Tratto da “Il giornale Per Noi” – Marzo-Aprile 1979 (Midrashim, Morashà – 1996)
Raccontato da Giacoma Limentani – Illustrato da Emanuele Luzzati
C’è chi dice:
– Lo shabbàt è il giorno in cui gli ebrei non lavorano.
E c’è chi dice:
– Di shabbàt non si può fare niente di niente.
E qualcuno dice ancora:
– Lo shabbàt bisogna riposare perché il settimo giorno Dio si è riposato.
Ma c’è pure chi dice:
– Lo shabbàt è il giorno in cui Dio ha smesso di creare. In sei giorni ha creato il mondo e il settimo è rimasto con le mani in mano.
In tutte queste cose che dice la gente c’è un briciolo di verità, ma non la verità completa. Quanto poi all’idea che Dio il settimo giorno abbia smesso di creare, è una pura fantasia, la più folle, la più insensata. Il settimo giorno Dio creò ancora, e come! Creò il riposo e il canto, la gioia e la possibilità di vivere senza affannarsi dietro alle beghe quotidiane, la serenità e la pace. Di shabbàt Dio creò, per gli uomini, la possibilità di essere veramente se stessi. Ma che dico, non solo per gli uomini. Per tutto il creato. Anche gli animali e le piante sentono lo shabbàt e lo festeggiano a modo loro.
Adamo si accorse che era shabbàt proprio vedendo ciò che gli accadeva intorno. Improvvisamente una sera tutti gli alberi del paradiso terrestre si misero a stormire, e i fiori a profumare più intensamente del solito abbandonando le corolle al ritmo di un vento nuovo e dolcissimo. E gli animali della terra, dai più grandi ai più piccoli, dai più feroci ai più mansueti, cominciarono a fare grandi salti, come se ballassero, mentre gli uccelli cinguettavano a tutto spiano.
Adamo sentì profondamente la gioia del settimo giorno e per esprimerla intonò un canto di lode allo shabbàt. L’Eterno lo udì e gli disse:
– Come mai canti le lodi dello shabbàt e non canti le lodi del Dio dello shabbàt?
Adamo che con un occhio poteva vedere il paradiso celeste, rispose:
– Eterno benedetto, come posso azzardarmi a cantare le Tue lodi oggi, se gli angeli che le cantano ogni giorno della settimana, proprio oggi tacciono?
E infatti gli angeli non cantavano, perché gli angeli di shabbàt non cantano, non possono cantare. Per questo loro silenzio sabbatico c’è un motivo e anch’esso risale ai giorni della Creazione.
Quando creò gli angeli, Dio fece loro sei ali, ognuna delle quali corrisponde a un giorno della settimana così che in quel giorno quell’ala possa cantare le Sue lodi. Gli angeli non hanno la settima ala perché, come Dio spiegò ad Adamo:
– Gli angeli oggi non cantano per poter ascoltare il canto dello shabbàt, un canto che pervade il creato e riempie la gola di tutte le creature.
E infatti Adamo, che con un occhio continuava a contemplare il paradiso celeste, in quel momento vide lo shabbàt alzarsi dal suo seggio. Avvolto nel suo manto di gioia, lo shabbàt si prostrò ai piedi del trono dell’Eterno e disse:
– È bello esprimere gratitudine all’Eterno che ci ha creati – e intonò un canto meraviglioso che costrinse anche Adamo a cantare:
«Dio ha vestito di bellezza il giorno del riposo, Dio ha chiamato lo shabbàt una delizia!»
Ma per sentire la maestà dello shabbàt non occorre essere come Adamo che, finché viveva nel paradiso terrestre poteva sempre contemplare con un occhio il paradiso celeste.
Una volta un rabbino venne imprigionato in una cella dove non entrava il minimo raggio di luce e dove non poteva accorgersi dell’alternarsi del giorno e della notte. Il rabbino era molto triste perché così non poteva contare i giorni e temeva di non accorgersi dell’arrivo dello shabbàt per poterlo festeggiare degnamente cantando le lodi dell’Eterno. Il rabbino era anche un accanito fumatore e soffriva perché non aveva con sé neppure un sigaro. Ma ecco che tutto a un tratto il bisogno di fumare lo lasciò e il rabbino capì che era arrivato il venerdì sera.
– Ecco lo shabbàt, lo riconosco – si disse fra sé – Solo di shabbàt non provo mai desiderio per le cose inutili.
Finché lo shabbàt creerà la nostra delizia, avremo sempre un angolo del cuore pieno di pace anche negli altri giorni della settimana e potremo cantare come è scritto:
«L’Eterno è il mio pastore non mi mancherà mai nulla».