituale in tutti i sensi, un giorno in cui per ben 25 ore si digiuna, non mangiando e non bevendo assolutamente nulla, un giorno che si trascorre in sinagoga per la maggior parte del tempo, assorti in preghiere che sono per numero ed estensione di gran lunga le maggiori di tutto l’anno? Che nesso può mai esserci fra Purim, un giorno in cui ci si ubriaca fino a perdere la capacità di distinguere fra chi sta dalla parte del bene e chi sta dalla parte del male, e Kippur, in cui si deve fare un attento e sincero esame della propria coscienza e delle proprie azioni, pentirsi del male fatto e ripromettersi di intraprendere una retta via nell’anno appena iniziato, e in cui quindi bisogna aver ben presente la differenza fra bene e male?
Proviamo a rispondere a queste domande (e sottolineo “proviamo”): oltre all’assonanza fra Purim e Kippurim, ci sono in realtà altre analogie fra le due feste. Anche Purim ha un suo digiuno: è il digiuno di Ester, che precede immediatamente il giorno di Purim e ricorda i tre giorni di digiuno che Ester e le sue ancelle fecero prima di presentarsi al re Assuero per intercedere a favore del popolo d’Israele. E anche Kippur ha il suo banchetto festivo, anzi ne ha ben due, ossia i pasti festivi che si fanno prima e dopo il giorno di digiuno. Anche a Kippur, in un certo senso, ci si maschera: ci si ammanta con il tallèd (lo scialle rituale) anche la sera, e non solo di giorno come nel resto dell’anno; inoltre molti usano vestirsi completamente di bianco, in segno di purezza. Anche Kippur è contraddistinto dalla “sorte”, dato che quando esisteva il santuario di Gerusalemme il rito del capro espiatorio veniva effettuato mediante l’estrazione a sorte.
Anche Kippur viene dopo uno scampato pericolo: Kippur infatti ricorda il perdono concesso da D-o al popolo ebraico dopo il gravissimo peccato d’idolatria commesso con il vitello d’oro, subito dopo aver ricevuto i Dieci Comandamenti sul Monte Sinai. E così come nel primo Kippur nel deserto del Sinai gli ebrei ricevettero, come segno tangibile del perdono divino, le seconde Tavole della Legge in sostituzione delle prime che Mosè aveva rotto alla vista delle orge del popolo attorno all’idolo, nello stesso modo anche a Purim, dopo lo scampato pericolo, gli ebrei accettarono nuovamente su di loro – come afferma il Talmùd – la Torà, pienamente e coscientemente.
Ma c’è un’analogia più profonda fra Kippur e Purim. Kippur è il giorno in cui si annulla tutta la nostra dimensione materiale, in cui non si mangia e non si beve, e ciò ci ricorda, almeno una volta l’anno, che – come dice la Torà nel Deuteronomio (8: 3)– “non si vive di solo pane, ma anche della parola divina”. Purim, d’altro canto, è il giorno in cui si annulla la nostra parte spirituale, il nostro intelletto, in cui si beve e si mangia fino a perdere la cognizione delle cose. È questo un insegnamento importante: ci dice che anche la presunzione intellettuale può essere pericolosa, così come è rischioso vivere in una dimensione unicamente materiale.
Dice il Sig-ore Idd-o, per bocca del Profeta Isaia (55: 8): “I Miei pensieri non sono i vostri pensieri”. Affermano i mistici ebrei che il culmine dell’avvicinamento al Divino, al puro spirito, al “pensiero di D-o”, si ha solo quando si riesce ad annullare totalmente e assolutamente la propria coscienza.
Purim forse ci invita ad avere un’umiltà intellettuale che a volte ci manca. Annullare la propria dimensione spirituale, anche solo per un giorno, è forse più difficile che annullare la parte materiale: per questo, dicono i mistici, Purim è più importante di Kippur.
Originariamente apparso su Morashà.
Le versione inglese dell’articolo, grazie alla collaborazione del Centro Primo Levi di New York
http://www.primolevicenter.org/Articles/Entries/2011/3/16_Purim_and_Kippurim__So_Close%2C_So_Far.html